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IL FESTIVAL DI SANREMO? Un bastardo di razza!

 

 

 

 

 

 

Così veniva definito dagli autori dell'edizione 1970 in una suggestiva presentazione di Enrico Maria Salerno, all'inizio della prima serata. Sono passati più di quarant'anni ma è incredibile come quell'introduzione (che di seguito riporto quasi integralmente) possa tranquillamente essere estesa a tutte le edizioni passate, presenti e future del festival, facendo sembrare scontate e superflue tutte le considerazioni e le polemiche che ogni anno immancabilmente riaffiorano.

 

ECCO IL TESTO DELLA PRESENTAZIONE

 

"C'è sempre in ogni famiglia uno zio o un parente un po' mattacchione, in tutte le famiglie, anche nelle vostre, ci sarà. Un parente lontano che consideriamo sempre un pochino lo svitato di casa, perché non si sa bene che mestiere faccia, mezzo artista, mezzo giramondo e che ci viene a trovare una volta all'anno. Ebbene, per noi italiani questo parente pittoresco può essere benissimo il Festival di Sanremo. Che sia nostro parente non ci sono dubbi, perché dell'italiano medio ha tutti i difetti e tutti i pregi; quale sia invece il grado di parentela che ci unisce a lui, questo è un po' più difficile stabilire, perché il Festival è figlio un po' di tutti, un po' della politica, un po' della moda, del costume, della musica, dell'arte, dell'industria, dei tempi... Un bastardo, insomma, un bastardo di razza, intendiamoci! Una cosa è certa, è nato in mezzo ai fiori in una delle riviere più belle del mondo e puntualmente in mezzo ai fiori ogni anno viene a trovarci a febbraio, quasi volesse anticipare la primavera. E dei fiori conserva anche quella folgorante, profumata e brevissima esistenza. Un'altra cosa ancora è certa, è un figlioccio matto, ma noi gli vogliamo bene perché sempre e soprattutto è generoso. Generoso fino ad essere spietato perché il primo regalo che ci fa quando ci viene a trovare dopo dodici mesi di vagabondaggio sul pentagramma musicale, sapete cos'è? E' uno specchio, ma non uno specchio magico, uno specchietto, piccolo magari ma sufficiente per vederci dentro gran parte di tutti noi, delle nostre cose, delle cose del nostro paese. E poi comincia a tirar fuori regali, sorprese, e allora inizia a sciorinare melodie, un fiume di melodie, belle, brutte, vecchie, nuove, come per esempio un cielo dipinto di blu, il volo di una colomba, l'accordo di una chitarra, e soprattutto speranze, molte speranze, e delusioni, molte delusioni...".

 

Ecco, riguardo l'edizione 2017 (per la precisione la 67^), la parola delusione è, secondo me, la più indicata. Non mi dilungherò molto perché purtroppo quest'anno nonostante sia pure aumentato il numero dei big (?) in gara, ho fatto molta fatica a trovare qualcuno o qualcosa che stimolasse la mia curiosità... La mia attenzione più che altro era rivolta a Giusy Ferreri che seguo e stimo da sempre. Purtroppo anche qui non posso che ritornare sul termine delusione: a mio avviso ha scelto un pezzo sbagliato, lo ha eseguito nel posto sbagliato e, purtroppo, con un'impostazione vocale sbagliata. Un disastro! Due canzoni mi son sembrate degne di nota, anzi, per dirla tutta mi son piaciute molto: IL DIARIO DEGLI ERRORI di Michele Bravi e PORTAMI VIA di Fabrizio Moro. Entrambi hanno avuto un buon piazzamento ma avrebbero meritato la vittoria, o comunque di salire sul podio, magari a pari merito. Per il resto niente di eclatante, troppi replicanti, il solito intrattenimento a buon mercato, molti sbadigli e qualche caduta di stile.

Mentre scrivo queste righe hanno annunciato i tre cantanti finalisti che si contenderanno il primo posto: Fiorella Mannoia, Ermal Meta e Francesco Gabbani. Vincerà il migliore?

 

12 FEBBRAIO 2017 - Rosario Bono