Chiedi chi era Jacques Brel

 

 

di Enrico De Angelis

 

 

 

JACQUES BREL - Tutte le canzoni - Arcana Editrice 1994

 

SELEZIONE BIBLIOGRAFICA

 

 

 

Se c'è stato bisogno, a un certo punto, di chiedere chi erano i Beatles, immaginiamo ci sia tanto più bisogno, oggi, di dire almeno ai più giovani chi era Jacques Brel.

Brel infatti viene da più lontano, è stato per esempio il modello massimo della prima generazione di cantautori italiani, quelli che comparvero agli inizi degli anni Sessanta, quando a plasmare definitivamente la forma canzone nel mondo non era ancora sopraggiunto il linguaggio americano. La prima grande rivoluzione, la nostra nouvelle vague, la "nuova canzone" portavano dunque l'impronta della chanson francese, e segnatamente di Brel.

 

Se è vero che anche Brassens influenzò molto i nostri cantautori, in modo intenso, specifico e però (perciò) circoscritto, l'influsso di Brel fu più indiretto e proprio per questo più diffuso, più pervasivo, più insinuante. Non stiamo parlando solo delle traduzioni che Duilio Del Prete, Gino Paoli, Herbert Pagani, Bruno Lauzi, Patty Pravo, Ornella Vanoni, Dino Sarti, Enrico Medail, Joe Sentieri, Franco Visentin, Renato Dibì e altri hanno curato o inciso in italiano. C'è tutto un gusto della parola cantata, vivo ancora oggi, che porta la sua cifra. In Paoli, Tenco, Gaber, Endrigo, Lauzi, De André, Guccini, Vecchioni, in questi e altri ancora c'è molto o un po' di Brel. Il crescendo di "L'ivrogne", o di tanti altri brani di Brel, è quello che pari pari si trova in Tenco ("Angela", "Io sì") o in Endrigo ("Viva Maddalena"). "E ti regalerò quel che resta della mia gioventù" è un verso che Endrigo prende probabilmente da "La tendresse" ("Je t'offrirais le temps qu'il reste de jeunesse") piuttosto che dall'ottocentesco Lorenzo Stecchetti, alias Olindo Guerrini ("Vorrei poterti dar quel po' che resta della mia gioventù"). Il senso di "Seul" ritorna intatto nelle strofe finali del "Testamento" di Fabrizio De André. Gli ubriachi di Guccini che "sputano al cielo come se avessero di fronte l'universo" ("Per quando è tardi") sono i marinai di "Amsterdam" (un brano, tra l'altro, che Guccini, pur senza averlo mai inciso, un tempo cantava in concerto in una propria traduzione); e i "Quattro amici" di Gino Paoli non assomigliano ai tre bourgeois che blaterano al bar dell'hotel "Trois Faisans"? Ci sono intere canzoni italiane che, pur non portando affatto la firma di Brel, sembrano uscire direttamente dal suo repertorio, in qualche caso al limite del plagio. "Dormi" di Paoli è "Dors ma mie", "Ti amo" di Endrigo è "Je t'aime", tutto il teatro-canzone di Giorgio Gaber nasce da Brel, a cominciare dal brano che gli diede l'avvio, "Com'è bella la città". Addirittura. Gaber non si limita a citare esplicitamente "Les bourgeois" nella sua "I borghesi", ma senza dichiararlo ripete palesemente Jef in "L'amico" e modella "Ora che non son più innamorato" su "La chanson des vieux amants". Anche Duilio Del Prete, al quale abbiamo affidato la traduzione dell'opera integrale di Brel, è non a caso un cantautore, e anch'egli uno della prima ora, proveniente dalla scuola torinese dei Cantacronache (dove l'altro modello imperante - quello di Fausto Amodei, per intenderci - era proprio Brassens). Del Prete è inoltre un attore apprezzato, di teatro e di cinema, il che non è elemento da poco. Certamente è anche questa organica vocazione allo spettacolo, infatti, che a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta lo avvicina a Brel, ovvero a uno chansonnier che si realizza al massimo grado non solo nella scrittura e nella composizione, ma, contestualmente, nella sua interpretazione teatral-musicale.

 

Chiunque, certo, può cantare queste canzoni, magari bene, magari tradotte in un'altra lingua (anzi, questa può essere una scappatoia più facilmente praticabile), ma mai come nel caso di Brel la specificità artistica del repertorio trova appagamento totale solo attraverso la voce, la faccia, la mimica. Una voce sonora, affilata, nervosa, ora impettita, ora saltellante, ora impetuosa, ora guizzante. Un canto nitido che percorre e asseconda tutto il cammino del verso seguendone a contatto diretto ogni saliscendi, accarezzandone le sinuosità o rimbalzando sulle asperità. Una faccia da cavallo sofferente (il male ai denti e alle gengive è sempre stato la sua croce), soccorso però quasi sempre da un sorriso che tiene insieme lo stupore bambino e l'humor adulto, la sfida e il candore, la malizia e la tenerezza. Un volto concentrato nel triangolo compreso tra la mobilità delle sopracciglia e quella della sporgente mascella. Una figura dalle spalle strette e le braccia lunghe, pinocchiesca nel suo vestituccio di carta seta. Una gestualità che rasenta l'arte del mimo; che dà corpo ed espressività, di volta in volta attraente o repulsiva, ai vari personaggi, i quali per lo più non vengono descritti dettagliatamente nei testi proprio perché è la pulsante teatralità fisica dell'interprete a incarnarli e a muoverli, ciascuno nelle sue particolarità. "Certi reietti, certi bravacci teneri che in Brassens finirebbero per identificarsi con l'autore-cantante - commenta in proposito Del Prete - in Brel restano pur sempre esterni a lui, creature della sua ironia". E anche quando canta il sentimento che gli è più caro, la tenerezza, non ha bisogno in questo caso di sottolinearlo con eccesso di espressività, non è mai sdolcinato: la forza oggettiva della sua proposta è presentata in maniera così indiscutibile che è sufficiente il semplice porgerla candidamente, quasi con distacco o addirittura con un pizzico di aggressività.

 

Il ritmo del suo canto, dunque, non è quello pedissequo dello spartito, non combacia necessariamente con esso, ma è il frutto di una sintesi prodigiosa tra il ritmo della parola, quello della musica, quello della fisicità, quello psicologico degli intimi stati d'animo. Il suo è un vero "recitare" che però non smarrisce le cadenze doverose della musica. Chi non l'ha mai visto in azione, fosse anche in video, non può sapere che cosa sia una canzone a teatro. "Una canzone - spiegò lui stesso - non è fatta solo per essere cantata, ma per essere mimata, raccontata, e se tutto il mio corpo non aiuta il mio testo, non è più una canzone".

 

"L'ultima volta che incontrai Brel - racconta Duilio Del Prete - fu in camerino, alla fine di uno dei recital che concludevano la sua carriera teatrale. Era un cavallo stanco. E non solo fisicamente. Aveva già deciso di lasciare il palcoscenico. - Non succede più niente - diceva. Era consapevole della propria impotenza, forse anche della propria incapacità di scrivere canzoni più belle di quelle che non avesse già scritto. Non poteva più eccellere in una civiltà dove la creatività è condizionata dall'industria culturale e dal mercato di massa. Posso dire, ora, che aveva ragione. Il troppo stroppia. La possibilità colossale di consumare tutto annulla la possibilità di informazione reale, di sapere dove si fanno ancora le scarpe a mano, per quelle persone che hanno piedi diversi o deformi, che hanno bisogni specifici e altrimenti soffrono. In queste condizioni non c'è più il tempo di fare il poeta. Se, come Brel, sei un punto di riferimento al vertice, non scappi più da questi meccanismi. Meglio il silenzio. O, come fece lui, migrare altrove, nel cinema, nei viaggi...".

L'addio alle scene di Jacques Brel è in effetti un evento pressoché unico nella storia dello spettacolo. Mille volte ci sono stati artisti che hanno improvvisamente detto addio alla musica o al teatro; ma mai hanno tenuto fede alla promessa. Brel preannuncia il suo ritiro dall'attività live nel 1966 e, dopo aver onorato gli impegni che già aveva assunto in mezzo mondo, attua effettivamente il suo proposito, puntuale, nel 1967. Tutto ciò accade, incredibilmente, mentre egli è al culmine del successo, tra gli osanna unanimi del suo pubblico e le vendite-record dei suoi dischi. In Italia un'analogia, più che in Mina e Battisti (discograficamente sempre presenti), può ritrovarsi nel caso di Renato Carosone, che abbandona completamente l'attività artistica anch'egli nel momento di massima fortuna, e se quindici anni dopo ritorna in pubblico, lo fa più che altro per divertissement personale...

 

PAGINA INSERITA IL 7 MARZO 2010