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I t a l i a n  B e a t

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Recensire significa considerare, esaminare attentamente, ed è un verbo impegnativo, soprattutto per un non-addetto ai lavori, ma sinceramente non sono mai riuscito a trovarne un altro altrettanto efficace ed adeguato quando si prova a scrivere di un disco, di un film o di uno spettacolo, presentandone accuratamente le caratteristiche ed esprimendo allo stesso tempo le proprie legittime opinioni.

In questo caso, il verbo viene coniugato al presente per parlare di un album pubblicato più di 40 anni fa: l'impresa potrebbe risultare quantomeno singolare e azzardata (il rischio di decontestualizzare è sempre in agguato). D'accordo che un'opinione definitiva su una canzone si forma dopo ripetuti ascolti, d'accordo anche sul fatto che le canzoni in questione sono ben dodici, ma qui si tratta di decenni... Per fortuna non tutti spesi ad ascoltare lo stesso disco. Battuta a parte, devo confessare di aver acquistato l'album Diamoci del tu (anno di grazia 1967) negli anni Novanta, quando la CGD decise finalmente di pubblicarlo in versione CD. Comunque, essendo stato negli anni precedenti un estimatore della Caselli, avevo già avuto tempo a sufficienza per poter ascoltare alla radio, in Tv o su nastrini amatoriali tutte le canzoni che poi ho ritrovato nel dischetto.

 

Caterina Caselli fu la prima a guadagnarsi il titolo di ragazza del Piper, anche se solo per un breve periodo, prima della comparsa di Patty Pravo che sarà poi costretta ad accollarsi questa "responsabilità" fino al compimento delle attuali sessanta e passa primavere...

 

Diamoci del tu è il secondo LP della Caselli, e dell'epopea del Piper conserva intatta tutta l'atmosfera, mantenendo e amplificando con grande forza le sonorità allora in voga, che spaziavano dal beat al pop, con un sguardo sempre molto attento alle nuove tendenze in arrivo dall'America e dall'Inghilterra; il mercato italiano infatti era inflazionato dalle cover dei nostri autori costantemente alle prese con le traduzioni di canzoni straniere di successo.

 

L'album si apre con Sono bugiarda, versione italiana di I'm a Believer di Neil Diamond, successo mondiale inciso nel 1966 dal gruppo The Monkees: un pezzo passato alla storia, già pubblicato dalla Caselli in versione 45 giri, abbinato a Incubo N. 4, altro brano di "ispirazione" americana presente in questo ellepi. Si prosegue con Il cammino di ogni speranza, presentata al Festival di Sanremo (con pochissima fortuna) in coppia con il duo Sonny & Cher: una canzone di Umberto Napolitano, emblematico concentrato di ritmo e melodia, in bilico tra modernità e tradizione, forse costruito inseguendo il sogno di ogni produttore, riuscire ad accontentare tutti, missione quasi sempre impossibile. Seguono, nell'ordine, Cielo giallo, traduzione e interpretazione non proprio degni della strepitosa Mellow Yellow, scritta e portata al successo da Donovan, Il sole non tramonterà (The Sun Ain't Gonna Shine Anymore) e L'ombra di nessuno (Standing In The Shadows Of Love).

 

Particolare attenzione merita Dio è morto, di Francesco Guccini, un piccolo capolavoro, più che mai attuale. Dello stesso autore troviamo Per fare un uomo, struggente ballad, connubio perfetto di musica e testo, un gioiello da collocare tra i momenti più alti della produzione del cantautore emiliano. Ci sono anche brani minori, come Nemmeno una lacrima e Una farfalla (Elusive Butterfly) che risultano alla fine non all'altezza delle potenzialità interpretative della Caselli.

 

Le biciclette bianche, invece, che furono il simbolo della rivoluzione dei Provos olandesi, qui rappresentano poco o niente, solo il titolo di una canzone un po' ruffiana, con un testo a dire il vero assai mediocre; a volte non basta, ma in questo caso la canzone viene salvata da un buon arrangiamento. Il disco si chiude con Una storia d'amore (incisa anche da Gigliola Cinquetti), cantata sul filo del rasoio nei toni bassi e forse con troppa enfasi nel ritornello, ma il risultato complessivo è piacevolmente trascinante.

 

E' doveroso riconoscere alla beat generation (in tutte le accezioni del termine e a tutte le latitudini) la genialità e l'incoscienza nell'essersi saputa buttare a capofitto nel grande mare del cambiamento, cavalcando senza paura, nel bene e nel male, le sue onde anomale, mettendo in conto anche il rischio essere travolti dalla dalla corrente o di affogare, come spesso è accaduto. Al di là della bontà delle singole canzoni, quello che si avverte e spesso si assimila ascoltando molti dischi di quel periodo è proprio questa totale e coinvolgente energia, anche nei pezzi più malinconici, anche quando fa capolino la disperazione, la tristezza o il disagio. Difficilmente si riscontra arrendevolezza, immobilismo, o quell'alone di déjà vu che arriverà spesso a caratterizzare le carenze creative delle generazioni successive, e non solo in campo musicale.

 

Rosario Bono - 20 AGOSTO 2008