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Quell'Angelo azzurro chiamato Marlene

 

 

 

RADIOCORRIERE TV - 14 MAGGIO 1992 - Stefania Barile

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L'Angelo azzurro è volato via. Marlene Dietrich ha lasciato il mondo e la sua amata Parigi mercoledì 6 maggio.

Forse era sola nella sua piccola casa di rue Montaigne dove viveva da quindici anni. Forse è morta nel primo pomeriggio. Forse verrà sepolta in Germania accanto al suo unico marito, Rudolf Sieber, o in un villaggio francese o a Montmartre. Forse ora la magica Lola ha fra le mani, invece dell'eterna sigaretta, una rosa. Pierre Riva, il nipote, non ha precisato nulla. Il mistero che Marlene aveva costruito attorno a sé con vero rigore prussiano continua.

 

E' dal novembre dell'81 che nessuno l'ha più vista. Prima amava passeggiare lungo i boulevard. Poi una caduta, la frattura dell'anca, gravi problemi alle ossa, gli anni che spegnevano la sua bianca bellezza... e Marlene si è "murata viva". Sembra che abbia seguito l'esempio di un'altra bellissima del secolo scorso, la contessa di Castiglione: ha ricoperto tutti gli specchi della sua casa. Marlene non riusciva a seguire l'insegnamento del suo amato Goethe, anche se lo ripeteva sempre: è arte sopportare la vecchiaia. La sua ultima apparizione in pubblico è del '76. Neppure la Legion d'Onore riuscì a strapparla da casa nel '90. Solo la sua voce qualche anno prima echeggiò dalle stanze di rue Montaigne: concesse a Maximilian Schell di raccontarsi nel documentario che lui girò sulla sua vita. In quelle due camere e cucina, tutte rivolte verso il cortile interno del caseggiato, potevano penetrare solo la figlia Maria, il nipote Pierre, la segretaria Norma e la cameriera Valentina. Ottenne dal condominio persino il licenziamento del portiere, colpevole di aver fatto passare un fotografo. Marlene rispondeva solo al telefono, parlando prima in francese e proseguendo in tedesco. Così un anno fa un giornalista del Figaro riuscì a ripercorrere con lei le tappe della sua vita. Telefono e giornali sono stati per oltre dieci anni il suo unico legame con il mondo. Ogni mattina questi ultimi glieli portava a casa il portiere dell'Hotel Plaza Athénée: ben sei chili di giornali ogni mattina. Marlene si svegliava alle sei, si preparava da sola il tè con il fornello che stava accanto sul comodino. Poi leggeva: prima i "sei chili", poi i suoi amati poeti, Goethe, Rilke e Heine, e in mezzo un po' di filosofia di Kant. Quindi il telefono: ore e ore per comunicare, pagando bollette di oltre quattro milioni. Alla sera una cena frugalissima: a parte l'eterno vizio del fumo, Marlene è sempre stata una salutista rigorosa. Concludeva le sue giornate davanti alla Tv. Divorando tutto, persino il tennis (ammirava Borg e detestava Agassi). E chissà quante volte grazie alla Tv ha ripercorso tutta la sua vita d'attrice. Da Lola, l'incantatrice de L'Angelo azzurro, con cui nel 1930, dopo dieci anni di gavetta, diventò un mito. a L'Imperatrice Caterina, dalla "demi mondaine" di Marocco all'avventuriera di Shanghai Express. Forse si sarà anche rivista nei due film che amava di più, Scandalo internazionale del '48 e Testimone d'accusa del '57, ambedue di un tedesco come lei, Billy Wilder: con lui, ha detto Marlene, era come prendersi una vacanza dalla seriosità della vita. E proprio quel primo film con Wilder è stato per lei una rimpatriata nella Germania liberata dal nazismo.

 

Il Fuhrer aveva tentato sempre di convincerla a tornare in patria, abbandonando Hollywood, dove era stata scritturata dalla Paramount nel '30. Se ne era innamorato e le prometteva di diventare la donna più potente del Reich. Ma lei dichiarò ai giornali: "Se qualcuno m'incaricasse di ucciderlo, non esiterei". Accettò invece la cittadinanza americana e fra il '43 e il '45 un autentico tour de force di concerti per le truppe alleate. Forse ricordava ancora i tempi in cui era una bambina poco più che decenne. Era scoppiata la Grande Guerra e lei amava la sua insegnante Mademoiselle Breguand perché amava il francese. Ostinandosi a usare le parole "nemiche", la piccola Maria Magdalena Dietrich von Losch lasciava tutti i suoi risparmi nel salvadanaio delle punizioni. Lei, figlia di un tenente di polizia, morto quando lei aveva quattro anni, e allevata dalla madre e dal patrigno, un ufficiale asburgico, con rigore e disciplina, amava il violino (che dovette abbandonare per una tendinite), la musica e l'arte senza confini.

 

Poi, figlia della Repubblica di Weimar, cominciò a frequentare teatri e set. Casualmente incontrò Josef von Sternberg che decise: Lola è lei. E divenne mito. E Hollywood, che non lascia che i miti crescano altrove, la chiamò e le impose nuovi denti, nuovi capelli, nuovi zigomi, nuovo peso. Le impose anche di negare d'essere madre: lei che aveva sposato nel '24 lo sceneggiatore e produttore Rudolf Sieber e con lui aveva avuto un anno dopo una figlia. La chiamarono Maria, solo però nel '34 rivelò a tutti la verità portandosi sul set de L'imperatrice Caterina, come figlia, la sua stessa Maria.

 

Marlene non dimenticò mai il suo Pigmaglione, Von Sternberg, che diversamente non ebbe fortuna a Hollywood: "Era esattamente tutto quello che desideravo in una persona... sono stata la sua discepola, la sua marionetta, la sua ancella e non me ne pento". E quando morì, nel '69, non andò al suo funerale per non esserne lei la protagonista. Si chiuse in casa con la moglie di lui, che certo la doveva odiare moltissimo.

 

In quella piccola casa di rue Montaigne Marlene avrà ricordato. I suoi genitori: "Mia madre non era mai indecisa... di lei ci si poteva fidare... forse era solo coscienziosa...". "Mio padre? Il suo potere era senza dubbio la sua morte". I suoi registi: "Fritz Lang... lo detestavo. Si nutriva con voracità delle umiliazioni che infliggeva alle donne ai limiti della violenza... un sadico". Alfred Hitchcock: "Aveva quel tipo di serietà tutta inglese. Lo rispettavo moltissimo". E poi Ernst Lubitsch, René Clair, Orson Welles, Stanley Kramer. Con quest'ultimo aveva girato nel '61 Vincitori e vinti. E se durante gli anni bui di Hitler era definita "la puttana americana", quando uscì questo film si sollevò in Germania contro di lei una ventata d'odio, perché incarnava il senso di colpa tedesco.

 

Marlene avrà ricordato anche i suoi innumerevoli uomini. Da Jean Gabin, "un bambino che vuole stare in braccio alla mamma per essere amato", a John Wayne, "non intelligente, ma amabile", a Gary Cooper, "bello e stupido", a Jean Cocteau, Ernest Hemingway, per i quali ammetteva solo una "cotta" intellettuale, Burt Bacharach, più giovane di lei, ormai sessantenne, con cui visse una passione travolgente. Tanti gli amori, ma nessun matrimonio: solo quello lontano con Rudolf, che col tempo divenne un allevatore di galline.

Marlene aveva cercato negli ultimi anni di cancellare il suo mito. Un'autobiografia, Marlene D, uno zibaldone di ricette, aforismi, consigli... infine il silenzio. Ma Maria Magdalena non riuscì a "uccidere" Marlene. Come far dimenticare a tutti quel modo sprezzante che frustava tutte le convenzioni dell'epoca; quello stile maschile fin negli abiti; la dichiarazione sensuale di Lola, "sono fatta per l'amore dalla testa ai piedi"; le follie da diva che ordinava a Parigi lo champagne per berlo a Hollywood; e infine l'ultima immagine nel concerto in cui, avvolta da un sottile vestito, appariva quasi nuda!

 

Maria Magdalena diceva: "Non ho fatto niente di eccezionale... un giorno mi metteranno nella cassa e sarà la fine di tutto. E così come deve essere".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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