L'Angelo azzurro è volato via. Marlene Dietrich ha
lasciato il mondo e la sua amata Parigi mercoledì 6
maggio.
Forse era sola nella sua piccola casa di rue Montaigne
dove viveva da quindici anni. Forse è morta nel primo
pomeriggio. Forse verrà sepolta in Germania accanto al suo
unico marito, Rudolf Sieber, o in un villaggio francese o
a Montmartre. Forse ora la magica Lola ha fra le
mani, invece dell'eterna sigaretta, una rosa. Pierre Riva, il nipote, non ha precisato nulla. Il mistero
che Marlene aveva costruito attorno a sé con vero rigore
prussiano continua.
E' dal novembre dell'81 che nessuno l'ha più vista. Prima
amava passeggiare lungo i boulevard. Poi una caduta, la
frattura dell'anca, gravi problemi alle ossa, gli anni che
spegnevano la sua bianca bellezza... e Marlene si è
"murata viva". Sembra che abbia seguito l'esempio di
un'altra bellissima del secolo scorso, la contessa di Castiglione: ha ricoperto tutti gli specchi della sua
casa. Marlene non riusciva a seguire l'insegnamento del
suo amato Goethe, anche se lo ripeteva sempre: è arte
sopportare la vecchiaia. La sua ultima apparizione in
pubblico è del '76. Neppure la Legion d'Onore riuscì a
strapparla da casa nel '90. Solo la sua voce qualche anno
prima echeggiò dalle stanze di rue Montaigne: concesse a
Maximilian Schell di raccontarsi nel documentario che lui
girò sulla sua vita. In quelle due camere e cucina, tutte
rivolte verso il cortile interno del caseggiato, potevano
penetrare solo la figlia Maria, il nipote Pierre, la
segretaria Norma e la cameriera Valentina. Ottenne dal
condominio persino il licenziamento del portiere,
colpevole di aver fatto passare un fotografo. Marlene
rispondeva solo al telefono, parlando prima in francese e
proseguendo in tedesco. Così un anno fa un giornalista del
Figaro riuscì a ripercorrere con lei le tappe della sua
vita. Telefono e giornali sono stati per oltre dieci anni
il suo unico legame con il mondo. Ogni mattina questi
ultimi glieli portava a casa il portiere dell'Hotel Plaza
Athénée: ben sei chili di giornali ogni mattina. Marlene
si svegliava alle sei, si preparava da sola il tè con il
fornello che stava accanto sul comodino. Poi leggeva:
prima i "sei chili", poi i suoi amati poeti, Goethe,
Rilke
e Heine, e in mezzo un po' di filosofia di Kant. Quindi il
telefono: ore e ore per comunicare, pagando bollette di
oltre quattro milioni. Alla sera una cena frugalissima: a
parte l'eterno vizio del fumo, Marlene è sempre stata una
salutista rigorosa. Concludeva le sue giornate davanti
alla Tv. Divorando tutto, persino il tennis (ammirava Borg
e detestava Agassi). E chissà quante volte grazie alla Tv
ha ripercorso tutta la sua vita d'attrice. Da Lola,
l'incantatrice de L'Angelo azzurro, con cui
nel 1930, dopo dieci anni di gavetta, diventò un mito. a
L'Imperatrice
Caterina, dalla "demi mondaine" di Marocco
all'avventuriera di Shanghai Express. Forse si sarà anche
rivista nei due film che amava di più, Scandalo
internazionale del '48 e Testimone d'accusa
del '57,
ambedue di un tedesco come lei, Billy Wilder: con lui, ha
detto Marlene, era come prendersi una vacanza dalla
seriosità della vita. E proprio quel primo film con Wilder
è stato per lei una rimpatriata nella Germania liberata
dal nazismo.
Il Fuhrer aveva tentato sempre di convincerla
a tornare in patria, abbandonando Hollywood, dove era stata
scritturata dalla Paramount nel '30. Se ne era innamorato
e le prometteva di diventare la donna più potente del
Reich. Ma lei dichiarò ai giornali: "Se qualcuno m'incaricasse di ucciderlo, non esiterei".
Accettò invece la cittadinanza americana e fra il '43 e il
'45 un autentico tour de force di concerti per le truppe
alleate. Forse ricordava ancora i tempi in cui era una
bambina poco più che decenne. Era scoppiata la Grande
Guerra e lei amava la sua insegnante Mademoiselle Breguand
perché amava il francese. Ostinandosi a usare le parole
"nemiche", la piccola Maria Magdalena Dietrich von Losch
lasciava tutti i suoi risparmi nel salvadanaio delle
punizioni. Lei, figlia di un tenente di polizia, morto
quando lei aveva quattro anni, e allevata dalla madre e
dal patrigno, un ufficiale asburgico, con rigore e
disciplina, amava il violino (che dovette abbandonare per
una tendinite), la musica e l'arte senza confini.
Poi, figlia della Repubblica di Weimar, cominciò a
frequentare teatri e set. Casualmente incontrò Josef von
Sternberg che decise: Lola è lei. E divenne mito. E
Hollywood, che non lascia che i miti crescano altrove, la
chiamò e le impose nuovi denti, nuovi capelli, nuovi
zigomi, nuovo peso. Le impose anche di negare d'essere
madre: lei che aveva sposato nel '24 lo sceneggiatore e
produttore Rudolf Sieber e con lui aveva avuto un anno
dopo una figlia. La chiamarono Maria, solo però nel '34
rivelò a tutti la verità portandosi sul set de L'imperatrice
Caterina, come figlia, la sua stessa Maria.
Marlene non dimenticò mai il suo Pigmaglione, Von
Sternberg, che diversamente non ebbe fortuna a Hollywood:
"Era esattamente tutto quello che desideravo in una
persona... sono stata la sua discepola, la sua marionetta,
la sua ancella e non me ne pento". E quando morì, nel '69,
non andò al suo funerale per non esserne lei la
protagonista. Si chiuse in casa con la moglie di lui, che
certo la doveva odiare moltissimo.
In quella piccola casa di rue Montaigne Marlene avrà
ricordato. I suoi genitori: "Mia madre non era mai
indecisa... di lei ci si poteva fidare... forse era solo
coscienziosa...". "Mio padre? Il suo potere era senza
dubbio la sua morte". I suoi registi: "Fritz Lang... lo
detestavo. Si nutriva con voracità delle umiliazioni che
infliggeva alle donne ai limiti della violenza... un
sadico". Alfred Hitchcock: "Aveva quel tipo di serietà
tutta inglese. Lo rispettavo moltissimo". E poi Ernst
Lubitsch, René Clair, Orson Welles, Stanley Kramer. Con
quest'ultimo aveva girato nel '61 Vincitori e vinti. E se
durante gli anni bui di Hitler era definita "la puttana
americana", quando uscì questo film si sollevò in Germania
contro di lei una ventata d'odio, perché incarnava il
senso di colpa tedesco.
Marlene avrà ricordato anche i
suoi innumerevoli uomini. Da Jean Gabin, "un bambino che
vuole stare in braccio alla mamma per essere amato", a
John Wayne, "non intelligente, ma amabile", a Gary Cooper,
"bello e stupido", a Jean Cocteau, Ernest Hemingway, per i
quali ammetteva solo una "cotta" intellettuale,
Burt
Bacharach, più giovane di lei, ormai sessantenne, con cui
visse una passione travolgente. Tanti gli amori, ma nessun
matrimonio: solo quello lontano con Rudolf, che col tempo
divenne un allevatore di galline.
Marlene aveva cercato negli ultimi anni di cancellare il
suo mito. Un'autobiografia, Marlene D, uno zibaldone di
ricette, aforismi, consigli... infine il silenzio. Ma
Maria Magdalena non riuscì a "uccidere"
Marlene. Come far
dimenticare a tutti quel modo sprezzante che frustava
tutte le convenzioni dell'epoca; quello stile maschile fin
negli abiti; la dichiarazione sensuale di Lola, "sono
fatta per l'amore dalla testa ai piedi"; le follie da diva
che ordinava a Parigi lo champagne per berlo a Hollywood;
e infine l'ultima immagine nel concerto in cui, avvolta da
un sottile vestito, appariva quasi nuda!
Maria Magdalena diceva: "Non ho fatto niente di
eccezionale... un giorno mi metteranno nella cassa e sarà
la fine di tutto. E così come deve essere".