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FAITHFULL Dangerous Acquaintances

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Il nuovo album di Marianne Faithfull è bello, ma molto meno di quanto sperato. Innanzitutto: chi è Marianne Faithfull? Uno dei personaggi di moda negli anni sessanta, la donna di Mick Jagger, l'interprete di As Tears Go By, il modello di una generazione di ragazze londinesi preoccupate di assomigliarle nei vestiti, nella pettinatura, nel linguaggio sboccato e non solo in quello. Tre dischi negli anni sessanta, più uno senza storia nei settanta. Non si è saputo nulla di preciso su di lei dal '69, dopo la rottura con Jagger e l'abbandono della vita pubblica. Si dice che fosse un tantinello alcolizzata e non so di preciso a cos'altro andassero i suoi favori... Fin qui, niente di male, ognuno ha i suoi problemi, chi più chi meno. Se non fosse che pare che la Faithfull prima che un personaggio di moda fosse un'artista, e gli artisti, si sa, i sentimenti, le esperienze, la disperazione, i colori della vita sanno raccoglierli, sintetizzarli e renderli utilizzabili a noi poveri mortali. Così un giorno Marianne Faithfull esce a sorpresa dal viale del tramonto per regalarci uno splendido disco Broken English che per chi ha occhi per vedere, orecchie per udire e un cuore a coordinare è un gioiello fatto di tenebre, tristezze, malinconia, violenza da sobborghi, sesso da battone da film.

 

La poesia di un Tom Waits al femminile, il rock di un Lou Reed dietro alle sue spalle, lo sforzo amichevole di un poker di musicisti a rendere possibile il lavoro, alcuni inseriti come comprimari (come Steve York, Barry Reynolds, Terry Stannard, Joe Mavety) altri presenti solo come ospiti, di cui il più famoso è Stevie Winwood. In copertina il suo volto duro e maschiaccio, occhi da teppista, sicuramente in borsetta ha un coltello a serramanico. Sulla copertina del nuovo album la foto ci presenta l'aspetto antitetico di Marianne: giovane, bella, capelli "spettinati" ad arte dal parrucchiere. Il disco non è facile da decifrare, e sicuramente si può leggere a più livelli. Il più evidente è quello da classifica, dove tira soprattutto il pezzo iniziale Sweetheart, un raggae brillante che in Inghilterra sicuramente ballano in discoteca. Rispetto a Broken English, manca un filo conduttore altrettanto forte, come manca quel calarsi del personaggio nelle proprie canzoni fino a sporcarsi l'anima (o viceversa). Ecco, è la sporcizia a mancare. Il suono è quello new-wave elegante/rock tecnologico di gruppi come i Motels, le canzoni sono molto varie e i riferimenti potrebbero essere troppi e molto diversi tra loro: dalle atmosfere all'incenso che avevano i gruppi degli anni sessanta, quando facevano canzoni orientaleggianti, allo stile asciutto new-wave attuale alla, appunto, Motels di Martha Davis. La seconda facciata suona più vecchiotta, riecheggiando anche gente come i Traffic (ma solo perché una canzone è scritta da Stevie Winwood, e sottolineata dal suo inconfondibile organo). O addirittura i Pink Floyd e i Go. Abbiamo detto che manca la sporcizia. L'altra cosa che manca è la grinta, la cattiveria che poteva avere una canzone come Why D'Ya do that. Dicono che l'ascolto che ti fa giudicare veramente un disco è il primo. Questo viene invece fuori almeno quattro o cinque volte dopo, e ti rivela il suo fascino e quella magia che ancora si nasconde nella voce di Marianne, che pure è volutamente tenuta "al minimo". Fascino e magia che rendono quest'album non deludente, ma neanche indispensabile.

 

 

Blue Bottazzi - IL MUCCHIO SELVAGGIO - Dicembre 1981