VENEZIA - TEATRO GOLDONI
- 4.11.2000 - Le luci della sala si spengono
lentamente, duemila occhi attendono nel buio, mille
cuori si fondono in un solo grande battito. Rapporto
tempo-spazio azzerato. La musica entra in scena,
attraversa la platea, sale fino ai palchi e raggiunge le
ultime file con il tocco sottile di un vento tiepido,
raro in laguna nelle sere di autunno inoltrato.
Juliette appare e l'applauso travolge la sua
figura gentile e austera. La scultura del suo viso e le
mani, come ali bianche appoggiate sul cuore, saranno la
luce guida in tutto il nero che ha saputo portare dalle
notti senza sonno di una Parigi difficile da
dimenticare. La sua voce bruna vibra come la corda di una
viola, sfiora note profonde ed evoca emozioni nascoste
nelle pieghe di sentimenti dimenticati. Così le sue canzoni diventano
atti compiuti, piccole pièces teatrali, ora tragiche,
ora ironiche, spesso malinconiche: l'amore, la vita e la
morte, affrontati con una capacità espressiva
inimitabile, interpretati con una "leggerezza" che solca
l'anima senza scalfirla.Tutto questo e molto altro è
Juliette, innamorata della musica che ha vestito le
parole dei più grandi poeti francesi, innamorata dei
suoi "cattivi compagni" (Jacques Brel, Léo
Ferré, Serge Gainsbourg...) che rivivono sui
palcoscenici di tutto il mondo nuove e luminose
stagioni.
A Venezia ha regalato le perle di un
repertorio che spazia dai brani storici della musica
francese alle composizioni del suo ultimo album: Un
jour d'été et quelques nuits..., nato sui testi di
Jean-Claude Carriére.
Gerard Jouannest, compagno discreto
e fedelissimo, autore di quasi tutte le musiche, la
segue in questo magico viaggio nel tempo, accarezzando
il pianoforte con l'eleganza dei musicisti di grande
talento. Una magia che sembra spezzarsi durante
l'interpretazione di Ne me quitte pas quando,
tradita dalla tensione emotiva, interrompe a metà la
canzone, scusandosi per non riuscire più a riprenderla
dallo stesso punto: "E' come se qualcuno avesse improvvisamente
acceso la luce mentre stavo facendo l'amore, non posso
più continuare come prima...". E si fa perdonare così
l'involontario fuori programma.
La Gréco, oltre ad essere attrice e
cantante, è artefice della regia di ogni sua
interpretazione; ogni espressione del viso, ogni gesto,
è un fotogramma del film della sua vita: una proiezione
in bianco e nero, senza mezzi toni, dove c'è un tempo
per soffrire (Juliette ha conosciuto gli errori e gli
orrori della guerra), un tempo per sorridere (quando a
Saint-Germain-des-Prés si poteva pagare il conto
del ristorante con una poesia) e dove non c'è posto per
l'ipocrisia e la banalità. Come altri artisti "in
nero", Anna Magnani, Marianne Faithfull,
Lou Reed, Edith Piaf, la signora sa
convivere con il fuoco della passionalità, forza
esplosiva del vulcano evocato da Brel "che non riconosce
niente e nessuno" e la ricerca della pace interiore,
silenziosa come i ricordi portati via "dal vento del
nord nella terra dell'oblio", come "le foglie morte" in
autunno.
Le atmosfere, le note languide o
allegre della fisarmonica, l'altalena di sensazioni e di
ricordi, i profumi... non si possono descrivere
completamente, seguono percorsi che i confini della
scrittura non riescono a contenere. Lei fa mostra dei
suoi capolavori con umiltà, porgendo al pubblico testi
importanti che sa tradurre nel linguaggio universale del
sentimento, dove parole e musica diventano emozione
pura, attraverso uno sguardo, la mimica e le traiettorie
dei gesti delle sue mani. Quelle mani che volteggiano
inquiete per dipingere nell'aria tutta la forza e tutta
la fragilità delle donne senza tempo e senza età.
Un'artista da amare senza riserve, così come si possono
amare solo le cose preziose della vita.
Un
concerto unico e raro, in un sabato sera veneziano dove,
Ferré permettendo, la tenerezza, per una volta,
non è rimasta senza compagnia.
Esserci è stato
bellissimo. Merci, Juliette!
Rosario Bono
V E N I S E
Au bout de la nuit,
Venise!
Venise où l'on n'accoste jamais avec trop de
prudence.
Venise
la ville sublime et fatale.
Juliette se penche sur la
lagune: tricorne de carnaval sur masque blanc, cape de
fourrure voluptuese. Telle Casanova, rentrant au petit
jour, fatigué de moroses débauches...
|
V e n e z i a
Alla fine della notte, Venezia!
Venezia dove non attracchi mai con troppa cautela.
Venezia città sublime e fatale.
Juliette si china sulla laguna: tricorno di
carnevale su maschera bianca, voluttuosa mantella di
pelliccia. Come Casanova, che torna all'alba, stanco
di una cupa dissolutezza... |
Dal book fotografico JULIETTE GRECO
Immagini di Irmeli Jung * Testi di
Régine Deforges
IMPRIMERIE NATIONALE Editions
Parigi 1990
DIVINAMENTE GRECO - La mitica «voce» degli esistenzialisti
in un bel concerto al Colosseo di Torino.
Un repertorio classico tra passione ed ironia «Non
monsieur, je n'ai pas vingt ans». Bisogna aver coraggio
per cantare così quando si hanno 65 anni, e si vedono. Ma
nel viso e nel corpo segnati della
Gréco,
gli occhi liquidi e profondi, le mani mobilissime, il
nasetto arricciato, l'espressione intensa, dolente e
ironica, il sorriso birichino sono giovani, giovanissimi.
«C'è voluto molto talento - dice «La chanson des vieux
amants» - per diventare vecchi senza diventare adulti».
Come è fuori moda, come è affascinante, sentire che si può
temere di più l'età adulta e il suo conformismo che le
rughe. La voce, soprattutto, sente il tempo ma resta
straordinaria: bassa, roca, capace di passare
credibilmente dalla disperazione alla sottile presa in
giro.
«Je suis comme je suis», sono come sono. In questa
canzone, una delle tante che poeti come
Brel
e
Prévert
hanno scritto per lei, c'è tutta
Juliette Gréco,
il suo orgoglio appassionato, la sua aspra autoironia. E
proprio lei, la regina dell'Olympia, la ragazza di
Saint-Germain-des-Prés ritornata a 65 anni sulle scene, si
è materializzata l'altra sera in un
Colosseo
gremito della gente benvestita di questi anni patinati e
preoccupati per il futuro. Una platea piena però di
un'oscura nostalgia per l'atmosfera irripetibile della
Parigi del dopoguerra, quando tutto sembrava possibile, i
giovani «maledetti» osavano vivere alla giornata e la
Greco
era la «musa degli esistenzialisti» e cantava nelle
«caves», senza amplificatori da concerto rock. Ma anche in
una cornice e in un tempo a lei così estranei, il suo
fascino si è fatto strada.
E'
difficile fare una scelta di tante canzoni: piacciono
quelle più liete come «Paris canaille», «Accordéon»,
«Jolie móme», delizioso ritratto di ragazzina, o anche la
«Si tu t'imagines» di
Raymond Queneau
e
Joseph Kosma,
sorta di «carpe diem» Anni Quaranta. Non hanno perso
fascino le storie d'amore «che non finiscono mica poi
tanto bene - dice lei sorridendo - boh, capita sempre
così, chissà come mai»: e la platea rimane inchiodata alle
note dell'inevitabile, struggente «Les feuilles mortes» di
Prévert-Kosma,
di «Parlez-moi d'amour» di
Jean Lenoir,
esulta al bis di «Ne me quitte pas» di
Jacques Brel.
Incanta «On n'oublie rien»: non si scorda nulla, ci si
abitua soltanto. L'accompagna al pianoforte
Gerard Jouannest,
autore di molti brani, fra cui l'inquietante «J'arrive»,
dialogo con la morte scritto da
Brel.
Coraggiosa,
Juliette Greco,
che ha saputo percorrere la sua strada fino in fondo,
unire indissolubilmente vita e canzoni.
22.2.1991 * La Stampa
Intervista con Juliette Gréco
-
«La Sardegna è una terra strana e affascinante. E un pò la
sintesi di tutto il Mediterraneo con le sue culture.
Talvolta mi chiedo che lingua dovrebbero parlare i pesci di
questo mare». Scherza
Juliette Greco, con il sorriso e la
raffinatezza che ha fatto del suo stile un simbolo del
Novecento. E con la stessa leggerezza cortese racconta una
lunga storia, che comincia tanto tempo fa, a Montparnasse.
Viene da lì il suo legame artistico con
Cocteau, il debito con le avanguardie?
«Sì. Alcune persone, all'alba del secolo, si riunirono lì.
Cominciarono a parlare tra loro distruggendo poco a poco
una certa idea di letteratura, di musica, di arte. Per
farne una nuova. Poi arrivò una donna che si chiamava
Marianne Oswalde, e per
lei
Cocteau
scrisse i versi di due canzoni. Una di queste
era "Anna la bonne". Lei la cantò nel locale dove si
incontravano i surrealisti, "Le bouf sur le toit". Lì
arrivò un'altra donna, che si chiamava
Agnés Capèrie,
e cantava le voci di quei poeti. La donna successiva fu la
guerra. Spettò a lei il compito di distruggere molte cose,
ma nello stesso tempo diede forza a persone come
Prevert,
ai suoi versi musicati da
Kosma»
Fu allora che arrivò una donna che si chiamava Juliette
Greco...
«Scoprii quelle canzoni durante la Liberazione. A partire
da quel momento capii il mio ruolo, la mia missione. E non
ho mai smesso di cantarle».
Ma il mondo è cambiato. Oggi dove vanno la poesia e la
musica?
«La strada è sempre la stessa, sempre difficile, e come in
ogni epoca ci sono cose belle e brutte. Le canzoni belle,
scritte da veri poeti e musicisti, ora si conoscono di
più. Quelle meno belle sono come la frutta: non sopportano
i lunghi viaggi, vanno a male prima».
Lei canta Prevert, i paesaggi francesi, lo spirito della
Senna. Tutto questo esiste ancora o è solo poesia?
«Esiste ancora ed esisterà sempre. Fino a che esisteranno
le persone giovani ci sarà la bellezza, e quindi la musica
e la poesia».
Ha avuto legami importanti con tanti grandi del Novecento.
Sono solo un ricordo o li porta con sé ogni volta che sale
sulla scena?
«Tutto ciò che ho vissuto è dentro di me. Sono cose vive,
che mi accompagnano in ogni momento della vita, in ogni
cosa che faccio».
La sua voce sa graffiare alla maniera di Kurt Weill, ma
dice di amare Caetano Veloso. Cosa riconosce come suo
nella musica sudamericana?
«Adoro la musica brasiliana. Ho fatto li il mio primo
viaggio in tournée. E ho scoperto un mondo dove le cose
più belle convivono con le più terribili. Un mondo che
puoi leggere sui volti bellissimi di donne e di bambini.
Pieno di uccelli colorati. Un paradiso terrestre che
nasconde l'inferno. E un popolo che amo, perché sa parlare
del dolore mentre sorride, e possiede la calma e la
saggezza. La musica di
Veloso
racconta in modo sorprendente tutto questo. E toccante, ha
basi ritmiche straordinarie, e ha la bellezza giovane
della semplicità».
23.7.2000 * La Nuova Sardegna
Nel Libano la
Gréco si immerge nel profumo del gelsomino, quello del
suo primo viaggio di nozze. Lei e Philippe Lemaire formano una bella coppia. Sono ricevuti come sanno
ricevere i libanesi. E' tutto dire. Vengono festeggiati.
Li porteranno a visitare una Ballbek ancora vergine di
festival. Arrivano fino a Damasco, attraversando una
frontiera severa, e passeggiano nei suk più favolosi che
ci siano. Profumati, formicolanti di gente, colorati e
rumorosi. Comprano stoffe preziose e se ne vanno, con la
testa che gira un po' e le orecchie piene dei gridi dei
mercanti.
La sera, la Gréco non deve cantare.
Passeggeranno lentamente per le vie, con collane di
gelsomini intorno al collo. Silenziosi.
Juliette Gréco sarà la prima cantante francese ad
avere accesso su una scena tedesca dopo la Liberazione.
L'avvenimento non mancherà di intoppi. La conferenza
stampa tenuta in suo onore all'ultimo piano di un lussuoso
albergo americano berlinese, farà di lei, l'indomani
mattina e sulla prima pagina di tutti i giornali di
qualsiasi tendenza, un oggetto di scandalo. Lei dirà la
sua verità. Confermerà la propria diffidenza, la propria
inquietudine, la propria memoria recente e insieme la
propria speranza nella generazione dei giovanissimi.
Generazione, dice, i cui genitori non sono responsabili
dei figli, ma i cui figli si sentono orribilmente
responsabili dei propri genitori. Il giorno del suo primo
concerto, e per molti anni dopo, i ragazzi e le ragazze
verranno a chiederle se è vero che lei nutre odio per il
popolo tedesco. Emozionata e turbata lei risponderà che la
verità è altrove, dentro il passato dei loro genitori,
giacché per quello che riguarda i loro padri e le loro
madri lei non può garantire niente. Loro soli detengono la
risposta. Per lei, la piaga rimane aperta.
La Gréco è sensibile
e attenta alla critica. Ne tiene conto. Vorrebbe
avvicinarsi alla verità, perfezione depurata. Misura il
cammino da percorrere ma persiste. Ha pochi amici nel suo
mestiere, ad eccezione degli orchestrali, autori e
compositori di cui ha cantato e interpretato le opere.
Selezioni dal book JUJUBE *
1982
Il lato positivo del cinema è che mi fa
guadagnare. Ho ventiquattro anni e dei soldi in tasca.
Passeggiando per le strade di Nizza, passo
davanti alla vetrina di una gioielleria. Il sole di
mezzogiorno risplende e fa scintillare di bagliori
colorati uno strano oggetto. Affascinante. Non resisto e
varco la soglia del negozio. Cedendo a un colpo di
fulmine, mi regalo il primo vero gioiello della mia
vita: un cristallo tagliato a forma di sigillo, montato
su una base d'oro con due piccoli rubini. L'ho comprato
d'occasione e l'ho portato molto: il trofeo della mia
indipendenza economica. A quell'epoca vivevo in un
piccolo appartamento di Parigi.
Un mattino ricevo una lettera da Londra. Una casa
di produzione americana desidera vedermi. Il messaggio è
firmato David O. Selznick. Nella busta ci sono i
biglietti dell'aereo e la prenotazione all'Hotel Savoy.
Non occorre altro per solleticare la mia istintiva
curiosità. Appena arrivata mi accompagnano agli uffici
del regista. Affascinante, capelli brizzolati, sguardo
penetrante,
David O. Selznick siede dietro la scrivania, con
i documenti sul tavolo. "Abbiamo molti progetti
cinematografici per lei. Le spiego come si svolgono le
cose: le garantiamo un contratto della durata di sette
anni. Ci occuperemo noi di tutto: scelta dei ruoli,
pubblicità, vestiti, acconciature. Forse dovrà tagliarsi
i capelli...". Non ci ho più visto. Mi sono
alzata e l'ho interrotto seccamente: "La ringrazio
molto, ma ho un carattere terribile, sono un cavallo
indomabile".Il tempo di recuperare la mia valigia e
corro a prendere il primo aereo per Parigi. Da
quell'esperienza ho imparato che rifiuto istintivamente
ogni forma di possesso e di alienazione. Non ho mai
incontrato qualcuno abbastanza ricco da potermi
comprare. Non sono in vendita.
Selezione dal book IO SONO FATTA COSI' * 2012
Un
semplice abito nero come sempre, capelli rossi,
rossa la bocca sul viso appena segnato dal trucco, occhi
febbrili, penetranti, presenza imperiosa, Juliette
Gréco, ex cigno nero di quella Parigi esistenzialista
che pare sopravvivere ormai solo come una curiosità per
turisti démodè, è tornata a Milano nel piccolo Teatro
delle Erbe a cogliere il suo successo di sempre. Certo,
la voce non è più quella di un tempo, si muove solo sul
registro medio a suoni petrosi. In pratica Juliette si
limita a riproporre il suo personaggio di sempre: Io
sono quello che sono, dice il titolo della sua
autobiografia, che è poi quello di una famosa canzone di
Prévert che lei interpreta spesso e con particolare
adesione. Ed e' quasi un invito, quel titolo, a non
giudicarla oggi per il mito che si porta addosso, non
per il suo romanzesco, inquieto passato ma solo per
quello che ancora sa dare al suo pubblico. Dice e pare
che canti, mormora e sembra che gorgheggi, e tanto è
forte la sua presenza scenica che il pubblico,
soggiogato, stregato, pare non accorgersi di quello che
accade. Anche le canzoni hanno un loro preciso modo di
essere, un ruolo esatto nell' economia dello spettacolo:
ognuna al suo posto in un susseguirsi di emozioni
alterne, ironia tristezza, nostalgia, un po' di quella
che una volta chiamavamo trasgressione. Un petit
poisson un petit oiseau si sposa con Bruxelles,
Accordéon prepara
il pathos di Paris canaille, Les feuilles mortes
stende una patina sospirosa su di un certo passato,
Sous le ciel de Paris riporta alla città Musette,
J'
arrive e Tango funèbre chiudono il concerto, che pare
organizzato come il ciclo di una giornata o di una vita.
In sala tutti le conoscono queste canzoni, tutti le
aspettano e quando Gerard Jouannest, pianista e marito
di Juliette, le intona, corre un brivido fra la gente
prima ancora che la cantante dica una sola parola. Ogni
canzone e' come il grano di un immaginario rosario e
lei, sola al centro del palcoscenico, dirige l'onda
emozionale con quella sua gestualità culturale, quelle
mani bianchissime nella luce dei riflettori che volano
come farfalle giunte chissà da dove a morire davanti a
noi come per un ultimo sacrificio capace di salvarci. Ed
anche le parole, che raccontano piccole storie d' amore,
si trasformano in inno, in coro, in qualcosa di
straordinario, di epico, che fa breccia e spinge all'
applauso. Un trionfo (bissato ieri al Sistina di
Roma),
si è detto, che giova anche al teatro di via Mercato,
finalmente entrato nella cultura dei milanesi.
24.3.1992 * Corriere della sera
Anche se nella biografia
"Le vite di una cantante" (di Bertrand Dicale) viene
raccontato tutto della carriera, della vita privata e
dell'opera di una donna divenuta leggenda - a partire
dall'infanzia borghese, del suo arresto a quindici anni
da parte della Gestapo, delle sue prime canzoni scelte
con Sartre, dei film prodotti da Hollywood, delle
tournées nel mondo intero - permane l'idea della donna
misteriosa, risparmiata dal passare degli anni, con la
sua voce, grave, tenera, sensuale, a volte tagliente, di
"Les feuilles mortes" e di "Déshabillez-moi". Fedele
alla propria leggenda, a se stessa, Juliette Gréco si
lascia andare nel racconto del suo amore per la vita e
per la libertà. Il libro inizia dal 1927, quando nacque
a Montpellier, nel sud della Francia. Bambina solitaria
e taciturna, figlia di un militare corso, sempre in
viaggio, e di una madre, Juliette come lei - "che
originalità!" commenta - non poco anticonformista,
"amica del cuore" del critico d'arte Elie Faure, poi
apertamente compagna di una donna, Antoinette Solas, e
del tutto priva di istinto materno. Resistente accanita,
fu arrestata e deportata nel 1943, mentre Juliette
quindicenne se la cavò per miracolo. Senza un soldo,
senza notizie della madre, si stabilì allora a
Saint-Germain. Nel maggio del 1945 ritrovò,
sopravvissute al campo di concentramento di Ravensbruck,
la madre e la sorella maggiore Charlotte. La prima le
chiese, prima ancora di salutarla: "Dov'è
Antoinette?".
FRAMMENTI & CITAZIONI
Che cosa si prova ad
essere considerata la musa dell'esistenzialismo? "E'
successo all'improvviso. Un giorno la stampa ha deciso che
che fossi l'incarnazione dell'esistenzialismo. E' stata la
prima volta che una corrente filosofica è stata
pubblicizzata come la pasta".
Juliette Gréco è
stata una delle prime artiste affermate a fidarsi di un
giovane autore di nome Gainsbourg. La sua "Javanaise" da
allora ha girato il mondo, consacrando il grande Serge nel
Panthéon della canzone francese. Oggi continua a
privilegiare i giovani autori mentre molti altri giocano
la carta della sicurezza affidandosi alle "penne" più
vendute nel panorama musicale.
Come altri cantanti,
Juliette Gréco ha fatto molte incursioni nel mondo del
cinema, apparendo in una trentina di film e nello
sceneggiato "Belfagor" per la Tv francese. Ma è stata la
canzone (il palco, le registrazioni e alcune prove come
autrice) che ha riempito la maggior parte del resto della
sua carriera, con periodi di assenza ma regolari ritorni a
l'Olympia, allo Chatelet, in Francia e all'estero. Inoltre
ha inciso diversi nuovi album che hanno visto la
collaborazione di giovani autori come Olivia Ruiz,
Miossec, Abd Al Malik, Féfé, Melody Gardot e molti
altri...
Fin dagli inizi della
sua carriera Juliette Gréco ha voluto far conoscere le
opere dei suoi autori, ha voluto cioè che attraverso di
lei passassero i nomi di coloro che destavano la sua
ammirazione. E' per questo che manterrà l'abitudine,
perduta altrove, di annunciare i nomi degli autori e dei
compositori delle canzoni prima di eseguirle.
Parigi, maggio 1949 -
Salle Pleyel - Festival Internazionale del Jazz.
Quando il quintetto di Miles Davis fa le prove, la Gréco è
fra i pochi privilegiati che riescono a intrufolarsi nella
sala. Ed è là che Michèl Vian li presenta l'uno all'altra
ed è testimone del loro reciproco "abbacinamento". "Non
avevo mai visto un uomo così bello e non ne avrei mai
visti in seguito" ricorda Juliette Gréco. "Ero dietro le
quinte mentre lui suonava. Lo vedevo di profilo: una
divinità egizia". Lei non parla inglese, lui non spiccica
una parola di francese, ma è un colpo di fulmine.
"Non diventerò certo
miliardaria con i miei dischi perché mi rifiuto di
cantare delle sciocchezze con la scusa che avranno
successo".
"Non
sono mai cresciuta: nella vita, si deve essere
disperati, felici, appassionati, meravigliati, ma mai
seri: il giorno in cui ci si prende sul serio si muore, e
perciò voglio essere vecchia, ma non adulta".
E' sempre stata definita
la musa degli esistenzialisti, ma lei veniva da
un'infanzia dura e da una adolescenza anche di miseria,
non aveva alle spalle studi di filosofia. E allora perché
i Sartre, i Queneau e gli altri la adottarono? "Francamente non lo so. Ma è stato molto importante per me
che questo sia accaduto. Non so cosa vedessero in me
quelle persone così importanti, ma mi aiutarono e mi
misero sulla buona strada. Tutto ciò che sono diventata lo
devo a loro".
Perché la canzone
francese, così popolare anche in Italia nel dopoguerra,
grazie a Piaf, Montand, Bècaud, Aznavour, Brel e tanti
altri, oggi non ha quasi alcun peso nel panorama europeo?
"E' molto semplice: perché ha subito la massiccia influenza
della musica anglo-americana che l'ha schiacciata. E' una
storia che riguarda anche l'Italia. Però sono ottimista,
perché tutto sembra ricominciare a vivere e gli autori dei
brani del mio nuovo disco ("Aimez-vous les uns les autres
ou bien disparaissez") sono in gran parte giovani. Ho
fiducia che le cose miglioreranno. E del resto io continuo
a vendere dischi, segno che c'è ancora un pubblico
disposto ad ascoltare la canzone francese".
Come è arrivata al suo
stile? "Ho sempre cantato così, fin da piccola. E poi
io non canto, interpreto. Oggi invece cantano, e tutti
nello stesso modo: così come si vestono nello stesso modo,
mentre ciò che è interessante è la poesia, la follia. Va
così per tutto, perché la gente ha paura, è diffidente.
Potrebbero e vorrebbero essere generosi, ma hanno paura.
Poca gente dice la verità, l'arte è diventata un
commercio, restano pochi artisti, e in campi dove non si
può mentire: la voce nell'opera, il corpo nella danza. La
canzone è diventata tutta uguale, un'industria"
FONTI: Corriere
della sera * Le Figaro * France Soir * Le vite di una
cantante (Bertrand Dicale) * Paris-Presse * L'Unità * La
Stampa
ARTICOLI
2005/2007
Selezioni rassegna stampa -
1993/2000
Corriere della sera -
1987/2007
Selezione interviste -
La
Nuova Sardegna (selezioni) -
Dalla
soffitta al web (Rosario Bono) -
Un
nuovo grande amore per Juliette (Tv Sorrisi e
Canzoni) -
Tour MERCI 2015 Rassegna stampa: selezione articoli e
immagini
BIBLIOGRAFIA
La
BIOGRAFIA di Luciana Peverelli
1^ parte -
2^ parte -
3^ parte -
4^ parte -
5^ parte -
6^ parte -
7^ parte
New
York 1952 (dal book "Le vite di una cantante") -
Gli
amori della Gréco cantante (dal book "Jujube") -
Selezione bibliografica -
Intervista
di Oriana Fallaci (selezione)
CINEMA e Tv
Gréco
au cinéma -
Chi ha paura di Belfagor?
Le mie RECENSIONI
Le temps d'une chanson -
Ça se traverse et c'est beau -
Tour MERCI 2015: Miracolo a Milano
Altre RECENSIONI...
Gréco
chante Brel (Il Quotidiano - Tom Tom Rock -
Popmatters)
GALLERIE FOTOGRAFICHE DEDICATE
Milton H Greene 1960 *
Buon compleanno Juliette!
JULIETTE GRECO in ALTRE GALLERIE FOTOGRAFICHE
Cosa vi siete messi in testa?
Anni Sessanta e dintorni
Incontri ravvicinati e affetti
speciali
Tele Visioni|Cento fotogrammi
in disordine sparso
Smoke gets in your eyes
Voci Divine Live
Silenzio in sala
Mirrors
23 SETTEMBRE 2020
* Oggi
Juliette Gréco ci ha lasciati. Un giorno molto
triste per tutti coloro che l'hanno seguita e
ammirata. Dai testi degli autori che ha interpretato
e dalle sue biografie credo di avere imparato molte
cose e di questo le sarò grato a vita. Le ho voluto
bene e gliene vorrò sempre... Rosario Bono
L'omaggio del
Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron
* Ansa (selezione)
"Juliette
Gréco ha fatto di tutta la sua vita un inno alla
libertà. Il suo ultimo album era semplicemente
intitolato MERCI, la gratitudine di una donna per la
ricchezza di una vita abbracciata pienamente. Però
siamo noi che dobbiamo alla Dama in nero, alla sua
voce, alla sua grazia, alle sue mani eloquenti, un
immenso grazie". Il presidente
ripercorre la vita dell'artista, dall'infanzia
silenziosa e solitaria fino all'Occupazione, con la
madre e la sorella arrestate e deportate a
Ravensbruck, per il loro impegno nella Resistenza.
"Lei stessa è sfuggita di poco a questo destino e
passò diverse settimane in prigione, a soli sedici
anni. Nella Francia del dopoguerra eccitata di
esistere nuovamente, Juliette Gréco conobbe la
felicità di una seconda nascita, con una rete di
amicizie prestigiose e travolgenti, con pittori,
filosofi e poeti che ispirava e che, in cambio, la
rivelarono a lei stessa, lodando la potenza del suo
timbro di voce grave e avvolgente, il senso
eccezionale dei testi e delle melodie. Jean-Paul
Sartre diceva che aveva nella gola milioni di
poesie che non sono state scritte e di cui se ne
scriverà qualcuna". Macron pensa anche al suo
impegno politico e sociale: "Donna di convinzione,
ha offerto numerosi concerti nelle Case della
Cultura della banlieue parigina davanti a un
pubblico di studenti ed operai. Juliette era
l'eleganza e la libertà. Ora raggiunge Brel,
Ferré, Brassens, Aznavour e
tutti coloro che interpretò nel Panthéon della
canzone francese".
le sarò grato a vita. Le ho voluto bene e gliene
vorrò sempre... Rosario Bono |