JULIETTE GRECO PAGINA INDEX AGGIORNATA AL 21.11.2020

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Signora in nero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VENEZIA - TEATRO GOLDONI - 4.11.2000 - Le luci della sala si spengono lentamente, duemila occhi attendono nel buio, mille cuori si fondono in un solo grande battito. Rapporto tempo-spazio azzerato. La musica entra in scena, attraversa la platea, sale fino ai palchi e raggiunge le ultime file con il tocco sottile di un vento tiepido, raro in laguna nelle sere di autunno inoltrato.

Juliette appare e l'applauso travolge la sua figura gentile e austera. La scultura del suo viso e le mani, come ali bianche appoggiate sul cuore, saranno la luce guida in tutto il nero che ha saputo portare dalle notti senza sonno di una Parigi difficile da dimenticare. La sua voce bruna vibra come la corda di una viola, sfiora note profonde ed evoca emozioni nascoste nelle pieghe di sentimenti dimenticati. Così le sue canzoni diventano atti compiuti, piccole pièces teatrali, ora tragiche, ora ironiche, spesso malinconiche: l'amore, la vita e la morte, affrontati con una capacità espressiva inimitabile, interpretati con una "leggerezza" che solca l'anima senza scalfirla.

Tutto questo e molto altro è Juliette, innamorata della musica che ha vestito le parole dei più grandi poeti francesi, innamorata dei suoi "cattivi compagni" (Jacques Brel, Léo Ferré, Serge Gainsbourg...) che rivivono sui palcoscenici di tutto il mondo nuove e luminose stagioni.

A Venezia ha regalato le perle di un repertorio che spazia dai brani storici della musica francese alle composizioni del suo ultimo album: Un jour d'été et quelques nuits..., nato sui testi di Jean-Claude Carriére.

Gerard Jouannest, compagno discreto e fedelissimo, autore di quasi tutte le musiche, la segue in questo magico viaggio nel tempo, accarezzando il pianoforte con l'eleganza dei musicisti di grande talento. Una magia che sembra spezzarsi durante l'interpretazione di Ne me quitte pas quando, tradita dalla tensione emotiva, interrompe a metà la canzone, scusandosi per non riuscire più a riprenderla dallo stesso punto: "E' come se qualcuno avesse improvvisamente acceso la luce mentre stavo facendo l'amore, non posso più continuare come prima...". E si fa perdonare così l'involontario fuori programma.

La Gréco, oltre ad essere attrice e cantante, è artefice della regia di ogni sua interpretazione; ogni espressione del viso, ogni gesto, è un fotogramma del film della sua vita: una proiezione in bianco e nero, senza mezzi toni, dove c'è un tempo per soffrire (Juliette ha conosciuto gli errori e gli orrori della guerra), un tempo per sorridere (quando a Saint-Germain-des-Prés si poteva pagare il conto del ristorante con una poesia) e dove non c'è posto per l'ipocrisia e la banalità. Come altri artisti "in nero", Anna Magnani, Marianne Faithfull, Lou Reed, Edith Piaf, la signora sa convivere con il fuoco della passionalità, forza esplosiva del vulcano evocato da Brel "che non riconosce niente e nessuno" e la ricerca della pace interiore, silenziosa come i ricordi portati via "dal vento del nord nella terra dell'oblio", come "le foglie morte" in autunno.

Le atmosfere, le note languide o allegre della fisarmonica, l'altalena di sensazioni e di ricordi, i profumi... non si possono descrivere completamente, seguono percorsi che i confini della scrittura non riescono a contenere. Lei fa mostra dei suoi capolavori con umiltà, porgendo al pubblico testi importanti che sa tradurre nel linguaggio universale del sentimento, dove parole e musica diventano emozione pura, attraverso uno sguardo, la mimica e le traiettorie dei gesti delle sue mani. Quelle mani che volteggiano inquiete per dipingere nell'aria tutta la forza e tutta la fragilità delle donne senza tempo e senza età.

Un'artista da amare senza riserve, così come si possono amare solo le cose preziose della vita.

Un concerto unico e raro, in un sabato sera veneziano dove, Ferré permettendo, la tenerezza, per una volta, non è rimasta senza compagnia.

Esserci è stato bellissimo. Merci, Juliette!

 

Rosario Bono

 

 

V E N I S E

 

Au bout de la nuit, Venise!

Venise où l'on n'accoste jamais avec trop de prudence. Venise  la ville sublime et fatale.

Juliette se penche sur la lagune: tricorne de carnaval sur masque blanc, cape de fourrure voluptuese. Telle Casanova, rentrant au petit jour, fatigué de moroses débauches...

V e n e z i a

 

Alla fine della notte, Venezia!

Venezia dove non attracchi mai con troppa cautela. Venezia città sublime e fatale.

Juliette si china sulla laguna: tricorno di carnevale su maschera bianca, voluttuosa mantella di pelliccia. Come Casanova, che torna all'alba, stanco di una cupa dissolutezza...

Dal book fotografico JULIETTE GRECO

Immagini di Irmeli Jung * Testi di Régine Deforges

IMPRIMERIE NATIONALE Editions

Parigi 1990

 

 

DIVINAMENTE GRECO - La mitica «voce» degli esistenzialisti in un bel concerto al Colosseo di Torino. Un repertorio classico tra passione ed ironia «Non monsieur, je n'ai pas vingt ans». Bisogna aver coraggio per cantare così quando si hanno 65 anni, e si vedono. Ma nel viso e nel corpo segnati della Gréco, gli occhi liquidi e profondi, le mani mobilissime, il nasetto arricciato, l'espressione intensa, dolente e ironica, il sorriso birichino sono giovani, giovanissimi. «C'è voluto molto talento - dice «La chanson des vieux amants» - per diventare vecchi senza diventare adulti». Come è fuori moda, come è affascinante, sentire che si può temere di più l'età adulta e il suo conformismo che le rughe. La voce, soprattutto, sente il tempo ma resta straordinaria: bassa, roca, capace di passare credibilmente dalla disperazione alla sottile presa in giro.

«Je suis comme je suis», sono come sono. In questa canzone, una delle tante che poeti come Brel e Prévert hanno scritto per lei, c'è tutta Juliette Gréco, il suo orgoglio appassionato, la sua aspra autoironia. E proprio lei, la regina dell'Olympia, la ragazza di Saint-Germain-des-Prés ritornata a 65 anni sulle scene, si è materializzata l'altra sera in un Colosseo gremito della gente benvestita di questi anni patinati e preoccupati per il futuro. Una platea piena però di un'oscura nostalgia per l'atmosfera irripetibile della Parigi del dopoguerra, quando tutto sembrava possibile, i giovani «maledetti» osavano vivere alla giornata e la Greco era la «musa degli esistenzialisti» e cantava nelle «caves», senza amplificatori da concerto rock. Ma anche in una cornice e in un tempo a lei così estranei, il suo fascino si è fatto strada.

E' difficile fare una scelta di tante canzoni: piacciono quelle più liete come «Paris canaille», «Accordéon», «Jolie móme», delizioso ritratto di ragazzina, o anche la «Si tu t'imagines» di Raymond Queneau e Joseph Kosma, sorta di «carpe diem» Anni Quaranta. Non hanno perso fascino le storie d'amore «che non finiscono mica poi tanto bene - dice lei sorridendo - boh, capita sempre così, chissà come mai»: e la platea rimane inchiodata alle note dell'inevitabile, struggente «Les feuilles mortes» di Prévert-Kosma, di «Parlez-moi d'amour» di Jean Lenoir, esulta al bis di «Ne me quitte pas» di Jacques Brel. Incanta «On n'oublie rien»: non si scorda nulla, ci si abitua soltanto. L'accompagna al pianoforte Gerard Jouannest, autore di molti brani, fra cui l'inquietante «J'arrive», dialogo con la morte scritto da Brel.

Coraggiosa, Juliette Greco, che ha saputo percorrere la sua strada fino in fondo, unire indissolubilmente vita e canzoni.

 

22.2.1991 * La Stampa

 

 

Intervista con Juliette Gréco - «La Sardegna è una terra strana e affascinante. E un pò la sintesi di tutto il Mediterraneo con le sue culture. Talvolta mi chiedo che lingua dovrebbero parlare i pesci di questo mare». Scherza Juliette Greco, con il sorriso e la raffinatezza che ha fatto del suo stile un simbolo del Novecento. E con la stessa leggerezza cortese racconta una lunga storia, che comincia tanto tempo fa, a Montparnasse.

Viene da lì il suo legame artistico con Cocteau, il debito con le avanguardie? «Sì. Alcune persone, all'alba del secolo, si riunirono lì. Cominciarono a parlare tra loro distruggendo poco a poco una certa idea di letteratura, di musica, di arte. Per farne una nuova. Poi arrivò una donna che si chiamava Marianne Oswalde, e per lei Cocteau scrisse i versi di due canzoni. Una di queste era "Anna la bonne". Lei la cantò nel locale dove si incontravano i surrealisti, "Le bouf sur le toit". Lì arrivò un'altra donna, che si chiamava Agnés Capèrie, e cantava le voci di quei poeti. La donna successiva fu la guerra. Spettò a lei il compito di distruggere molte cose, ma nello stesso tempo diede forza a persone come Prevert, ai suoi versi musicati da Kosma»

Fu allora che arrivò una donna che si chiamava Juliette Greco... «Scoprii quelle canzoni durante la Liberazione. A partire da quel momento capii il mio ruolo, la mia missione. E non ho mai smesso di cantarle».

Ma il mondo è cambiato. Oggi dove vanno la poesia e la musica? «La strada è sempre la stessa, sempre difficile, e come in ogni epoca ci sono cose belle e brutte. Le canzoni belle, scritte da veri poeti e musicisti, ora si conoscono di più. Quelle meno belle sono come la frutta: non sopportano i lunghi viaggi, vanno a male prima».

Lei canta Prevert, i paesaggi francesi, lo spirito della Senna. Tutto questo esiste ancora o è solo poesia? «Esiste ancora ed esisterà sempre. Fino a che esisteranno le persone giovani ci sarà la bellezza, e quindi la musica e la poesia».

Ha avuto legami importanti con tanti grandi del Novecento. Sono solo un ricordo o li porta con sé ogni volta che sale sulla scena? «Tutto ciò che ho vissuto è dentro di me. Sono cose vive, che mi accompagnano in ogni momento della vita, in ogni cosa che faccio».

La sua voce sa graffiare alla maniera di Kurt Weill, ma dice di amare Caetano Veloso. Cosa riconosce come suo nella musica sudamericana? «Adoro la musica brasiliana. Ho fatto li il mio primo viaggio in tournée. E ho scoperto un mondo dove le cose più belle convivono con le più terribili. Un mondo che puoi leggere sui volti bellissimi di donne e di bambini. Pieno di uccelli colorati. Un paradiso terrestre che nasconde l'inferno. E un popolo che amo, perché sa parlare del dolore mentre sorride, e possiede la calma e la saggezza. La musica di Veloso racconta in modo sorprendente tutto questo. E toccante, ha basi ritmiche straordinarie, e ha la bellezza giovane della semplicità».

 

23.7.2000 * La Nuova Sardegna

 

 

Nel Libano la Gréco si immerge nel profumo del gelsomino, quello del suo primo viaggio di nozze. Lei e Philippe Lemaire formano una bella coppia. Sono ricevuti come sanno ricevere i libanesi. E' tutto dire. Vengono festeggiati. Li porteranno a visitare una Ballbek ancora vergine di festival. Arrivano fino a Damasco, attraversando una frontiera severa, e passeggiano nei suk più favolosi che ci siano. Profumati, formicolanti di gente, colorati e rumorosi. Comprano stoffe preziose e se ne vanno, con la testa che gira un po' e le orecchie piene dei gridi dei mercanti. La sera, la Gréco non deve cantare. Passeggeranno lentamente per le vie, con collane di gelsomini intorno al collo. Silenziosi.

 

Juliette Gréco sarà la prima cantante francese ad avere accesso su una scena tedesca dopo la Liberazione. L'avvenimento non mancherà di intoppi. La conferenza stampa tenuta in suo onore all'ultimo piano di un lussuoso albergo americano berlinese, farà di lei, l'indomani mattina e sulla prima pagina di tutti i giornali di qualsiasi tendenza, un oggetto di scandalo. Lei dirà la sua verità. Confermerà la propria diffidenza, la propria inquietudine, la propria memoria recente e insieme la propria speranza nella generazione dei giovanissimi. Generazione, dice, i cui genitori non sono responsabili dei figli, ma i cui figli si sentono orribilmente responsabili dei propri genitori. Il giorno del suo primo concerto, e per molti anni dopo, i ragazzi e le ragazze verranno a chiederle se è vero che lei nutre odio per il popolo tedesco. Emozionata e turbata lei risponderà che la verità è altrove, dentro il passato dei loro genitori, giacché per quello che riguarda i loro padri e le loro madri lei non può garantire niente. Loro soli detengono la risposta. Per lei, la piaga rimane aperta.

 

La Gréco è sensibile e attenta alla critica. Ne tiene conto. Vorrebbe avvicinarsi alla verità, perfezione depurata. Misura il cammino da percorrere ma persiste. Ha pochi amici nel suo mestiere, ad eccezione degli orchestrali, autori e compositori di cui ha cantato e interpretato le opere.

 

Selezioni dal book JUJUBE * 1982

 

 

Il lato positivo del cinema è che mi fa guadagnare. Ho ventiquattro anni e dei soldi in tasca. Passeggiando per le strade di Nizza, passo davanti alla vetrina di una gioielleria. Il sole di mezzogiorno risplende e fa scintillare di bagliori colorati uno strano oggetto. Affascinante. Non resisto e varco la soglia del negozio. Cedendo a un colpo di fulmine, mi regalo il primo vero gioiello della mia vita: un cristallo tagliato a forma di sigillo, montato su una base d'oro con due piccoli rubini. L'ho comprato d'occasione e l'ho portato molto: il trofeo della mia indipendenza economica. A quell'epoca vivevo in un piccolo appartamento di Parigi. Un mattino ricevo una lettera da Londra. Una casa di produzione americana desidera vedermi. Il messaggio è firmato David O. Selznick. Nella busta ci sono i biglietti dell'aereo e la prenotazione all'Hotel Savoy. Non occorre altro per solleticare la mia istintiva curiosità. Appena arrivata mi accompagnano agli uffici del regista. Affascinante, capelli brizzolati, sguardo penetrante, David O. Selznick siede dietro la scrivania, con i documenti sul tavolo. "Abbiamo molti progetti cinematografici per lei. Le spiego come si svolgono le cose: le garantiamo un contratto della durata di sette anni. Ci occuperemo noi di tutto: scelta dei ruoli, pubblicità, vestiti, acconciature. Forse dovrà tagliarsi i capelli...". Non ci ho più visto. Mi sono alzata e l'ho interrotto seccamente: "La ringrazio molto, ma ho un carattere terribile, sono un cavallo indomabile".Il tempo di recuperare la mia valigia e corro a prendere il primo aereo per Parigi. Da quell'esperienza ho imparato che rifiuto istintivamente ogni forma di possesso e di alienazione. Non ho mai incontrato qualcuno abbastanza ricco da potermi comprare. Non sono in vendita.

 

Selezione dal book IO SONO FATTA COSI' * 2012

 

 

Un semplice abito nero come sempre, capelli rossi, rossa la bocca sul viso appena segnato dal trucco, occhi febbrili, penetranti, presenza imperiosa, Juliette Gréco, ex cigno nero di quella Parigi esistenzialista che pare sopravvivere ormai solo come una curiosità per turisti démodè, è tornata a Milano nel piccolo Teatro delle Erbe a cogliere il suo successo di sempre. Certo, la voce non è più quella di un tempo, si muove solo sul registro medio a suoni petrosi. In pratica Juliette si limita a riproporre il suo personaggio di sempre: Io sono quello che sono, dice il titolo della sua autobiografia, che è poi quello di una famosa canzone di Prévert che lei interpreta spesso e con particolare adesione. Ed e' quasi un invito, quel titolo, a non giudicarla oggi per il mito che si porta addosso, non per il suo romanzesco, inquieto passato ma solo per quello che ancora sa dare al suo pubblico. Dice e pare che canti, mormora e sembra che gorgheggi, e tanto è forte la sua presenza scenica che il pubblico, soggiogato, stregato, pare non accorgersi di quello che accade. Anche le canzoni hanno un loro preciso modo di essere, un ruolo esatto nell' economia dello spettacolo: ognuna al suo posto in un susseguirsi di emozioni alterne, ironia tristezza, nostalgia, un po' di quella che una volta chiamavamo trasgressione. Un petit poisson un petit oiseau si sposa con Bruxelles, Accordéon prepara il pathos di Paris canaille, Les feuilles mortes stende una patina sospirosa su di un certo passato, Sous le ciel de Paris riporta alla città Musette, J' arrive e Tango funèbre chiudono il concerto, che pare organizzato come il ciclo di una giornata o di una vita. In sala tutti le conoscono queste canzoni, tutti le aspettano e quando Gerard Jouannest, pianista e marito di Juliette, le intona, corre un brivido fra la gente prima ancora che la cantante dica una sola parola. Ogni canzone e' come il grano di un immaginario rosario e lei, sola al centro del palcoscenico, dirige l'onda emozionale con quella sua gestualità culturale, quelle mani bianchissime nella luce dei riflettori che volano come farfalle giunte chissà da dove a morire davanti a noi come per un ultimo sacrificio capace di salvarci. Ed anche le parole, che raccontano piccole storie d' amore, si trasformano in inno, in coro, in qualcosa di straordinario, di epico, che fa breccia e spinge all' applauso. Un trionfo (bissato ieri al Sistina di Roma), si è detto, che giova anche al teatro di via Mercato, finalmente entrato nella cultura dei milanesi.

 

24.3.1992 * Corriere della sera

 

 

Anche se nella biografia "Le vite di una cantante" (di Bertrand Dicale) viene raccontato tutto della carriera, della vita privata e dell'opera di una donna divenuta leggenda - a partire dall'infanzia borghese, del suo arresto a quindici anni da parte della Gestapo, delle sue prime canzoni scelte con Sartre, dei film prodotti da Hollywood, delle tournées nel mondo intero - permane l'idea della donna misteriosa, risparmiata dal passare degli anni, con la sua voce, grave, tenera, sensuale, a volte tagliente, di "Les feuilles mortes" e di "Déshabillez-moi". Fedele alla propria leggenda, a se stessa, Juliette Gréco si lascia andare nel racconto del suo amore per la vita e per la libertà. Il libro inizia dal 1927, quando nacque a Montpellier, nel sud della Francia. Bambina solitaria e taciturna, figlia di un militare corso, sempre in viaggio, e di una madre, Juliette come lei - "che originalità!" commenta - non poco anticonformista, "amica del cuore" del critico d'arte Elie Faure, poi apertamente compagna di una donna, Antoinette Solas, e del tutto priva di istinto materno. Resistente accanita, fu arrestata e deportata nel 1943, mentre Juliette quindicenne se la cavò per miracolo. Senza un soldo, senza notizie della madre, si stabilì allora a Saint-Germain. Nel maggio del 1945 ritrovò, sopravvissute al campo di concentramento di Ravensbruck, la madre e la sorella maggiore Charlotte. La prima le chiese, prima ancora di salutarla: "Dov'è Antoinette?".

 

24.11.2003 * L'Unità

 

 

FRAMMENTI & CITAZIONI

 

Che cosa si prova ad essere considerata la musa dell'esistenzialismo? "E' successo all'improvviso. Un giorno la stampa ha deciso che che fossi l'incarnazione dell'esistenzialismo. E' stata la prima volta che una corrente filosofica è stata pubblicizzata come la pasta".

 

Juliette Gréco è stata una delle prime artiste affermate a fidarsi di un giovane autore di nome Gainsbourg. La sua "Javanaise" da allora ha girato il mondo, consacrando il grande Serge nel Panthéon della canzone francese. Oggi continua a privilegiare i giovani autori mentre molti altri giocano la carta della sicurezza affidandosi alle "penne" più vendute nel panorama musicale.

 

Come altri cantanti, Juliette Gréco ha fatto molte incursioni nel mondo del cinema, apparendo in una trentina di film e nello sceneggiato "Belfagor" per la Tv francese. Ma è stata la canzone (il palco, le registrazioni e alcune prove come autrice) che ha riempito la maggior parte del resto della sua carriera, con periodi di assenza ma regolari ritorni a l'Olympia, allo Chatelet, in Francia e all'estero. Inoltre ha inciso diversi nuovi album che hanno visto la collaborazione di giovani autori come Olivia Ruiz, Miossec, Abd Al Malik, Féfé, Melody Gardot e molti altri...

 

Fin dagli inizi della sua carriera Juliette Gréco ha voluto far conoscere le opere dei suoi autori, ha voluto cioè che attraverso di lei passassero i nomi di coloro che destavano la sua ammirazione. E' per questo che manterrà l'abitudine, perduta altrove, di annunciare i nomi degli autori e dei compositori delle canzoni prima di eseguirle.

 

Parigi, maggio 1949 - Salle Pleyel - Festival Internazionale del Jazz. Quando il quintetto di Miles Davis fa le prove, la Gréco è fra i pochi privilegiati che riescono a intrufolarsi nella sala. Ed è là che Michèl Vian li presenta l'uno all'altra ed è testimone del loro reciproco "abbacinamento". "Non avevo mai visto un uomo così bello e non ne avrei mai visti in seguito" ricorda Juliette Gréco. "Ero dietro le quinte mentre lui suonava. Lo vedevo di profilo: una divinità egizia". Lei non parla inglese, lui non spiccica una parola di francese, ma è un colpo di fulmine.

 

 

"Non diventerò certo miliardaria con i miei dischi perché mi rifiuto di cantare delle sciocchezze con la scusa che avranno successo".

 

"Non sono mai cresciuta: nella vita, si deve essere disperati, felici, appassionati, meravigliati, ma mai seri: il giorno in cui ci si prende sul serio si muore, e perciò voglio essere vecchia, ma non adulta".

 

E' sempre stata definita la musa degli esistenzialisti, ma lei veniva da un'infanzia dura e da una adolescenza anche di miseria, non aveva alle spalle studi di filosofia. E allora perché i Sartre, i Queneau e gli altri la adottarono? "Francamente non lo so. Ma è stato molto importante per me che questo sia accaduto. Non so cosa vedessero in me quelle persone così importanti, ma mi aiutarono e mi misero sulla buona strada. Tutto ciò che sono diventata lo devo a loro".

 

Perché la canzone francese, così popolare anche in Italia nel dopoguerra, grazie a Piaf, Montand, Bècaud, Aznavour, Brel e tanti altri, oggi non ha quasi alcun peso nel panorama europeo? "E' molto semplice: perché ha subito la massiccia influenza della musica anglo-americana che l'ha schiacciata. E' una storia che riguarda anche l'Italia. Però sono ottimista, perché tutto sembra ricominciare a vivere e gli autori dei brani del mio nuovo disco ("Aimez-vous les uns les autres ou bien disparaissez") sono in gran parte giovani. Ho fiducia che le cose miglioreranno. E del resto io continuo a vendere dischi, segno che c'è ancora un pubblico disposto ad ascoltare la canzone francese".

 

Come è arrivata al suo stile? "Ho sempre cantato così, fin da piccola. E poi io non canto, interpreto. Oggi invece cantano, e tutti nello stesso modo: così come si vestono nello stesso modo, mentre ciò che è interessante è la poesia, la follia. Va così per tutto, perché la gente ha paura, è diffidente. Potrebbero e vorrebbero essere generosi, ma hanno paura. Poca gente dice la verità, l'arte è diventata un commercio, restano pochi artisti, e in campi dove non si può mentire: la voce nell'opera, il corpo nella danza. La canzone è diventata tutta uguale, un'industria"

 

FONTI: Corriere della sera * Le Figaro * France Soir * Le vite di una cantante (Bertrand Dicale) * Paris-Presse * L'Unità * La Stampa

 

 

ARTICOLI 2005/2007 Selezioni rassegna stampa - 1993/2000 Corriere della sera - 1987/2007 Selezione interviste - La Nuova Sardegna (selezioni) - Dalla soffitta al web (Rosario Bono) - Un nuovo grande amore per Juliette (Tv Sorrisi e Canzoni) - Tour MERCI 2015 Rassegna stampa: selezione articoli e immagini

 

BIBLIOGRAFIA

La BIOGRAFIA di Luciana Peverelli

1^ parte - 2^ parte - 3^ parte - 4^ parte - 5^ parte - 6^ parte - 7^ parte

 

New York 1952 (dal book "Le vite di una cantante") - Gli amori della Gréco cantante (dal book "Jujube") - Selezione bibliografica - Intervista di Oriana Fallaci (selezione)

 

CINEMA e Tv

Gréco au cinéma - Chi ha paura di Belfagor?

 

Le mie RECENSIONI

Le temps d'une chanson - Ça se traverse et c'est beau - Tour MERCI 2015: Miracolo a Milano

 

Altre RECENSIONI...

Gréco chante Brel (Il Quotidiano - Tom Tom Rock - Popmatters)

 

 

GALLERIE FOTOGRAFICHE DEDICATE

Milton H Greene 1960 * Buon compleanno Juliette!

 

JULIETTE GRECO in ALTRE GALLERIE FOTOGRAFICHE

Cosa vi siete messi in testa?

Anni Sessanta e dintorni

Incontri ravvicinati e affetti speciali

Tele Visioni|Cento fotogrammi in disordine sparso

Smoke gets in your eyes

Voci Divine Live

Silenzio in sala

Mirrors

 

 

 

23 SETTEMBRE 2020 * Oggi Juliette Gréco ci ha lasciati. Un giorno molto triste per tutti coloro che l'hanno seguita e ammirata. Dai testi degli autori che ha interpretato e dalle sue biografie credo di avere imparato molte cose e di questo le sarò grato a vita. Le ho voluto bene e gliene vorrò sempre... Rosario Bono

 

L'omaggio del Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron * Ansa (selezione)

 

"Juliette Gréco ha fatto di tutta la sua vita un inno alla libertà. Il suo ultimo album era semplicemente intitolato MERCI, la gratitudine di una donna per la ricchezza di una vita abbracciata pienamente. Però siamo noi che dobbiamo alla Dama in nero, alla sua voce, alla sua grazia, alle sue mani eloquenti, un immenso grazie". Il presidente ripercorre la vita dell'artista, dall'infanzia silenziosa e solitaria fino all'Occupazione, con la madre e la sorella arrestate e deportate a Ravensbruck, per il loro impegno nella Resistenza. "Lei stessa è sfuggita di poco a questo destino e passò diverse settimane in prigione, a soli sedici anni. Nella Francia del dopoguerra eccitata di esistere nuovamente, Juliette Gréco conobbe la felicità di una seconda nascita, con una rete di amicizie prestigiose e travolgenti, con pittori, filosofi e poeti che ispirava e che, in cambio, la rivelarono a lei stessa, lodando la potenza del suo timbro di voce grave e avvolgente, il senso eccezionale dei testi e delle melodie. Jean-Paul Sartre diceva che aveva nella gola milioni di poesie che non sono state scritte e di cui se ne scriverà qualcuna". Macron pensa anche al suo impegno politico e sociale: "Donna di convinzione, ha offerto numerosi concerti nelle Case della Cultura della banlieue parigina davanti a un pubblico di studenti ed operai. Juliette era l'eleganza e la libertà. Ora raggiunge Brel, Ferré, Brassens, Aznavour e tutti coloro che interpretò nel Panthéon della canzone francese".

 

 

le sarò grato a vita. Le ho voluto bene e gliene vorrò sempre... Rosario Bono

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

JULIETTE GRECO PAGINA INDEX AGGIORNATA AL 21.11.2020