Gli amori della Gréco
cantante
SELEZIONE DALL'AUTOBIOGRAFIA "JUJUBE" - EDITIONS STOCK -
FRANCIA - 1982
Venticinque anni orsono,
si presentò dalla Gréco, in rue Berri, un giovane, una specie
di cavallo di razza sfiancato, il viso pallidissimo, una
chitarra nella custodia penzolante all'estremità del suo
braccio destro. Si mise a cantare e diventò bello. La Gréco
rimase ad ascoltarlo, trattenendo il respiro, finché non
avesse finito e il tempo non avesse ripreso i suoi diritti e
il suo rumore sordo d'orologio, implacabile. Era sbalordita.
Si chiamava Jacques Brel. Veniva dal Belgio ed era
praticamente sconosciuto. Jujube (soprannome di
Juliette) dopo un gran silenzio gli disse che sicuramente lui
cantava le sue canzoni meglio di chiunque altro e gli chiese
quale gli sembrava la più difficile da difendere davanti al
pubblico. "Ca va, le diable". Canzone premonitrice e
terribile.
Il pubblico cominciò col rifiutare le
verità scritte da Brel e trasmesse dalla Gréco. Lo
disturbavano troppo nella sua confortevole nicchia morbida.
Anche la natura se ne immischiò. La Gréco partiva, poco tempo
dopo quell'incontro, per una lunga tournée estiva. Non appena
attaccava, all'aria aperta le prime parole della canzone,
capitava di frequente che si alzasse il vento, che si
sentissero rumori inconsulti, e che qualcosa di insolito, o
addirittura di strano, venisse in quel preciso istante a
turbare la serata. Ma la Gréco testarda volle insistere e gli
spiriti maligni si scoraggiarono. A lungo andare, la canzone
ebbe un grande successo. ...
Jacques diventò Brel.
Tornò nel 1959 accompagnato da Gérard Jouannest, a casa sua,
in rue de Verneuil. Portava una canzone: "On n'oublie rien".
Lui non aveva dimenticato niente e non ha mai dimenticato
coloro che amava. E neanche gli altri. Gérard Jouannest
lavorava in collaborazione con Jacques Brel e ha scritto la
musica di almeno quaranta dei suoi più grandi successi. A
Jacques piaceva creare sulle musiche di Gérard. Creavano
l'immagine e aiutavano le idee a correre ancor più veloci, a
prendere forma, a volte anche a nascere. Jujube era
fiera. Brel ha scritto per lei sola delle canzoni che
continuerà a servire con tutto l'amore che prova per quei due
uomini. Il corpo di Brel è morto. Inutile. La sua opera vive,
come il suo ricordo. Jujube canta ora
accompagnata al piano da Gérard Jouannest, quello che
accompagnò Jacques fino al suo ultimo concerto. Nessuno canta
o vive la propria vita come un altro, e Jacques è certamente
più di ogni altro insostituibile. Gréco canta Brel, e
Jouannest e Brel. E' il suo modo personale di mettere fiori
sulla sua tomba. Era stato lui a seminarli. Non basta
annaffiarli con le lacrime, bisogna continuare ad aiutarli a
fiorire.
Anche Brassens ha fatto dei regali alla
Gréco. Brassens il grande, il sontuoso anarchico, quello che i
bambini cantano già nelle scuole, Brassens l'amicizia. Burbero
ma sicuro. "L'auvergnat"... Era andata a sentirlo all'Olympia
nel 1954, e aveva coraggiosamente affrontato le quinte perché
si trattava di una diurna e c'era solo poca gente autorizzata
a varcare la soglia che separa l'artista dal pubblico. Lei gli
disse la sua felicità e Brassens le chiese le sue preferenze.
Andavano a "L'auvergnat". Lui afferrò un foglio di carta
velina verde e copiò le parole, poi le tese il tesoro
sorridendo con molta tenerezza: "Tieni, è per te...". La Gréco
non piegò il foglio e se lo portò via ben stretto fino
all'albergo. Debuttava tre giorni dopo a Bobino e non c'era
tempo da perdere. La canzone fu un trionfo e oggi è un
classico allo stesso titolo di quasi tutte le creazioni di
Brassens. Più tardi scrisse per lei "Le temps passé". Anche a
quello lei è affezionata.
Stupefatta, ha riletto qualche
tempo fa
la lista dei suoi autori e compositori: Prévert e Kosma, Jean-Paul Sartre, François Mauriac e la sua giovinezza con
"L'ombre"; Léo Ferré accompagnato dai suoi amori folli e dai
suoi odii razionali, inventore di un nuovo argot (dialetto
parigino) poetico e sensuale, per non dire sessuale;
Gainsbourg, il musicista, il pittore, lo scrittore, il poeta,
l'uomo luce nera, l'uomo dai mille talenti e le mille
inquietudini; Bobo, Boris Vian, il tempo della musica e della
morte al ritmo di quel suo cuore troppo grosso per cui è morto
così in fretta, portando via con sé quello degli altri, di
coloro che amava e che lo amavano; Desnos, essere umano
scomparso in una nebbia gelida e indegna; Aznavour, il grande
piccolo uomo; Guy Béart e le sue segrete ferite annidate sotto
il sorriso; Mac Orlan e i suoi viaggi immobili, Mac Orlan e il
suo berretto a scacchi pieno di aneddoti così sorprendenti,
che lui tirava fuori come il prestigiatore tira fuori i
fazzoletti o il coniglio dal fondo del cilindro. Ma il
berretto non era truccato. Françoise Dorin con Gaby Verlor:
"Je voudrais faire une chanson", Françoise Dorin che è
riuscita a incantare gli altri, piccolo miracolo di seduzione,
di femminilità, di estrema intelligenza; Gaby Verlor, l'appassionata
generosa, quella del "Petit bal perdu", di "Déshabillez-moi",
in compagnia di Robert Nyel dinoccolato e ricco di talento,
capace di raggiungere una sorta di perfezione nella
semplicità. Jean Ferrat, la sua voce e sulle labbra il fiore
porpora Aragon. Pierre Louki, il fantasioso crudele dal riso
iperacuto e drammatico, "L'arbre mort". Fanon, Maurice,
l'appassionato, il generoso, il fanatico dell'amore della
parola e dell'amore. Il tenero, toccante "L'embellie", "La
folle", "Mon fils chante", e tanti altri capolavori. Gougaud,
Henri, il creatore di meraviglie, Henri vicino al cuore dei
misteri e quello delle donne, degli esseri umani, "Vivre",
"Non, Monsieur, je n'ai pas vingt ans"... e tante altre.
Georges Neveux e "Les amours perdues". Florence Véran, che
scrisse la musica del famoso "Je hais les dimanches" su parole
di Aznavour e Pierre Roche. Pierre Delanoe, colui che conosce
tutto di questo mestiere, l'orafo della canzone, "De Pantin a
Pékin". Jean Dréjac e Hubert Giaraud, con quel pezzo di "Ciel
de Paris" che la Gréco continua a portare accuratamente in
ognuno dei suoi viaggi intorno al mondo, e che, giunta sulla
scena, spiega come una bandiera. Bottom, Frédéric, circondato
dai suoi "pinguini" e dalle sue "pinguine" e che coltiva il
giardino delle sue amicizie. Jean-Loup Dabadie, quello non si
sbaglia mai qualunque cosa intraprenda, ma che ne sorriderà
sempre, e di quale sorriso: "Ta jalousie". Georges Walter e
Philippe Gérard, "Les canotiers", bellezza pura e perfetta, un
Manet, un Monet, un Renoir in musica. Georges Walter lo
scrittore e Philippe Gérard il musicista acuto e completo che
tutti sappiamo. Maurice Vidalin, l'uomo e i suoi tesori
pudichi, il segreto, l'inclassificabile, l'emarginato, il
poeta che senza mai cambiare né fare concessioni è riuscito a
trovare il cuore di un immenso pubblico e a conservarlo.
Jacques Datin il musicista, l'amico scomparso che ciascuno
continuerà a cercare per ritrovare un istante le sue mani sul
pianoforte e il suo riso tenero, l'amico di Vidalin e il
nostro. Partito "jusqu'à où jusqu'à quand", eccetera.
Del tonante e prolifico Bernard Dimey,
il magnifico brano "Nos chères maisons", oltre a una serie
poetica registrata con Pierre Brasseur e che non ha mai visto
la luce. Jean-Marc Rivière e Gérard Bourgeois, irresistibile
tandem biondo e bruno, belli e alti, associazione d'urto per
signore sensibili e cantanti in cerca di buone canzoni. "Un
petit poisson, un petit oiseau"... L'amico Yvan Audouard e la
sua "propriétaire" al vetriolo, puro frutto dell'umorismo
audouardesco, musicato da un giovane sconosciuto diventato
cantante crooner rubacuori, Charles Dumont. Molto, molto bene.
Henri Tachan, lo scorticato vivo, il "contorto dalle fiamme
che gli bruciano il cervello e l'anima". "La mort de juju".
Marguerite Duras e Georges Delerue, incontro di due geni per
"Le square". Henri Colpi e di nuovo Georges Delerue, "Trois
petits notes de musique". Senza commenti. "L'opera da tre
soldi" che Gréco canterà ai sui esordi a La Rose Rouge. Pierre
Seghers, un grand'uomo poeta, un ometto maledettamente vivace,
maledettamente vivo. Raymond Queneau, il cui riso enorme mai
si spegnerà, la cui opera rimarrà, sorprendente e calda,
palpitando tra le pagine dei suoi libri. Françoise Sagan e
qualche minuto del suo universo così particolare con una
musica di Michel Magne al servizio delle parole. Tra due sogni
Moustaki: "Madame". E poi Jacques Brel e i sui regali scritti
per lei e offerti semplicemente: "Je suis bien", "Vieille"
eccetera. L'ultimo sorriso prossimo alle lacrime sarà "Voir un
ami pleurer".
Signor Charles Trenet,
tu senza il quale la canzone non potrebbe essere quale tu
l'hai aiutata a diventare, tu a cui autori e compositori
debbono tanto, tu che, nonostante ciò che rappresenti agli
occhi di tutti, hai terminato per una piccola Gréco "Coin de
rue" sull'angolo di una tovaglia di carta bianca che ricopriva
il tavolo del ristorante dove avevi condiviso e offerto una
frittata a una Jujube soggiogata. "Les nuages"... Mai un ristorante ha
giustificato con tanta grazia il suo nome!
Jean-Paul Sartre, Jules Laforgue,
Aragon, Eluard, Marie Noel, Prévert tante volte, Jean Renoir,
François Billetdoux, Luise Labé... L'elenco è troppo lungo e
gli incontri troppo belli, Jujube non ci può credere. La
Gréco ha vissuto, assaporando i testi di tutti con un amore e
un piacere quasi sensuali tanto era grande la sua violenza nel
voler tradurre e fare suoi i pensieri di quelli che aveva
scelto di servire. Niente è dovuto al caso; ogni cosa lei l'ha
desiderata, studiata e vissuta.
Anche gli orchestratori sono il
risultato di una scelta. Essi hanno un posto primordiale
nell'espressione di un testo e della sua musica. Tra loro,
compositori come André Popp, Alain Goraguer, Jean-Michel
Défaye, Claude Bolling, Philippe Gérard, Bernard Gérard e, per
i suoi esordi nel disco, Michel Legrand! Viziatissima Gréco. Con François Rauber ci sarà amicizia
oltre che complicità musicale. Anche con sua moglie Françoise.
François Rauber, orchestratore di tutti i dischi di Brel, uomo
severo e allegro e musicista rispettato e amato da tutti.
Difficile. Nel corso degli anni, da tutto ciò sono nati
rapporti rari.
Ha un posto molto importante
nella vita della Gréco e in quella di Jujube la presenza da più di
vent'anni di Pierre Carrère. La illumina in sena. La accarezza
con lunghe lame di luce, la trasforma, l'avviluppa pudicamente
o la offre allo spettatore a seconda della sua scelta. Scelta
dettata dalla sua profonda comprensione del testo e dei suoi
colori specifici. Ha un ingegno immenso. E' amico di Jujube.
Jujube è amica sua. Gli vuol bene. Lui condivide tutti i
suoi viaggi, tutte le avventure. Rischiano tutto insieme.
La Gréco, come i nove decimi dei
cantanti, ha un Marouani. I Marouani sono una grande famiglia
tribale, tutti agenti teatrali di padre in fratello, di figlio
in cugino, di zio in nipote. Il suo è Maurice D. Marouani. Ha
per lui una grande tenerezza e un'amicizia reale. Anche lui
viaggia, per quanto possibile, con la sua cantante. Le vuole
molto bene.
Durante una tournée in America Latina,
Cile, Argentina, Brasile, lei tornerà al Teatro Lirico di
Città del Messico. La città nella quale aveva incontrato D. F.
Zanuck e girato e riso e vissuto con Tyron Power, Mel Ferrer,
Ava Gardner, Henry King, Gregory Ratoff, Audrey Hepburn e
tanti altri, un'avventura importante come può esserlo ogni
film, un'avventura simile a una traversata su una nave chiusa,
come può esserlo una nave che non faccia mai scalo fino al
porto che è la sua destinazione finale. Un'unione forzata di
tre mesi, o più, o meno, ma forzata. Può essere meraviglioso,
insopportabile o follemente divertente e istruttivo se si ha
la "salute"... Jujube ha la "salute" sufficiente per queste
traversate immobili. Ne uscirà indenne e arricchita di una
nuova esperienza.
Col passare degli anni lei si ritroverà
sulla scena immensa dell'Opéra, sola come altrove, ma con la
memoria ronzante, sonora, privata di certi visi amati
scomparsi. La prima sera sarà un successo enorme davanti a una
sala piena solo per metà. La sala il giorno dopo sarà piena,
prenotata per tutta la durata delle rappresentazioni. Non sarà
un fenomeno unico nella carriera della Gréco. La sua fama di
cantante "intellettuale" respingerà all'inizio una certa parte
del pubblico. Il fenomeno si ripeterà praticamente ogni volta.
La stampa locale si incaricherà di smentire. A Jujube piacciono i
giornalisti. Ne ha conosciuti molti e ha incontrato fra loro
pochi amici, ma sicuri. Capisce il loro mestiere quando è
fatto dignitosamente e disprezza in maniera assoluta una certa
forma di stampa, quella che uccide e che avvilisce. Becchini vuota-cessi. La Gréco deve molto a chi ha osservato con cura il
suo lavoro, criticando per costruire, amandola o ferendola
crudelmente. Certi attori, certi cantanti, dicono con un
sorrisetto che "se ne fregano" altamente della critica e dei
critici. La Gréco confessa che non dorme la notte dopo una
"prova generale" o un recital. Aspetta i giornali del
mattino...
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