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Gréco Talks

 

Selezione interviste: 1987-2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

23.10.1987 - Juliette Gréco vuole andare via da Parigi e sta cercando il coraggio di farlo. Ho aperto la finestra della mia casa di campagna e ho visto passare un fagiano, no, forse era una fagiana; camminava fiera, ed ho capito che l' essenza della vita era tutta lì; in quell' uccello, nei fiori, nel verde del bosco. Credo che presto deciderò di vivere stabilmente in campagna. Parigi non è più la stessa, oggi mi piace di più Roma. Vengo spesso, sono contenta di cantare qui. Una donna fuori dalle mode. Sono come sono, non potrei essere diversa, fingere mi è impossibile. Sono così, senza passato e senza rimpianti; desideri tanti. Alcuni si possono dire, altri no. Desidero vivere ancora per molto tempo, vorrei vedere il mondo pacificato, vedere le guerre finire. Per questo confido nei giovani, i giovani non vogliono la guerra. Sono certa che finirà, mi costringo ad esserne certa: la vita è fatta di fiducia o di disperazione. E' facile convivere con un passato come il suo? Il passato è passato, l' unico momento in cui mi tornano in mente quegli anni dei quali tutti sono ancora così curiosi è quando penso ai miei amici come se fossero ancora vivi. Alle volte penso "Questa cosa devo dirla a Boris Vian", ma Boris è morto. Odio la morte perchè mi ha tolto tutti gli amici. Oggi si sente sola? Sola? E perchè? La solitudine è rinuncia, è rassegnazione oppure è una scelta. Non mi sento mai sola, ho la mia casa di campagna, ho la mia musica. La amo tutta la musica, quella che ascolto di più è la classica; no, l' opera non posso ascoltarla spesso: sono troppo sensibile alle voci, alle volte mi disturbano, come le persone. Credo che senza musica morirei. Greco interprete, Greco che canta Prevert, Brel, Ferrè, Brassens, e mai se stessa. Eppure ha scritto delle canzoni... La pudeur, il pudore mi trattiene. Non è proprio vergogna, è quella riservatezza che mi hanno insegnato da piccola. Non posso dare la mia anima in pasto al pubblico, preferisco cantare quella degli altri. Ecco, sono al servizio degli altri, una servante di lusso. Come cambia il suo repertorio, oggi che i grandi chansonnier non ci sono più? Ce ne sono di nuovi, sono giovani, cresceranno. In Francia c' è una generazione di autori in cui confido molto; sono stata viziata dal mio passato, lo ammetto, non tutti hanno avuto a disposizione gli autori che ho avuto io. Non è mai stanca, canta da anni le stesse canzoni, quando una la annoia la lascia, e poi la ritrova con più entusiasmo, e questo le accade anche con la gente. Faccio sempre e solo quello che mi va di fare, è l' unico modo per restare sempre se stessi. Alle volte sbaglio, ma è giusto così, non sono Dio, non vorrei esserlo. L' unico rapporto che ho con Dio è attraverso il parroco della chiesa del mio paese di campagna. A parte il suo mestiere è un uomo meraviglioso. Ha scelto di vivere in un modo diverso dagli altri preti. Ho comprato una panca nuova per la sua chiesa, anche se non ci sono mai entrata. Dopo la sua autobiografia, "Jujube", Greco sta scrivendo un libro di novelle. Racconto il mondo degli adulti visto dai bambini, e le assicuro che non fa ridere. I bambini hanno uno sguardo feroce, non sono crudeli, né cattivi. Soltanto feroci, e hanno ragione. Il primo sguardo di bambino che ho visto è stato il mio; no, non quello di mia figlia, ho visto prima il mio. E' lo stesso sguardo che ho adesso, è l' unica cosa che ho conservato di me bambina. Anche questa sera Greco sarà vestita di nero? Di nero, o, d' estate, di bianco. Non conosco altri colori. Sul palcoscenico poi soltanto il nero; mi protegge, mi difende. E poi se fossi vestita di un altro colore qualcuno potrebbe vedermi...

LA REPUBBLICA - Laura Putti

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27.6.1997 - Primo bersaglio: l'industria della musica - In questo momento non ci sono grandi interpreti perché tutti vogliono fare un po' di tutto, forse per questioni di denaro: vogliono essere cantanti, ma anche autori, musicisti, produttori e impresari, mentre credo che la vera ricchezza stia nella diversità, anche nell' essere interprete del lavoro di qualcun altro. E poi, le leggi sono quelle delle multinazionali: non ci sono più artigiani come invece erano Brel o Brassens. Bisogna produrre un certo numero di dischi, vendere un certo numero di copie, tenere un ritmo di produzione e di vendita, altrimenti si è messi fuori dall' industria. Si prende un artista, lo si veste, gli si toglie ogni possibilità di scelta, lo si spreme e lo si getta via. Ci vorrebbe una legge come quella contro la prostituzione: anche questo, in fondo, è uno sfruttamento dei corpi. Il cinema - Lavorare al cinema con Renoir è stato per me un grande dono, così come interpretare un film di Melville, uomo generoso e colto, che leggeva moltissimo, giocava coi gatti, amava la musica e mi trattava con quella tenerezza che possono avere solo le donne. O gli uomini quando sono veramente uomini. Ma non ha mai avuto nessuna delusione, tra i grandi con cui ha lavorato? John Houston. Nutrivo nei suoi confronti una grande stima, e invece mi ha profondamente delusa. Ero andata con lui in Africa per girare "Le radici del cielo", che era un film sul rispetto degli animali, e Houston, invece, ogni mattina prendeva le armi per andarli ad uccidere: poi tornava dalle battute di caccia grossa, e girava il film in loro difesa. Un genio del cinema, ma molto deludente sul piano umano.

LA REPUBBLICA - Renato Venturelli

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7.2.2002 - Signora Gréco, come festeggerà il suo compleanno? Probabilmente su un palcoscenico. Che cosa dovrei fare? Starmene a casa a guardare le foto di quando ero giovane su vecchie riviste ingiallite o, peggio, ricordando gli amici che se ne sono andati? No, non mi piace star ferma e pensare al passato. Non so cosa significhi la parola "nostalgia": non l'ho mai saputo e spero di non avere il tempo di impararlo adesso. Mai stanca di viaggiare, di esibirsi nei teatri di tutto il mondo? No. Io mi rinnovo continuamente, perché ogni volta che mi trovo di fronte al pubblico provo nuove emozioni che mi danno una sferzata di vitalità, m'inondano di linfa vitale, e questo mi sprona ad andare avanti. Ho sempre paragonato il palcoscenico e il pubblico all'amore. E non si preoccupa del suo cuore "ballerino"? Se allude al malore che mi ha colpita la scorsa primavera, le confesserò che non ho mai pensato che il mio cuore potesse cedere a un po' di stanchezza. Probabilmente l'ho sottovalutato. Sono convinta che nella vita non bisogna prendere niente davvero sul serio, neppure le malattie, neppure la morte. Bisogna essere disperati, felici, appassionati, provare sentimenti forti: la malinconia e la tristezza sono atteggiamenti rinunciatari, che avvicinano l'ora della fine. Non ha paura della morte? Morire è la cosa di cui ho meno paura. Spero di farlo rapidamente per non dover provare rimpianti. Finché potrò camminare, parlare, ascoltare, vedere e cantare, non mi arrenderò. Spesso mi è sembrato assai più difficile vivere. Per questo una volta tentò il suicidio? Era il 1965. Avevo avuto un grande successo con l'interpretazione del serial Tv Belfagor e su di me si appuntavano gli occhi dello star system, un mondo che non ho mai amato. Troppe menzogne, troppe falsità soffocavano il mio spirito libero e selvaggio. Mi salvò la mia amica Françoise Sagan, esortandomi a sfoderare le unghie per difendere la mia anima ribelle. Mi dissi che se avevo fallito il suicidio, non mi restava che vincere nella vita. Ultimamente è uscita in Francia una sua monumentale biografia, "Les vies d'une chanteuse" ("Le vite di una cantante"), ed. JC Lattès, 750 pagine, di Bertrand Dicale. Non le ha dato fastidio che qualcuno abbia raccontato la sua vita? Sì, a dire il vero avrei preferito che fosse pubblicato più tardi. Ma non sono superstiziosa, e poi ho collaborato personalmente alla stesura del libro, affinché non ci fossero fraintendimenti né mitizzazioni. E' stato un lavoro complesso, che ci ha impegnati per quasi due anni, ma credo che il risultato sia esattamente come avrei voluto che fosse. Il titolo parla di "vite". Lei ha avuto forse più di una vita? Sì, sono rinata più volte e ogni volta ho dovuto ricominciare da capo, creandomi una nuova identità per vivere in perfetta autonomia. La prima vita è stata la mia infanzia disgraziata a Montpellier, dove sono nata, con un padre assente e incosciente - una volta mi lasciò quasi annegare in mare senza tuffarsi per non sporcarsi il vestito nuovo - e una madre omosessuale che mi rinfacciava di essere il frutto di uno stupro. Pensi che per anni ho creduto che ci fosse un albero che si chiamasse "stupro". La seconda vita cominciò a Parigi, dove essendo una bambina introversa e asociale venivo allontanata da tutti e accusata di ogni nefandezza; poi venne il periodo del collegio religioso, che avrebbe dovuto redimermi e dove invece subii una violenza sessuale; infine, gli orrori della guerra, la deportazione dei miei e il mio arresto perché ero sospettata di attività partigiane. La terza vita è quella della libertà ritrovata, degli amori scandalosi, degli incontri intellettuali: Sartre e Simone de Beauvoir - di cui ammiravo il profilo, al punto da sottopormi a diversi interventi chirurgici per avere il suo stesso naso - , Camus, Boris Vian, Jacques Brel, Queneau, Cocteau e altri amici. Loro avevano le risposte alle mie domande. Era il tempo delle notti al Tabou, delle sbornie, delle riflessioni intellettuali, della trasgressione. Poi le altre vite: l'emancipazione, l'impegno politico, i miei matrimoni, il successo, la carriera cinematografica, la fuga dalla gabbia dorata di Hollywood, la solitudine, il teatro e le canzoni d'autore. L'ultima vita è quella attuale, in cui il mio spirito libero si è consolidato accanto al mio compagno, il musicista Gérard Jouannest, e si rinnova nei concerti dal vivo. Se mi fermassi, morirei. Il trascorrere del tempo le ha insegnato qualcosa? Io del trascorrere del tempo me ne infischio. L'esperienza non mi ha insegnato niente, non sono mai diventata adulta. C'è in me, intatta e viva, l'infanzia che non ho mai avuto. - GIORNALE DI BRESCIA - Stefania Cerrai

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5.2.2004 - Perché la canzone francese, così popolare anche in Italia nel dopoguerra, grazie a Piaf, Montand, Bècaud, Aznavour, Brel e tanti altri, oggi non ha oggi quasi alcun peso nel panorama europeo? E' molto semplice: perché ha subìto la massiccia influenza della musica anglo-americana che l'ha schiacciata. E' una storia comune anche l'Italia. Però sono ottimista, perché tutto sembra ricominciare a vivere e gli autori dei brani del mio nuovo disco sono in gran parte giovani. Ho fiducia che le cose miglioreranno. E del resto io continuo a vendere dischi, segno che c'è ancora un pubblico disposto ad ascoltare la canzone francese. Lei vede qualcuno che possa prendere il suo posto, qualcuno che le rassomiglia? (ride,divertita). Spero proprio di no e del resto sarebbe ben grave che qualcuno cercasse di rassomigliarmi! Nessuno deve essere uguale ad un altro. E nessuno lo è, è quasi il bello. Le ricordo la popolarità avuta in Italia quando la televisione trasmetteva le inquietanti immagini di Belfagor, il fantasma del Louvre. Ah sì, quello è stato davvero un momento magico, irripetibile. E' proprio un ricordo felice. Non credevo che anche da voi avrei raggiunto tanta popolarità. Torniamo un po' indietro. E' sempre stata definita “la musa degli esistenzialisti” ma lei veniva da una infanzia dura e da una adolescenza anche di miseria, non aveva alle spalle studi di filosofia. E allora perché i Sartre, i Queneau e gli altri la adottarono? (stavolta ride più forte). Francamente non lo so. Ma è stato molto importante per me che questo sia accaduto. Vede, loro mi proteggevano, mi amavano molto e mi hanno insegnato quasi tutto. Ripeto, non so perché sia accaduto, non so cosa vedessero in me quelle importanti persone, ma mi aiutarono e mi misero sulla buona strada. Tutto ciò che sono diventata lo devo a loro. Le ricordo la sua adolescenza al fianco di sua madre e di sua sorella Charlotte, che militavano nella Resistenza francese. Lei fu arrestata dalla Gestapo e rinchiusa in carcere. Che effetto le fa imbattersi nelle croci uncinate che si vedono spesso tracciate sui muri d'Europa? Un terribile effetto e penso che siamo nuovamente in pericolo. Evidentemente la lezione della seconda guerra mondiale e del nazismo non è bastata. Il mondo deve risvegliarsi, deve respingere questi fenomeni di ritorno al passato, non deve sottovalutarlo. Sa cosa penso? Che la bestia che ha partorito le croci uncinate sia ancora viva.

Una volta ha cantato in Cile prendendo una chiara posizione contro i generali golpisti. Pensa che quell'esperienza andrebbe ripetuta? E dove? Sì, penso che andrebbe ripetuta. Ma non c'è un posto solo dove farlo. Andrebbe ripetuta dappertutto perché ho molta paura delle degenerazioni che si vedono in molte parti del mondo. Bisogna essere vigili, molto vigili. Due anni fa, lei sottoscrisse una somma a favore del giornale comunista francese "L'Humanité". Anche Depardieu lo fece. La cosa destò clamore, perché la sua apparve come una dichiarazione di appartenenza al movimento comunista, al quale era stata vicina in gioventù. Sì, è vero, c'è stato un grande clamore per quella donazione, che a un certo punto è divenuta pubblica. Un giornalista mi chiese addirittura di quale somma si trattava e io risposi che non era carino fare una domanda del genere. Dunque, bisogna distinguere tra l'ideale, il sogno giovanile e la realtà. Non è che uno sottoscrive per un giornale comunista vuol dire che appartiene a quel partito. Vuol dire che ritiene quel giornale indispensabile alla vita politica di un paese. Quanto al comunismo, è chiaro che le cose sono cambiate, ma è come per la religione: qualche cosa resta sempre del proprio credo, anche se si è trasformato in utopia. E veniamo al disco che in Francia è uscito a dicembre e che ora è disponibile anche in Italia. Si intitola “Aimez-vous les uns les autres ou bien disparaissez” (grosso modo “amatevi o sparite”) dagli ultimi versi di Gerard Mansel che racconta un sogno infantile. A chi è rivolto l'invito? A coloro che non si amano, non si incontrano e non si rispettano. Già, come si fa a non parlare d'amore con Juliette Gréco, che dell'amore ha fatto una bandiera? Ma in tanto sventolare che si fa in ogni dove di privato e di storie d'alcove, l'esitazione è comprensibile. Però alla fine chiediamo. Chiediamo a chi ha molto cantato e molto amato quale delle due esperienze le abbia dato di più (la risposta è secca e senza tentennamenti). L'una e l'altra nella stessa misura... (segue una piccola risata) E la cosa migliore e quella peggiore della sua vita, quali sono state? Guardi, la cosa migliore è senza dubbio mia figlia, alla quale ho anche dedicato una canzone, una bella canzone, che parla di guerra e di pace. Quanto alla cosa peggiore...(esita, poi ride ancora) La cosa peggiore è quella di essere stata un po' crudele con gli uomini. Siamo alla fine, il tempo concesso per l'intervista scade. Un'ultima domanda. Un pensiero per gli ammiratori italiani e uno per questo giornale. Ai primi dico “baci”. Al secondo “coraggio”.

L'UNITA'- Leoncarlo Settimelli

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7.2.2004 - Dove trova gli stimoli per continuare a cantare? Per me il canto è un atto d'amore e io non mi stanco mai d'amare... Non smentisce la sua fama di mangiatrice di uomini? Ogni storia è un bel ricordo, un inno alla vita e alla gioventù contro le brutture del mondo. Sì, posso dire di avere vissuto e amato moltissimo. Come diceva Camus, "il fascino è farsi dire di sì senza fare domande precise". Il suo fascino l'ha aiutata a entrare in quel mondo? Forse sì, o forse la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Recitavo poesie nei Caffé, dove incontrai Maurice Merlau-Ponty, l'uomo più colto e divertente che abbia mai incontrato. Al Tabou facevamo coppia fissa: Sartre si incuriosì di questa nostra amicizia e volle conoscermi. Che tipo era Sartre? Un genio fuori dalle regole. Un intellettuale con un fantastico senso dell'humour. Che risate facevamo. Qualcuno pensa che l'esistenzialismo sia stato un movimento triste e cupo, ma noi ci siamo divertiti un sacco. Sartre mi convinse anche a cantare. E ha scritto anche canzoni per lei. Sì, ha scritto parecchio per me; inventava canzoni a ruota libera perché diceva che le avrei trasformate in gemme, ma in realtà era tutto un gioco. Qualcuna invece l'ho incisa. L'esistenzialismo l'ha salvata dalla tragedia? Quando arrivai a Saint Germain il passato mi pesava come un macigno. Non riuscivo neppure a parlare. Boris Vian mi aiutò a rinascere. Ogni sera all'imbrunire andavo nella sua casa di Montmartre: mi curava con le parole e con il jazz. Il jazz vuol dire molto per lei... E' la colonna sonora della mia vita. L'incontro della nostra cultura con quella americana. Che emozione stare vicino a Duke Ellington o Miles Davis. Con Miles ho vissuto una storia d'amore. Se mi chiedono cos'è la musica classica rispondo: Miles. Era un uomo semplice, schietto, dallo sguardo magnetico. L'ho incontrato l'anno prima che morisse e aveva ancora lo stesso fuoco negli occhi. Nostalgia del passato? No, piuttosto provo sensazioni forti quando passo davanti ai locali che non ci sono più. Ma tra i giovani d'oggi vedo una rinascita dei nostri valori. Il suo album parla d'amore. Io combatto per l'amore. La battaglia è l'altra faccia dell'amore. Il messaggio di fondo di queste canzoni è: lottiamo per salvare il mondo con l'amore. E' la classica canzone francese proiettata nel 2000. Sì, sono una "ragazza" del mio tempo. Sempre vestita in nero? All'inizio lo facevo per non farmi notare, ora è parte di me. E' ancora una ribelle? Certo, per vocazione, per spirito d'avventura e per ricordo di tutti gli amici scomparsi. Le mancano? Sono sempre nel mio cuore però, anche dopo tanti anni, è difficile affrontare la realtà di non poter sentire le loro voci. Le piace l'Italia? La amo, tra gli artisti mi piacciono Paolo Conte e Milva. Un tempo tra noi arrivavano personaggi all'avanguardia come Gassman e Ferreri.

IL GIORNALE - Antonio Lodetti

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4.12.2005 - Signora Gréco, come si sente? Bene, grazie, in forma. E in rapporto al mondo di oggi? Molto male. Per fortuna faccio il lavoro che amo, e questo mi salva, così come mi salvano l' amicizia e l' amore. Ma è molto duro non riuscire a capire le ragioni di questa regressione, di questa violenza. Siamo tornati a un' età selvaggia, anzi, no, barbara. Pensa anche ai problemi esplosi nelle periferie francesi? Vivo in un piccolo paese agricolo. Di fronte a casa mia, l' altra notte, hanno incendiato un fienile: ma a che serve? Lei va verso gli ottant' anni, ha attraversato diverse epoche, mode, ideologie. Ce n' è una che rimpiange? Non ho nostalgie. E nemmeno rimpianti. Ho solo desideri: che le persone che amo siano felici, che le cose smettano di essere così drammatiche e tristi. Che torni la speranza. La Parigi in cui ha vissuto era straordinaria, ricca, viva... Sono stata fortunata. Quella era un' epoca speciale per i giovani. Era magica. Era molto che non veniva a Milano. Troppo, perché io Milano l' adoro. La stupisce? Guardi che è una città meravigliosa. Ha una cattedrale mirabile, è austera, severa, una città fatta per lavorare. Ma poi ha anche i teatri, i ristoranti, la moda. Ah, la moda, i negozi stupendi di Milano! Le scarpe! Io sono maniaca delle scarpe, è come una forma di follia. Forse una specie di rivalsa, perché c' è stato un periodo in cui non me le potevo permettere. E poi amo la gente: è attiva, vivace, si dà da fare. Tra i tanti aneddoti, racconta che quando cantava al Boeuf sur le Toit, a Parigi, c' era sempre Marlon Brando tra il pubblico, e poi la accompagnava a casa in moto: com' era? Adorabile. E bellissimo. Una bellezza straordinaria, di un genere che non ho più ritrovato: un viso molto classico, un corpo straordinariamente virile. E Miles Davis? L' ho amato profondamente. Era un uomo insopportabile con tutti, ma non con me. E nelle sue memorie ha scritto che io ero la sola donna che l' aveva rispettato. Che consiglio darebbe a una ragazza di oggi? Di imparare a dire no. Nel privato e nel pubblico.

LA REPUBBLICA - Mariella Tanzarella

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17.3.2007 - Cosa resta della vita culturale della Parigi degli anni della sua giovinezza? Nulla se non che nei bilanci statali ci sono più capitoli destinati alla guerra piuttosto che per gli avvenimenti culturali. Come ricorda il suo primo incontro con Leo Ferrè? Ci siamo incontrati in un piccolo cabaret di Saint-Germain-des-Prés, lui mi ha proposto di andarlo a trovare a casa sua e ci siamo scambiati il numero di telefono. Un giorno l’ho chiamato e lui mi ha invitata. Sono arrivata e stava suonando al piano forte una canzone per le corde maschili. E mi ha detto se vuoi la puoi cantare anche tu. Nel suo ultimo disco uscito nel dicembre scorso, dal titolo ‘Le temps d’une chanson’, ha scelto di cantare ‘Avec le temps’ di Leo Ferrè solo ora come mai? ‘Avec le temps’ non l’ho mai cantata prima perché mi intimoriva e non mi piaceva molto. Sapevo come la cantava Leo e non pensavo di riuscire a raggiungere il suo livello artistico con la mia interpretazione. Poi lo scorso hanno mi sono detta, o lo faccio adesso, o non lo farò mai più e l’ho incisa nell’ultimo disco. ‘Avec le temps’ è una canzone che narra il passare del tempo, dei sentimenti, in cui il maestro dice ‘col tempo sai…non ami più’. Secondo lei cosa è più duraturo, l’amore o l’odio? L’amore senza dubbio. L’amore è invincibile, l’odio si può vincere. Di tutta la produzione di Ferrè, se potesse fare un duetto con il maestro, quale pezzo sceglierebbe? E con i mezzi elettronici che ci sono oggi a disposizione perché non lo fa? Canterei la canzone che vorrebbe lui perché Leo sarebbe il padrone della canzone e della registrazione. Con l’elettronica non sarebbe come con il maestro. Ferrè era solo, ma molto forte. Come tutti i poeti grandi ha inventato un linguaggio tutto personale, difficile da riprodurre anche solo vocalmente. Perché nel suo disco, tra tante canzoni italiane, ha scelto di interpretare ‘Volare’ di Domenico Modugno? Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare Mimmo Modugno e di apprezzarlo come cantante. 'Volare' è una canzone di felicità, semplice ma meravigliosamente ben scritta. Cosa la lega al nostro Paese, all’Italia? E’ l’ultimo paese civilizzato. Se non fossi nata in Francia, sarei voluta nascere in Italia. Tra cantare e parlare qual è il mezzo più potente per esprimere emozioni? Entrambe. Parlare quando vuoi esprimere le tue emozioni ad una singola persona. Cantare quando vuoi far capire a tanti cosa hai dentro. Quali nuovi fermenti culturali ci sono in Francia oggi? Sono molti, moltissimi. Bisognerebbe solo dar loro la possibilità di svilupparsi.

QUOTIDIANO NAZIONALE - Eleonora Camaioni