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New York
1952
La serata di gala a scopo benefico,
organizzata da Maurice Carrère si intitola April in Paris,
come lo standard jazz di Vernon Duke. Nella sala da ballo del
Waldorf Astoria, l' hotel più lussuoso di Manhattan, sono
presenti i più ricchi d' America, alcuni esponenti della
nobiltà europea (fra cui la coppia reale d'Olanda) e i più
celebri giornalisti della carta stampata. Il programma è tutto
costruito intorno all'eleganza francese: la moda, la canzone,
il music-hall, la storia. Lo
spettacolo è strabiliante: presentazione dei più bei gioielli
degli orefici francesi, sfilata degli abiti di Christian Dior,
Jacques Fath, Jean Dessès, Pierre Balmain e
Hubert de
Givenchy, una folla di attori (Jacques Charon, Mony Dalmès,
Jean-Pierre Aumont, Claude Dauphin) e, per la canzone,
Arletty, Tino Rossi, i Frère Jacques e Juliette Gréco....
La Gréco appare con il suo famoso vestito a
maniche lunghe di Balmain e deve cantare tre canzoni. Dopo
Je
hais les dimanches, che canta con una veemenza decuplicata
dalla tensione, tutto si fa buio per qualche istante e
Juliette riappare, per cantare La Fourmi e Je suis comme je
suis, in un abito di lamè d'oro che le lascia nude spalle e
braccia. Si tratta di un vestito disegnato da Pierre Balmain
solo per quella occasione. Il sarto ha dunque ritrovato la
giovane cantante che, modificando uno dei suoi vestiti per
farne il suo "nero da lavoro", gli ha fatto una pubblicità
inaspettata. Per Juliette è la prima volta negli Stati Uniti,
e il debutto avviene in quell'ambiente di gran lusso a cui
presto apparterrà. Incontra ammiratori di un altro mondo,
scopre gli sguardi che può suscitare e in un corridoio
dell'albergo si trova davanti Greta Garbo che si illumina
vedendola! Carrère, invitandola, riteneva giusto che fosse presentata al
pubblico più colto e ricco d'America come uno dei simboli
dell'eleganza francese.
Qualche anno dopo la cantante tornerà da star al
Waldorf Astoria, quando sarà diventata una "merce da
esportazione di lusso" secondo la sua stessa espressione.
Quella serata al Waldorf Astoria è il primo gradino della
scalata americana. Viene notata e, qualche mese dopo, il
New York Times pubblica un lungo articolo del suo corrispondente da
Parigi, Ernest Lubin, intitolato: French girl who makes art
out of a popular song (La francese che fa della canzone
popolare un'arte). Lubin è andato a vederla alla Rose Rouge e
scrive: "Le sue risorse drammatiche sono esattamente quelle di
una cantante da concerto - il viso, le mani. (...) C'è una
bella differenza tra lo spettacolo della signorina Gréco e un
recital di lieder di una grande concertista. Ma esiste una
certa affinità fra le due arti. Quando canta Si tu t'imagines,
si può scorgere una cugina lontana e parigina della Bella
Mugnaia di Schubert. E nel climax disperato di Je hais les
dimanches c'è qualcosa della disperazione assoluta del Viaggio
d'inverno. (...) E' possibile che l'arte della Gréco non sia
adatta a tutti i gusti. Stranamente, ottiene i migliori
risultati con un pubblico molto sofisticato o molto popolare.
Ma ha anche dimostrato di essere esportabile".
E infatti si comincia a esportarla: non sono più
solo alcune centinaia di spettatori molto ricchi in un hotel
chic di New York a scoprire la cantante francese, ma anche la
gente comune, come un giovane ebreo anglofono di Montréal, che
allora ha diciotto anni, Leonard Cohen: "Dal nostro punto di
vista lei incarnava il coraggio del dopoguerra. Rappresentava
Parigi, la rive gauche, per un nordamericano che non era molto
informato, i nomi conosciuti erano tre: Sartre, Camus,
Gréco.
La Piaf era la strada, il cuore spezzato, l'aspetto romantico
di Parigi, Juliette Gréco aveva una posizione più controllata,
più severa, dava l'impressione di avere una vita passionale,
di attraversare disastri senza nascondere l'aspetto sensuale
dell'esistenza. Incarnava quella meravigliosa confusione fra
l'intelletto e il corpo che proprio i francesi hanno
inventato".
Selezione dalla biografia Le vite di una
cantante di Bertrand Dicale
Edizioni Jean-Claude Lattès,
2001
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