Juliette Gréco
Selezione
bibliografica
JULIETTE GRECO
(JUJUBE)
- RUSCONI
(1985)
E' il
giorno del suo primo concerto in
Germania dopo la Liberazione.
La lunga
lista dei campi di concentramento, con i loro
foto-romanzi verità atrocemente illustrati, sfila come
un montaggio su una pellicola fatta di pelle umana,
della pelle di coloro che torturati al di là della
morte, hanno lasciato la loro immagine nella mente di
chi rimane. La Gréco è rimasta. E' lì. Risponderà. Gli
urli di dolore e di vergogna sono il terribile motivetto
musicale notturno per milioni di persone. La Gréco lo
canterà a coloro che hanno paura di fare delle domande
in piedi. Gli occhi fissi negli occhi, nel fondo della
memoria.
Non
parlerà degli ebrei. Non è sua abitudine di farsi lustro
col sangue degli altri. Ciò che si è sentito resta
impresso. Ciò che s'è visto resta registrato nella
memoria per tutta la vita, fino all'ultimo sguardo. Il
pubblico giovane che viene a vederla sarà a poco a poco
accompagnato da persone più anziane e apparentemente
senza ricordi o rimorsi. Come non c'erano in Francia,
durante l'occupazione tedesca, milioni di partigiani,
così neanche in Germania c'erano certamente milioni di
nazisti...
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LE VITE DI UNA CANTANTE - BERTRAND DICALE -
LE LETTERE
(2003)
Prima
di proseguire - o cominciare sul serio - la sua carriera
su disco, Juliette Gréco parte per il suo primo lungo
viaggio: le viene proposto di cantare per un mese al
Vogue, cabaret molto chic di Rio de Janeiro. Il viaggio,
il cachet, la sfida, Patterson che l'accompagna, tutto
contribuisce a spingerla ad accettare. Sartre le fa "il
regalo più prezioso che abbia mai ricevuto", scrive in
Jujube (l'autobiografia): come viatico per il viaggio,
le ha scritto un testo che sarà stampato sul programma a
Rio, e poi, tradotto in molte lingue, verrà pubblicato
spesso:
"Juliette
Gréco ha dei milioni nella gola: milioni di poesie
che non sono state ancora scritte, di cui forse se ne
scriverà solo qualcuna. Si scrivono pièce apposta per
alcuni attori, perché non comporre poesie per una voce?
Ella fa venire i rimorsi agli scrittori di prosa, i
rimpianti. Il lavoratore della penna, che traccia sulla
carta segni scialbi e neri, finisce per dimenticare che
le parole hanno una bellezza sensuale. La voce della
Gréco glielo ricorda. Dolce luce calda, le sfiora
attizzando il fuoco che c'è in loro. E' grazie a lei, e
per vedere le mie parole divenire pietre preziose, che
ho scritto delle canzoni. E' vero che non le canta, ma è
sufficiente, per aver diritto alla mia
gratitudine e a quella di tutti, che canti le canzoni di
altri".
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IO SONO FATTA COSI' - JULIETTE
GRÈCO - BALDINI&CASTOLDI
(2012)
L'amore e l'amicizia talvolta si
mescolano in modo complesso. Françoise Sagan non è mai
stata in grado di separare davvero questi due
sentimenti, né il corpo e la mente. Cosa che comprendo
perfettamente. Sin dall'inizio abbiamo riso e giocato
come bambine. E' stato un vero incontro. Spumeggiante.
Con quella specie di forza, d'incoscienza, di generosità
e follia che può avere la giovinezza. Non conducevamo
affatto la stessa vita, ma avvertivamo la stessa sete di
libertà. Mentre lei si stordisce vivendo di notte e
sfidando la morte al volante dei suoi bolidi, io canto,
mi esibisco negli spettacoli e nei film. Ci capiamo,
condividiamo la passione per il rischio. E tuttavia lei
è incline all'autodistruzione, al romanticismo; io no.
Il nostro contatto con il mondo esterno è in qualche
modo simile, diffidente e turbato dall'improvvisa
celebrità. L'ho conosciuta nel 1955, poco dopo la
pubblicazione di Buongiorno tristezza. E' venuta a
trovarmi in rue de Verneuil; voleva scrivere delle
canzoni. Mi ha proposto quattro testi molto belli,
musicati da Michel Magne, un giovane e abile compositore
incontrato una sera in un cabaret. Ha avuto una carriera
folgorante, soprattutto scrivendo musiche per il
cinema...
Eravamo due mattacchione impenitenti.
Poiché non prendevamo davvero la vita sul serio, avevamo
mantenuto la crudeltà dell'infanzia. Ma io ero più
radicale di Françoise. Lei cercava un sacco di
scappatoie per ogni cosa, per dire addio alle persone
così come per tradirne quattro contemporaneamente.
Tradirne quattro per volta era anche fattibile, ma lei
voleva portare avanti tutte le relazioni cercando di
salvare capra e cavoli, cosa non sempre possibile, anche
se si è in grado di mentire. Lei sapeva farlo. Io mi
limito all'omissione, non dico sempre tutto ma non
invento nulla. Quella specie di infanzia ritrovata mi ha
sedotta. Era una relazione assolutamente pura. Quando si
dice "Erano molto vicine", in realtà non si è detto
niente... Siamo rimaste legate per anni. Insieme o
separate... Ciò che ha finito per allontanarci è stata
la sua dipendenza dalla droga. Non ho sopportato di
starla a guardare mentre si distruggeva. Tra noi c'era
ancora quella complicità istintiva, ma da parte mia
diventava sempre più avvilita. Un'incredibile
inquietudine. La sentivo sempre più minacciata dal suo
stesso corpo... Alla fine sopraggiunge la stanchezza, ma
rimangono l'amicizia, la tenerezza, la condivisione.
Tutto ciò che c'è di più prezioso. Tutto quello che non
si può trovare in qualcun altro. Di corpi è pieno il
mondo, di cuori molto meno, di intelligenze meno ancora.
Non avevo più voglia di ridere. E senza risate non c'era
più amore. E' terribile vedere qualcuno per cui proviamo
amicizia, rispetto, amore e ammirazione distruggersi.
Certamente Françoise se l'è presa per il mio
allontanamento. Le ho spiegato che non sopportavo più il
suo atteggiamento nei confronti della droga. Lo ha
vissuto come un abbandono. Ma era insostenibile. Dunque
me ne sono andata... Non poteva affrontare la propria
dipendenza. Voleva sfuggire a qualcosa cui non aveva il
coraggio di rinunciare. Ma ci si può domandare se quella
dipendenza non l'abbia coltivata con cura. Dicendosi
che, forse, andava bene distruggersi in quel modo.
Lentamente ma in modo inesorabile. Sono inconsolabile
per la sua sofferenza. E' stato un tale scempio... era
dotata, fatta per la felicità, non per il dolore. Alla
bambina che era ancora piaceva ridere e scherzare.
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LE VITE DI UNA CANTANTE - BERTRAND DICALE -
LE LETTERE
(2003)
Fin dall'uscita dell'album
Un jour d'été et quelques nuits..., alla
fine del 1998, la cantante e il suo entourage
pensano al luogo adatto per la rentrée parigina.
L'ideale sarebbe sulla "rive gauche", che purtroppo,
però, è a questo punto carente di sale di music-hall
dopo il massacro del Bobino, teatro magnifico
trasformato in un "garage", ovvero in una sala
senz'anima che viene affittata per spettacoli di vario
genere. Così, per caso, durante una discussione, salta
fuori il nome dell'Odéon-Théâtre de l'Europe. Il
palcoscenico più prestigioso della "rive gauche" solo
raramente ospita eventi non teatrali: qualche concerto
di CharlElie Couture nel 1994, Lou Reed che legge
i testi delle sue canzoni nel 1997... Gilbert Coullier,
che deve produrre la rentrée della Gréco, si arrischia a
mettersi in contatto con l'Odéon. Con grande sorpresa la
direzione è entusiasta della proposta. "Appena è stato
fatto il nome di Juliette Gréco, tutti hanno pensato che
era ovvio, naturale averla all'Odéon", racconta
Georges
Lavaudant, il direttore del teatro. Una sola condizione
viene posta: che sia un evento eccezionale, e dunque di
breve programmazione. Sono previsti sei concerti, dal 25
al 30 maggio. Ma visto che i biglietti vengono esauriti
in fretta, sono aggiunte altre due date, il 1° e il 2
giugno.
La stampa è assai più emozionata
per questo ritorno sulle scene di quanto lo fosse nel
1993. Si fa notare che l'esibizione all'Odéon cade
esattamente nel cinquantesimo anniversario del debutto
della Gréco, cosa che offre il pretesto per lunghe
interviste che ripercorrono le tappe della sua carriera.
In quella del Figaro che anticipa la prima all'Odéon, il
giornalista osserva: "Sono sei anni che non canta a
Parigi...". "E forse sarà l'ultima volta". "Perché?".
"Perché sono essenzialmente mortale, anzi, sempre più
mortale. Ho una certa età e se non trovo niente di nuovo
di qui a cinque anni, non farò mica una rentrée a Parigi
a settantasei anni". "Eppure Devos l'ha fatta". "Non
sono un uomo. Non so se mi sarà perdonato il fatto di
essere vecchia. C'è una forma di razzismo in questo
genere di cose". E la cantante analizza l'ambiguità del
gesto ritratto nella fotografia di Irmeli Jung per il
manifesto dei concerti (la mano destra posata sulle
labbra nell'atto di mandare un bacio), che non si sa se
sia un buongiorno o un arrivederci.
Il nuovo spettacolo è un evento di
grande portata simbolica, nonché commerciale, uno sforzo
inedito per la cantante... Anche se i concerti della
Gréco sono fuori abbonamento, una buona parte del
pubblico è quello dell'Odéon, che per l'occasione si
mischia al pubblico del music-hall. "L'Odéon è il più
bel teatro di Parigi. Ci abbiamo visto spesso spettacoli
venerandi, canonici, e all'improvviso la sala è
violentata da uno spettacolo di altro genere" fa
osservare Jean-Claude Carrière. "La Gréco che entra in
scena all'Odéon era allo stesso tempo una cosa inedita e
come vederla a casa sua. Entrava energicamente,
camminando come una contadina che falcia la propria
terra".
E lei, effettivamente, miete.
Ovazioni, un trionfo commovente. In sala un pubblico che
non l'ha vista da molto tempo, qualcuno si stupisce dei
cambiamenti. Ma l'emozione travolge il teatro. "Quando
la Gréco canta La Chanson des vieux amants di Brel siamo
in lacrime" confessa Le Parisien. Le Monde arriva a dire
che la Gréco non canta per gli imbecilli, coloro che
"non conosceranno mai la felicità" secondo la
definizione di Raymond Queneau. Quando Juliette,
dopo il vibrante ultimo dei bis de Le temps des
cerises, viene a
salutare - piegata in due, spigolosa e sopraffatta,
quasi prosternata - è la vittoria, la semplice verità
dell'amore, un punto d'arrivo, o forse sarebbe meglio
dire una virgola. Perché, al di là della tensione
altissima che l'ha accompagnata fin dall'inizio dei
concerti, la Gréco non ritiene con l'Odéon di aver
superato un traguardo, compiuto un gesto definitivo. Ci
sono ancora concerti, progetti, partenze, valigie da
preparare, con la solita, inestinguibile, passione per
il domani... Rimane l'urgenza di continuare a vivere
questa vita fatta di ricerca, di scelte, di piacere, di
umiltà, di vertigini. Tutte le vite di una cantante.
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Juliette Gréco e Sophie Marceau nel 2001
durante le riprese del remake cinematografico di Belfagor
IO SONO FATTA COSI' - JULIETTE
GRECO - BALDINI&CASTOLDI
(2012)
Non ho mai pensato di fare carriera nel
cinema, ma ho sempre amato cineasti e attori. Eppure
ancora una volta ho avuto fortuna, la fortuna di
recitare e di incontrare attori straordinari come Simone
Signoret, Orson Welles, Trevor Howard, Errol Flynn,
Ava
Gardner, Mel Ferrer, Ingrid Bergman,
Audrey Hepburn e
registi prestigiosi come John Huston, Richard Fleischer,
Henry King, Jean-Pierre Melville... e mi fermo qui, non
posso scrivere un catalogo.
Simone
Signoret era una gemma di uno splendore diabolico. L'ho
incontrata ai miei esordi. Era passata durante le
riprese di Les mauvaises rencontres di Alexandre Astruc.
Mi dava buoni consigli. Non mi piaceva il mio viso. Nel
corso delle nostre discussioni, finii col parlare a
Simone di quel naso diventato il mio nemico. Mi diede
questo consiglio: "Se davvero vuoi accorciare il tuo
naso, devi metterci un po' di rosso sulla punta". Così
feci, in modo piuttosto maldestro ed esagerando un po',
ma per fortuna il film uscì in bianco e nero. Di tanto
in tanto io e Simone ci siamo riviste. Mi piaceva, era
meravigliosa. Ma non ha mai perdonato il fatto che non
mi piacesse Yves Montand. Io rispettavo l'artista, non
l'uomo.
Al cinema
ho iniziato a fare la comparsa, poi ho interpretato
piccoli ruoli piuttosto ridicoli. In Les Frères
Bouquinquant, Louis Daquin mi fa apparire due o tre
volte davanti alla cinepresa in abiti religiosi. Nel
1949 fu Julien Duvivier a propormi un piccolo ruolo nel
film Nel regno dei cieli. Interpreto una collegiale in
riformatorio. Scopro i rudimenti del mestiere. In primo
luogo la pazienza, una virtù essenziale. Tra due scene
possono trascorrere delle ore e ovviamente bisogna dare
prova di umiltà e di totale disponibilità di fronte a un
regista "geniale" - e a chi lo è davvero - che sbraita,
fuori di sé, tormentato dal tempo che vola e dai
conseguenti milioni che si perdono. Nel 1950 scopro un
cinema diverso. Mentre debutto alla Rose Rouge,
Jean
Cocteau adatta per il cinema Orfeo e mi propone il ruolo
della regina delle baccanti. Jean Marais,
incredibilmente bello, incarna Orfeo, mentre la Morte
è
interpretata da Maria Casarès, gelida e sensuale, e
Heurtebise dallo straordinario François Périer.
Cocteau
ci dirige con la grazia e il talento che lo
contraddistinguono, il nostro regista è anche un poeta,
un pittore, uno scrittore. Una meraviglia. Quello stesso
anno ricomincio con le riprese di E mi lasciò senza
indirizzo, un film di Jean-Paul Le Chanois, nel quale
interpreto una cantante, al film partecipa anche Michel
Piccoli, ma non ci incrociamo. L'anno seguente Joseph
Kosma, che ha scritto le musiche delle mie prime
canzoni, mi trascina nell'avventura di un film americano
(Il guanto verde, di Rudolph Maté) che si rivelerà
mediocre nonostante la presenza di attori prestigiosi
come Glenn Ford e Geraldine Brooks. Le riprese hanno
luogo negli studi della Victorine a Nizza; Kosma mi
chiede di cantare. Durante il montaggio la scena viene
tagliata, ma la canzone di Henri Bassis, Romance,
rimane. E' proprio grazie a quel brano che ho vinto il
Grand Prix du Disque...
Il lato
positivo del cinema è che mi fa guadagnare. Ho
ventiquattro anni e dei soldi in tasca. Passeggiando per
le strade di Nizza, passo davanti alla vetrina di una
gioielleria. Il sole di mezzogiorno risplende e fa
scintillare di bagliori colorati uno strano oggetto.
Affascinante. Non resisto e varco la soglia del negozio.
Cedendo a un colpo di fulmine, mi regalo il primo vero
gioiello della mia vita: un cristallo tagliato a forma
di sigillo, montato su una base d'oro con due piccoli
rubini. L'ho comprato d'occasione e l'ho portato molto:
il trofeo della mia indipendenza economica.
A
quell'epoca vivo in un piccolo appartamento di Parigi.
Un mattino ricevo una lettera da Londra. Una casa di
produzione americana desidera vedermi. Il messaggio è
firmato David O. Selznick . Nella busta ci sono i
biglietti dell'aereo e la prenotazione all'Hotel Savoy.
Non occorre altro per solleticare la mia istintiva
curiosità. Appena arrivata mi accompagnano agli uffici
del regista. Affascinante, capelli brizzolati, sguardo
penetrante, David O. Selznick siede dietro la scrivania,
con i documenti sul tavolo. "Abbiamo molti progetti
cinematografici per lei. Le spiego come si svolgono le
cose: le garantiamo un contratto della durata di sette
anni. Ci occuperemo noi di tutto: scelta dei ruoli,
pubblicità, vestiti, acconciature. Forse dovrà tagliarsi
i capelli...". Non ci ho più visto. Mi sono alzata e
l'ho interrotto seccamente. "La ringrazio molto, ma ho
un carattere terribile, sono un cavallo indomabile". Il
tempo di recuperare la mia valigia e corro a prendere il
primo aereo per Parigi. Da quell'esperienza ho imparato
che rifiuto istintivamente ogni forma di possesso e di
alienazione. Non ho mai incontrato qualcuno abbastanza
ricco da potermi comprare. Non sono in vendita.
Nel 1956
recito insieme a Eddie Constantine in La castellana del
Libano, e poi in Creature del male di Raoul André. I
copioni sono molto semplici, ma durante le riprese ci
divertiamo un sacco. Eddie Constantine è gentile,
divertente, premuroso. Il buonumore non manca mai.
L'atmosfera sembra quella di un'allegra colonia estiva.
Alla fine delle riprese Eddie organizza una bella
festa; la separazione sarà difficile, come accade spesso
in quel periodo.
Pagina inserita il 20.11.2013
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