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ANNIE LENNOX NOSTALGIA

 

 

 

 

 

 

ITALIA POST 16.12.2014

 

Annie Lennox, una voce di una potenza enorme, che può, volendo, interpretare qualsiasi cosa, giocando magistralmente tra i bassi e gli acuti, che può permettersi fughe da soprano e che invece entra in ogni canzone in maniera diversa, calibrandone con attenzione la portata e con un’eleganza ed uno stile che non la pone mai né sopra le righe né la impoverisce in effetti speciali.

 

IL FATTO QUOTIDIANO 2.11.2014

 

In questo nuovo lavoro in studio la cantante sposta il suo ambito di azione tentando di esplorare aspetti diversi della propria voce, spesso però senza davvero piegarla alle lacerazioni di un animo blues: “Strange Fruit” ne è un esempio. La canzone – scritta nel 1930 ed eseguita e pubblicata da Billie Holiday nel 1939 – ha avuto negli anni infinite interpretazioni da parte di artisti appartenenti a generi spesso anche molto diversi tra loro. Venne scritta dall’insegnante Abel Meerpol dopo aver visto la foto di uno degli innumerevoli e macabri linciaggi che stavano avvenendo nel sud degli Stati Uniti, terra che continuava ad essere stretta in un’orrenda morsa di razzismo. “Strange Fruit” è un monumento che gronda sangue, e negli ultimi quattro versi dipinge con dolorosa ironia i frutti della follia umana: “Here is fruit for the crows to pluck / For the rain to gather, for the wind to suck / For the sun to rot, for the trees to drop / Here is a strange and bitter crop”. Annie Lennox è da anni impegnata nella lotta per i diritti umani ecco perché questo brano assume per la cantante un significato ancora più particolare, ma nonostante l’ottima esecuzione, la canzone sembra mancare di quello spessore ed empatia che solo il vero e profondo dolore riesce a donare.

L’album “Nostalgia” – come suggerisce lo stesso titolo – è un viaggio indietro nel tempo, e a rimarcare questa caratteristica ci pensa l’intro cantato di “Memphis in June” che sembra uscire da un vecchio grammofono. Annie Lennox con la sua voce prova a donare una luce diversa ai dodici brani scelti, arricchendoli con arrangiamenti essenziali ed eleganti. La scelta delle canzoni aiuta sicuramente l’ascoltatore e permette di ricordare, ancora una volta, quanto in passato si prestasse molta più attenzione alla ricerca melodica: ogni brano di questo album – da “I Put a Spell on You”, alla “Summertime” di Gershwin, “Georgia on my Mind”, fino a “September in the Rain” – ha un’originaria potenza melodica talmente forte da insinuarsi e stabilirsi per sempre anche nella mente delle poche persone che ancora non sono a conoscenza di questi classici.

Molti dei brani eseguiti hanno forti radici blues e in quanto tali si lasciano plasmare senza perdere nemmeno un granello della loro originaria bellezza. La Lennox prova ad usare la propria voce come uno strumento, tentando di adattarla alla miriade di sfumature tipiche di un blues. Il finale è ottimo con una versione dell’Ellingtoniana “Mood Indigo”, brano che affonda i propri versi nella sfumatura più scura del blues e che qui, sul finale strumentale, sembra atterrare sulla vecchia New Orleans per dare vita ad una marcia che ha il sapore di una vera e propria celebrazione della vita.

 

SPAZIO ROCK 28.10.2014

 

Rileggere canzoni di altri autori, soprattutto quando queste sono dei capolavori che hanno superato lo scrutinio del tempo e sono già state oggetto di rivisitazione da parte di altri musicisti, non è mai facile. Realizzare un album composto solamente da cover è impresa ancora più pericolosa. La Lennox questo lo sa bene, visto che con “Medusa” (1992) e con “A Christmas Cornucopia” (2010) aveva già esplorato il mondo degli omaggi ad altri autori, e lo fa con la sua solita infinita classe e bravura. Innanzitutto evitando una semplice opera di omaggio/fotocopia (è alquanto lodevole il non voler mettersi in gara con i cantanti originali semplicemente riproponendo le loro versioni), ed andando a riscrivere ogni singolo brano, privandolo di qualsiasi fronzolo, cercando così di raggiungere l’anima più vera alla base di ogni composizione, e facendo della propria voce l’elemento portante. La cantante di Aberdeen dispone ancora oggi di una voce estremamente potente ed incredibilmente carismatica, e sembra quasi di trovarsi ancora negli anni ’80. Quello che invece è cambiato è il tipo di musica proposta. Abbandonata la new wave ed il sinthpop, i modelli ai quali la Lennox ha guardato per “Nostalgia” sono molto più elevati. Il risultato è sempre eccellente e la rilettura mostra ampiamente il tocco personale della cantante seppur condito da un’atmosfera che cerca di rifarsi all’originale. Anche la scelta di dosare l’utilizzo della propria voce permette un approccio ai singoli brani estremamente diversificato, ricco di sfumature

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ROCKOL 27.10.2014

 

 

Ciò che colpisce di questo disco, oltre a ribadire la classe totale della voce di Annie Lennox, è la misura: classe significa non andare mai sopra le righe, anche e soprattutto avendo la potenza per farlo - anche negli arrangiamenti (c’è lo zampino, nella produzione di Mike Stevens e soprattutto di quella vecchia volpe di Don Was). Troppo sofisticata per fare la cantante pop, Annie Lennox, è pure troppo pop per essere sofisticata. Ai tempi degli Eurythmics era avanti anni luce rispetto al pop che girava attorno, qua riesce ad essere a cantante jazz senza birignao e senza la freddezza precisa di certi album di standard. E’ per questo che canzoni già sentite in ogni salsa come queste funzionano, nella sua versione. Per fare un paio di esempi “God bless the child” sembra una ballata che sarebbe potuta stare nel catalogo degli Eurythmics (almeno in quelli di fine carriera). Una versione come questa di “I put a spell on you” potrebbe - anzi avrebbe dovuto - far parte del repertorio di Amy Winehouse. E così via. Insomma: di dischi di cover e standard ne non possiamo più. Però poi questa voce si fa perdonare tutto, anche l’ennesimo attacco di nostalgia.