Ho vissuto la
maggior parte della mia esistenza con esseri brillanti.
Non assomigliano a persone "come di deve".
Vi eccitano, da cervello a cervello, non amano le
contraddizioni, anzi, le bandiscono; la loro fantasia vi
ispira e la loro immaginazione vi acceca
istantaneamente. Esigono anche l'obbedienza e la
devozione, così come il senso dell'umorismo, cose che io
sono stata quanto mai felice di offrir loro, felice
soprattutto di essere stata scelta, degna della loro
attenzione, del tempo che mi concedevano e dei loro
sforzi. E' una delle ragioni per le quali ho vissuto una
vita riuscita. M.D.
Parlare della
mia vita non mi interessa. Ma poiché sembra che la mia
carriera, ciò che io ho rappresentato, susciti la
curiosità generale, mi sono rassegnata a scrivere queste
memorie, affinché in avvenire non ci si debba più
chiedere dov'è la verità e dove la menzogna. Io desidero
soprattutto non deformare gli episodi della mia vita. In
primo luogo per coloro che mi amano o che si
ricorderanno di me. Non ho mai tenuto un diario: non mi
sono mai presa tanto sul serio da annotare i più piccoli
eventi quotidiani. Non ero abbastanza contenta di me
stessa. Il fulgore della gloria mi ha sempre lasciata
indifferente: quando tutti la riconoscevano, io la
trovavo noiosa, paralizzante e pericolosa. L'ho
detestata. Contrariamente alla maggior parte degli
attori e delle attrici, io detesto fare la "diva",
essere preda dei curiosi per la strada o all'aeroporto.
La celebrità, che può modificare una personalità da cima
a fondo, su di me non ha minima presa. Perché? Perché
sono fatta così. Possedevo una sorta di noncuranza,
probabilmente assai rara in una ragazza giovane com'ero
io agli esordi. Checché sostengano i miei "biografi",
non mi sono mai battuta perché si parlasse di me, o
perché la mia foto apparisse su qualche giornale. Se mi
sottoponevo alla routine delle interviste, era puramente
per rispettare i miei contratti.
Ernest Hemingway: "E' coraggiosa, bella, fedele, buona,
generosa e in sua compagnia non ci si annoia mai. E'
incantevole al mattino nella sua divisa di GI come la
sera in décolleté o sullo schermo. Il suo senso della
vita, che è insieme onesto, comico e tragico, le vieta
di essere veramente felice, a meno che non ami. Quando
ama, può scherzarci sopra, ma con un umorismo macabro.
Se avesse soltanto la voce, avrebbe già quanto basta per
spezzarti il cuore. Ma ha anche un corpo magnifico e un
viso d'eterna bellezza. Che importa se ti spezza il
cuore, quando è lì per raccomodarlo? Incapace di
crudeltà e d'ingiustizia, sa tuttavia andare in collera.
Gli sciocchi l'annoiano, e glielo fa capire chiaramente,
a meno che non abbiano bisogno d'aiuto. Non è mai avara
di compassione per quelli che hanno preoccupazioni
gravi. Marlene nella vita si dà le sue regole, ma le
norme di comportamento e di decenza che impone a se
stessa e nei suoi rapporti con gli altri non sono meno
rigorose dei dieci comandamenti. E' probabilmente questo
che la rende così misteriosa: il fatto che una creatura
ricca di bellezza e di talento, che potrebbe sempre
agire di testa propria, si permetta soltanto ciò che
ritiene profondamente giusto, e che abbia l'intelligenza
e il coraggio di darsi delle regole e di seguirle. Io so
che ogni volta che ho visto Marlene Dietrich, mi
ha fatto qualcosa al cuore, mi ha reso felice. Se è
questo a renderla misteriosa, è un bellissimo mistero".
MARLENE D. (Autobiografia) - Marlene
Dietrich - Istituto Geografico De Agostini (1985)
I concerti per l'esercito americano - New York: il 14
aprile 1944 la troupe di Marlene partì sotto una
grandinata dall'aeroporto La Guardia. La destinazione
rimase ufficialmente "sconosciuta" fin dopo il decollo,
quando furono informati che stavano raggiungendo il
fronte africano e non il Pacifico, come tutti avevano
creduto... tranne mia madre, naturalmente. Lei voleva
arrivare a Gabin, non a Hirohito. Fecero scalo in
Groenlandia per il rifornimento, poi alle Azzorre,
quindi atterrarono a Casablanca e proseguirono per
Algeri. Tenuto conto che ancora non esistevano i jet e
calcolando i diversi fusi orari, non è possibile che
siano arrivati prima del 17 aprile.
La troupe diede il suo primo spettacolo ad Algeri. Danny
Thomas conquistò gli ascoltatori con il suo humor, poi
l'attrice comica si esibì nel suo numero, seguita dal
cantante... e finalmente arrivò il momento di presentare
l'attrazione principale. Danny annunciò: "Ragazzi, una
brutta notizia! Stavamo aspettando Marlene Dietrich...
ma è andata a cena con un generale e non si è
presentata...". A questa "falsa notizia" si levarono
proteste e fischi. Poi l'inconfondibile voce gridò: "No!
No! Eccomi!... Eccomi!...". E lei apparve in uniforme,
con una valigetta in mano, e corse verso il
palcoscenico. Quando raggiunse il microfono si era già
tolta la cravatta e si stava sbottonando la camicia
kaki... "Non sono con un generale... Sono qui! Devo solo
cambiarmi...". Era arrivata all'ultimo bottone e i
soldati applaudirono. Poi "all'improvviso", ricordò di
non essere sola. "Oooh! Scusate, ragazzi, ci metto un
secondo". E sparì fra le quinte.
Danny
le
gridò: "Ci vorrà un po', Miss Dietrich. Teniamolo per il
finale. Credo che aspetteranno!". Il pubblico cominciò a
fischiare e a battere i piedi. In un lampo, la Dietrich
riapparve fasciata nella guaina di lustrini e... wow!
Era proprio Marlene, la Dea dello Schermo, che invece di
godersi i lussi di Hollywood era venuta in Africa per
divertirli... I ragazzi balzarono in piedi per
acclamarla. Lei cantò le sue canzoni più famose, fra
l'entusiasmo generale. Poi scelse fra il pubblico un
ragazzo, per il numero della lettura del pensiero che
aveva imparato da Orson Welles. Il ragazzo la fissava,
incantato; lei lo guardò, poi si rivolse al pubblico.
"Quando mi guarda un GI, non è difficile leggergli nel
pensiero!". La battuta era sempre accolta da applausi e
risate. Alla conclusione del numero, lei sollevava la
gonna, sedeva su una sedia, si metteva fra le gambe lo
strumento musicale che sapeva suonare, la sega, e
suonava. E... scoppiava il pandemonio!
Come era
consuetudine, fra uno spettacolo e l'altro visitava gli
ospedali, e a volte cantava. Gli attori dell'USO avevano
soprattutto il compito di sollevare il morale dei
soldati. Lei amava raccontare che i medici la portavano
a vedere i prigionieri tedeschi moribondi e la pregavano
di parlargli in tedesco. Quei ragazzi agonizzanti la
guardavano e sussurravano: "E' proprio la vera Marlene
Dietrich?". E allora cantava Lili Marlen per loro, in
tedesco, li confortava come poteva perché avevano così
poco tempo da vivere. Mia madre era abilissima nello
scrivere i copioni per se stessa e sempre molto
credibili.
Corse voce
che il fronte fosse stato rinforzato dalla 2^ Divisione
corazzata francese. Mia madre requisì una jeep con
autista, andò in cerca di una Divisione corazzata e la
trovò prima di notte. I carri armati erano sotto gli
alberi, con le torrette aperte e gli uomini in attesa.
"Corsi... da un carro armato all'altro... gridando il
suo nome. All'improvviso vidi quei meravigliosi capelli
brizzolati! Mi voltava le spalle... "Jean... Jean,
mon amour!". Lui si voltò di scatto, esclamò
"Merde!", balzò a terra e mi prese fra le sue
braccia". Rimasero avvinti in quell'abbraccio
appassionato, incuranti degli sguardi invidiosi puntati
sull'uomo dai capelli grigi che teneva fra le sue
braccia un "sogno". Il bacio si protrasse... e allora si
tolsero i berretti e acclamarono... con una punta di
gelosia. Il rumore dei carri armati che accendevano i
motori spezzò l'incantesimo... si separarono. Lui la
baciò di nuovo: "Dobbiamo andare, ma grande...
Ma grande... Ma vie...". Gabin la
tenne stretta a sé per un interminabile momento, poi la
lasciò, balzò a bordo del suo carro armato e sparì
all'interno. I mezzi corazzati si mossero in formazione.
Lei rimase immobile fra le nubi di polvere, si schermò
gli occhi e cercò di distinguere ancora una volta il suo
volto. Temeva di non rivederlo mai più.
MARLENE DIETRICH / MIA MADRE - Maria Riva -
Edizioni Frassinelli (1993)
Dopo la guerra, la Dietrich
si sentì sempre più delusa dal cinema, convinta che non
fosse più esaltazione delle doti individuali, ma
piuttosto un processo meccanico in cui i tecnici avevano
la prevalenza. Disse a Thomas M. Pryor del New
York Times: "Naturalmente è sempre stato
tecnicizzato ad un livello eccessivo. Se in una scena si
stava tentando di fare all'amore e per caso si scoccava
un'occhiata sentimentale ti capitava di scorgere il
dannato microfono muoversi a scatti di qui e di là,
captando ogni tuo respiro; è facile rendersi conto di
quanto irritante possa essere". Insisteva su quanto
fosse esasperante, alla fine di una scena perfetta, dopo
aver dato il meglio, sentire un tecnico del suono
annunciare che si doveva rifare, perché si udiva il
rumore di un martello di un teatro di posa vicino.
Sottolineava il sempre maggior strapotere dei sindacati
e il problema che personaggi insignificanti dettassero
ormai virtualmente legge in fatto di produzione.
Esprimeva altresì completa irrisione per gli attori,
dicendo, quando Pryor nominava Gable, Power,
Pidgeon, Milland e altri: "Non è un'occupazione sciocca e
frivola per un uomo? Pensa: vai al lavoro la mattina e
vedi uno con la faccia impiastricciata di trucco. Non lo
ritengo proprio un lavoro da uomo".
MARLENE DIETRICH - Charles Higham -
Dall'Oglio Editore (1978)
La vostra
prole, a una certa età, vi rimproverà ogni vostra
azione. Voterà il pollice verso ad ogni decisione che
abbiate preso per aiutarla. Non state a discutere e non
cercate di giustificare le vostre colpe. Passerà: è come
il morbillo. L'unica cosa per la quale potrete ricevere
qualcosa che somiglia a una pacca sulla spalla sarà la
vostra insistenza perché studino le lingue. E' l'unica
cosa che vi perdoneranno.
Impara e insegna le lingue ai tuoi figli fin da piccoli.
Non puoi conoscere il mondo, i suoi problemi, i suoi
ideali, le sue gioie, i suoi dolori, o imparare dalle
altre nazioni (evita di limitarti a criticarle!), se non
parli le lingue. Prima impara bene la lingua, poi fai un
viaggio in quella nazione. Quindi giudica, se devi
farlo. E non farlo per sentito dire.
Per superare i propri pregiudizi bisogna viaggiare. Non
trattenete mai un viaggiatore.
MARLENE DIETRICH / DIZIONARIO DI BUONE MANIERE
E CATTIVI PENSIERI - Editori Riuniti (1996)
Gennaio 1992 - Ho appena fatto lo
spoglio della posta di Marlene, in seguito al suo
compleanno. Il venti per cento delle lettere le vengono
dalla Germania e circa un decimo dagli Stati Uniti.
Seguono la Svizzera, l'Inghilterra e la Cecoslovacchia e
poi, curiosamente, la Francia e l'Italia. Alcune sono
imbucate in Giappone, in Argentina, in Bulgaria, in
Russia, in Messico, in Australia e in Nuova Zelanda. Le
PTT sono proprio in gamba: trentadue sono semplicemente
indirizzate a Madame Marlene Dietrich, Paris, France.
Altri indirizzi sono più divertenti: "Miss Marlene
Dietrich, celebre attrice", come precisa un ammiratore
della California. O: "Illustrissima Signora Marlene
Dietrich, avenue Montaigne, vicino a Christian Dior", di
provenienza dal Brasile. O: "Madame Marlene Dietrich,
artista, Imperatrice del Mondo, Paris". Dall'Italia:
"All'indimenticabile M.D.". Più enfaticamente, da
Menton: "Marlene Dietrich (Madame von Losch),
commendatore della Legion d'Onore". Dalla Germania: "La
Grande Dame M.D.". Da New York: "M.D., la più bella
donna del mondo, avenue Montaigne, vicino ai
Champs-Elysées". Dalla Svizzera tedesca: "Mademoiselle
M.D., idolo del Cinema, Paris-City, chez le (sic) ["a
casa della", invece che "vicino alla"] Senna"...
La più
sorprendente delle lettere è quella di Valéry Giscard
d'Estaing: eleganza e dignità. Per lo meno un terzo
delle lettere viene da gente un po' spostata. Il tema,
di mediocre livello, non varia granché: richieste di
autografi, di denaro, di foto, di risposte a grida di
aiuto spesso vaghe e male articolate. Una parigina
entusiasta si rallegra di apprendere che Marlene prepara
il goulasch secondo la sua stessa ricetta. Un pensionato
di Sofia si lagna degli ospedali del suo paese, che non
riescono a guarirlo. Un postulante del Middle West
desidererebbe ricevere le sue stoviglie: collezione di
feticci di ogni genere! Una studentessa di Bari la
implora di confidarle i suoi segreti su Joseph von
Sternberg, argomento della sua tesi di laurea. Un poeta
del Tirolo le assicura che l'Austria è divenuta un
deserto culturale e le manda due poesie, provandole -
così lui crede - il contrario. Un quibechese esclama:
"Grazie di non aver fatto salamelecchi davanti a Hitler". Un corrispondente da Brema le rimprovera di
nascondersi: perché si preoccupa così tanto
dell'apparenza esteriore? Un ex appartenente alla Royal
Air Force ricorda di averle preparato una "tazza di tè",
al fronte, quarantotto anni fa. Un turco, che ha avuto
la bottega distrutta da un terremoto, desidererebbe
ricevere il necessario per ricostruirla; commerciante di
frutta secca, le manderebbe il suo primo sacco di
pistacchi. Uno spagnolo di ventisette anni, solo ed
epilettico, le dice che gli piacerebbe averla come madre
o come nonna; la chiama "cara bella e anziana signora".
Un londinese di sessant'anni farebbe volentieri l'amore
con lei oggi, nonostante la differenza d'età... perché
l'amore, dice, non ha età precisa. In segno di
venerazione, una giovane berlinese le manda un "pezzetto
del Muro di Berlino": due sassi e un po' di polvere. Un
generale della Legione Straniera ricorda di aver passato
il 14 luglio 1939 in sua compagnia e, secondo le sue
parole, "l'abbraccia, sentendo la sabbia calda". Tutte
queste missive, mandate da uomini normali o meno, da
donne sole, da vecchi, da adolescenti, meriterebbero una
tesi di laurea sul tema: "Perché e come si scrive ad
un'attrice divenuta leggenda?".
MARLENE DIETRICH / UN AMORE PER TELEFONO -
Alain Bosquet - Il Poligrafo (1993)
"Greta
Garbo? Il suo grosso limite", mi spiegò Marlene
Dietrich rispondendo ad una precisa domanda sulla
sua grande amica-nemica, "è stato di prendersi troppo
sul serio. Ha creduto davvero, ad un certo punto della
carriera, di essere una divina sul pianeta Terra
ed ha piantato tutto. Io, il mestiere dell’attrice, l’ho
vissuto da comune mortale, senza prendermi troppo sul
serio, e qualche risultato positivo credo di averlo
ottenuto".
Non era mai corso buon sangue, tra le due dive. Insieme,
nel 1925 (Greta ventenne, Marlene
ventiquattrenne) avevano interpretato in Europa un film
muto di Pabst, "La via senza gioia": entrambe in
ruoli secondari. Le loro strade si erano poi divise:
Greta, emigrata in America a ventun anni, era
diventata in poco tempo la star numero uno di Hollywood
e la sua meno giovane collega era rimasta a recitare
particine in Germania. Il successo, per Marlene, arrivò
con "L’angelo azzurro", nel 1930. Un film-cult, entrato
nella storia del cinema: l’amara parabola della rovinosa
passione di un professore di liceo per la affascinante e
crudele soubrette di uno squallido cabaret della
provincia tedesca. Famosa la scena della sensualissima
Lola-Marlene in calze nere, giarrettiere e cilindro, che
cantava con voce roca e perversa, piantata sul
pianoforte a gambe divaricate e poi seduta con le gambe
accavallate: "Io sono piena d’amore dalla testa ai
piedi…". Con quel film si aprirono per lei le porte di
Hollywood e sarà quella la canzone-simbolo del mito
Dietrich.
Aveva 29 anni, un
marito, una figlia; e partiva per l’America già carica
di gloria (a differenza della Garbo che a Hollywood si
era presentata pressoché sconosciuta). "Arriva l’angelo
più sexy d’Europa", titolavano a tutta pagina i giornali
d’oltre oceano, in attesa del piroscafo. I cronisti
chiesero alla Garbo un giudizio sulla sua collega (e
amica, si supponeva). "Marlene Dietrich, chi è?",
rispose freddamente Greta. Le ricordarono il titolo del
film che avevano girato insieme non molti anni prima.
"Non mi viene in mente nessuna Marlene", tagliò corto la
divina, impassibile. Si odieranno reciprocamente per
tutta la vita. Sulla rivalità Garbo-Dietrich, vero e
proprio scontro tra dive, Hollywood puntò molto. Il
cinema era diventato sonoro da poco. "La Garbo parla!",
il trionfale slogan del produttore Mayer per il film
"Anna Christie". "La Dietrich parla e canta",
replicarono quelli della Paramount. Ed era certo un
punto a loro vantaggio: le canzoni della Dietrich, quel
suo particolarissimo modo di cantare, inquietante e
sensualissimo, avevano avuto un peso determinante
nell’exploit del suo "Angelo azzurro", non meno della
straordinaria carica erotica che l’attrice era riuscita
a dare al personaggio. Ma anche nel confronto fra
attrici, la bilancia pendeva decisamente dalla parte
della Dietrich, interprete di ben altra sensibilità e
cultura, molto più espressiva (e sanguigna) rispetto
alla "statua d’alabastro" Greta Garbo: certamente più
credibile nella rappresentazione delle passioni umane.
In comune, avevano certamente la bellezza: piena di
fascino e mistero in entrambe. "Marlene Dietrich, il tuo
nome è una carezza,
il tuo cognome una frustata", scrisse in un madrigale
Jean Cocteau, scrittore, regista e accademico di
Francia, omosessuale. "La tua voce, i tuoi sguardi sono
quelli di una maga incantatrice. Ma le maghe sono
pericolose, quasi sempre nefaste per gli uomini che
cadono nella rete dei loro incantesimi. Tu, invece,
rappresenti e dai gioia, gioia di vivere e di amare. Il
segreto della tua bellezza è anche il segreto del tuo
cuore. E la frustata di quel tuo cognome, così duro da
pronunciare, si stempera nella carezza di un nome
dolcissimo". Ed il "super-maschio" Hemingway:
"Non
avesse altro che la voce, così roca e inquietante,
basterebbe solo quella a far strage di cuori. Ma la
incantevole Marlene dispone di altri tesori: due gambe
stupende, la vigorosa perfezione di un volto che sembra
scolpito per l’eternità".
Le famose "pettegole" di
Hollywood attribuirono tanti amori, alla Dietrich come
alla Garbo: amori tumultuosi e sempre enigmatici, anche
con donne, che addirittura si sarebbero scambiate come
amanti. "Sono tante le sciocchezze che si leggono sui
giornali", mi rispose Marlene quando la intervistai a
Taormina nel 1962. "Uomini ne ho avuti tanti, ma amanti
pochi: con molti sono stata amica, compagna, sorella,
madre, consigliera, consolatrice. Ad Hemingway, sono
stata io a presentare la donna che sarebbe poi diventata
sua moglie; Gérard Philipe, l’amai come si può amare un
figlio; e Jean Gabin, quello sì, compagno e amante, un
grande amore, grandissimo, anche se eravamo entrambi
sposati. Quanto alle donne, ho avuto amicizie
bellissime, gratificanti sul piano affettivo ed umano
non meno di quelle maschili. Io dico che le amicizie,
quelle vere, non hanno sesso". A Taormina aveva appena
cantato al casinò. "Lili Marleen", come sempre, il suo
cavallo di battaglia: la cantava con la sua voce roca e
struggente, a 61 anni, incantando e commuovendo vecchi e
giovani. Era stata la canzone-simbolo della resistenza
anti-nazista, portata al successo in Germania da Lale
Andersen e proibita dai ministri di Hitler, ed in bocca
alla Dietrich, vent’anni dopo, faceva spuntare i
lucciconi agli occhi per la commozione anche a chi era
stato allora dall’altra parte, non soltanto agli
anti-nazisti. Ed a Taormina la sessantatreenne Marlene
tornò nel 1964, per non mancare alla famosissima
"notte
delle stelle" per la consegna dei premi David di
Donatello al teatro greco. "Uno spettacolo da favola,
indimenticabile", spiegò ai giornalisti, "quella cavea
punteggiata dalle diecimila candeline che gli spettatori
accendevano mentre si spegnevano le luci del teatro".
C’era anche la Garbo a Taormina, quell’anno,
"ospite
segreta" del dietologo Hauser, e di lei ebbi modo di
parlare ancora con Marlene. Non si limitò a dirmi,
l’attrice-cantante, che il grosso limite di Greta era
stato "di prendersi troppo sul serio, pensando davvero
di essere una divina sul pianeta Terra". Mi disse anche,
criticando duramente l’atteggiamento incredibilmente
polemico e rinunciatario della sua grande nemica, che
soltanto "una donna arida e assolutamente priva di
sentimenti" poteva rinunziare ad emozioni come quelle
che lei aveva vissuto in quella magica notte in teatro.
Emozioni, volle precisare, che "esaltano il tuo animo,
ti danno gioia di vivere, di amare". E concluse:
"Rinunziare a quelle emozioni, significa scappare dalla
vita; ed è un atto di viltà, la cosa peggiore che un
essere umano possa fare".
Marlene, la sua vita, la visse
fin in fondo, provandole tutte, intensissime, le
emozioni del vivere: morì a Parigi nel 1992, a 91 anni.
La "divina" Garbo era morta a New York nel
1990, a
85anni; ma lei, dalla vita, era scappata molti anni
prima. "Per viltà", spiegò la sua grande nemica Marlene.
I PECCATI E GLI AMORI DI TAORMINA / Gaetano
Saglimbeni - Armando Siciliano Editore (2005)
Una volta decisa la mia partecipazione al film, mi misi a
lavorare sotto la guida di Josef von Sternberg e cominciò
così la leggenda del nostro lavoro in comune. Quando si
gira un film, non si sa mai se diventerà un «classico»,
perché questo sono soltanto i posteri a deciderlo. Non si
può sapere a priori quale importanza finirà per avere. O
almeno così accadeva allora. Oggi i divi investono i loro
capitali personali in un film, speculando in anticipo sui
profitti che gonfieranno un po' di più le loro tasche.
L'Angelo azzurro,
presentato come il primo grande film parlato del
dopoguerra, fu realizzato con tutte le imperfezioni
dell'epoca; il suo successo dipende esclusivamente dal
fatto che fu von Sternberg a farne la regia.
Le difficoltà tecniche
furono innumerevoli. Era per esempio impossibile montare i
suoni, il che prolungava di molto la durata delle riprese
e obbligava a filmare contemporaneamente ogni scena con
quattro macchine da presa, in vista del montaggio
definitivo.
Tutto questo mi pareva
molto eccitante; vedere all'opera il grande maestro era un
piacere che non aveva fine.
Ero pronta ogni volta che
mi chiamavano; me ne stavo un po' in disparte per non
essere d'impiccio e per non ostacolare i movimenti degli
altri attori, ma ero sempre in attesa del più piccolo
cenno del signor von Sternberg che mi ordinava di entrare
in scena.
Oltre a Jannings,
partecipavano al film numerose celebrità. Erano tutti
gentilissimi con me. Povera Marlene, dovevano pensare, se
solo immaginasse che cosa l'aspetta dopo queste riprese...
Io non avevo idea delle
loro sgradevoli riflessioni. Ero ancora la brava ragazza
che obbediva agli ordini del solo padrone che lei
riconoscesse. E lui non mi abbandonò mai. Ero lì per lui,
e lui era lì per me, o almeno così credevo.
Non mi sbagliavo. Girò il
film in due versioni simultanee, una in tedesco e l'altra
in inglese.
Non esistendo ancora il
doppiaggio, von Sternberg mi presentò a sua moglie,
un'americana, e mi disse che se avessi avuto qualche
problema col mio inglese avrebbe parlato lei in mia vece.
Io avrei soltanto dovuto muovere le labbra.
La proposta mi indignò,
perché comportava la possibilità di un mio fallimento. E
io non volevo far fiasco. Dovevo dunque dimostrare le mie
capacità.
Cominciammo le riprese:
alla prima scena in tedesco fece seguito lo stesso brano,
ma stavolta in inglese. Eguagliai le mie migliori
esibizioni alla Scuola Max Reinhardt — e feci forse
qualcosa di meglio — grazie all'inglese che avevo imparato
a casa mia.
Ma Joscf von Sternberg
voleva l'americano. Panico a bordo. L'americano io non lo
conoscevo. Von Sternberg s'incaricò di colmare questa
lacuna e non fu necessario ricorrere a sua moglie.
Nessuno, credo, trovò qualcosa da ridire sulla mia
pronuncia. Contava soltanto il personaggio.
Contrariamente al metodo in
uso alla Scuola Max Reinhardt, von Sternberg non ammetteva
che io parlassi con la mia voce bassa; la voleva invece
acuta, nasale. Questo per rafforzare le asprezze
dell'accento berlinese, che assomiglia moltissimo al
cockney britannico.
Il mago von Sternberg compì
anche questo miracolo e mandò a casa la moglie. Non credo
che per lui sia stato un problema, dal momento che avevano
appena divorziato. Von Sternberg non parlava mai della
propria vita privata. Solo arrivando a Hollywood,
parecchio tempo dopo, venni a sapere che la sua ex moglie
non gli perdonava la loro separazione e che lui capiva il
suo risentimento.
Von Sternberg aveva
un'immagine estremamente precisa della Lola dell'Angelo
azzurro. Sapeva tutto della sua voce, della sua andatura,
dei suoi gesti, del suo portamento. Influì sulla scelta
dei miei vestiti e mi sollecitò a inventarne di nuovi,
cosa che feci con grande entusiasmo. Sottolineai i miei
abiti di scena con cilindri e berretti da operaio,
sostituii i gioielli con bigiotteria, a mio parere
finanziariamente più accessibili all'entraineuse di uno
squallido cabaret in un porto.
Un giorno von Sternberg mi
disse: «Voglio che vista di fronte lei faccia pensare a un
quadro di Félicien Rops e vista di spalle a un
Toulouse-Lautrec». Questa fu per me un'idea guida. Mi è
sempre piaciuto essere diretta. Non c'è niente di meglio
che sapere cosa ci si aspetta da te nella vita, nel lavoro
e in amore.
«Io non ho scoperto la
Dietrich» diceva spesso von Sternberg. «Sono solo un
professore che è rimasto colpito da una bella donna, ne ha
curato la presentazione, ne ha esaltato le qualità, ne ha
mascherato le imperfezioni, e l'ha plasmata per
cristallizzare in lei una rappresentazione afrodisiaca»...
Io credevo che L'Angelo
azzurro sarebbe stato un fiasco. Lo ritenevo infatti un
film banale e volgare, due aggettivi secondo me molto
differenti, ma che qui si completavano alla perfezione.
Sul set giravano
contemporaneamente quattro macchine da presa, lune
puntate, almeno così mi pareva, sull'inforcatura delle mie
gambe (lo dico col più profondo disgusto). Ed era davvero
così! Ogni volta che toccava a me, dovevo alzare una
gamba, la sinistra o la destra, e le macchine da presa non
cessavano di concentrarsi sul mio corpo.
... Finite le riprese
dell'Angelo azzurro, rutti ci salutammo. Von Sternberg
tornò in America. E ciascuno se ne andò per suo conto, a
continuare come meglio poteva la propria carriera,
rimpiangendo la sua guida, la sua autorità, la sua
gentilezza e la sua magia, di cui aveva saputo farci
sentire l'influenza divina e demoniaca senza mai ferirci.
Mentre scrivevo queste
pagine, mi è capitato di vedere alla televisione L'Angelo
azzurro nella versione originale tedesca. Non mi aspettavo
di trovare un'attrice perfetta in una parte difficile,
insolente e a volte tenera, un'attrice naturale e libera
che dà vita a un personaggio complesso, a una personalità
che non era la mia. Non so come abbia fatto von Sternberg
a operare un simile prodigio. Genio, immagino! La
volgarità di Lola s'accorda perfettamente con la volgarità
degli altri personaggi.
Confesso di essere rimasta
molto impressionata dall'attrice Marlene Dietrich, capace
d'impersonare con successo una puttana da marinai degli
anni Venti. E' giusto persino l'accento (il basso
tedesco).
Io, ragazza beneducata,
riservata, ancora oggi pura, nata da una famiglia
rispettabile, avevo azzeccato, senza saperlo,
un'interpretazione eccezionale che non avrei mai più
ripetuto.
MARLENE D. (Autobiografia) - Marlene
Dietrich - Istituto Geografico De Agostini (1985)
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