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La Nostalgia di Mia di Carmelo Serafin

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggera e intrisa di spavalderia giovanile, una cantante con atteggiamenti da gitana arriva sui banchi dei dischi con un trentatré giri dal titolo emblematico: Oltre la collina. Laicità, spiritualismo hippy e alcune indovinate traduzioni rendono l'insieme moderno e fulminante. Mia Martini, come un drink che spacca l'indifferenza di chi lo beve, scioglie la sua voce nei brani come un ghiacciaio la sua neve. E tutto prende una sua precisa connotazione. Il talento e la mediterranea ascesa dei suoi melismi vocali, fanno pensare alle sirene che fra Scilla e Cariddi cercarono di far naufragare Nessuno.

 

Padre davvero, un inno alla difficoltà di porsi di Mia e dei suoi coetanei di fronte alla "conflittualità" della figura paterna, si trasforma in un grido di protesta. Diventa un mio hit. Incompreso il grande film di Comencini, tratto da un modesto libro di Montgomery Florence del 1966 e Padre Padrone di Gavino Ledda del 1974 divenuto poi un film con i fratelli Taviani, sono lo spartiacque di questo brano del 1971 che è subito sembrato maledettamente vero. Nascosta nella canzone, la giovanissima Mia cela i suoi segreti. Le Lacrime di marzo di Baglioni suggellano la cruda verità di un dolore.

 

I brani, l'interprete li spoglia dell'effimero respiro di una canzone e diventano colonna sonora del suo io, estrema coerenza della situazione famigliare personale di Mimì. Qualcosa che nella sua complessità si richiama alla tragedia greca e che un certo Sigmund Freud descriverà, appunto, come complesso di Edipo. Campa cavallo...

 

La fragilità pura o maledetta di chi esce con una sensibilità decuplicata dal conflitto col proprio padre, ultimamente la possiamo ammirare, di un esagerato barocco ma geniale, nel film Into the Wild di Sean Penn tratto dal romanzo di Jon Krakauer che narra le vicende dell'incomprensione paterna subita da Christopher McCandless. Comandamento del film la frase che il protagonista lascia come testimonianza estrema del suo sogno: "Una gioia non condivisa, non esiste".

 

"Nessuno nasce imparato". E Mia nella sua maturità risponderà dal palcoscenico del Festival di Sanremo, con la canzone Gli uomini non cambiano, al suo ritrovato cammino di figlia. Esule, ma mai persa.

 

Lucarelli nell'omaggio che ha fatto alla radio, sul tormentato problema del rapporto figlia/padre e di conseguenza artista /ambiente musicale, descrive egregiamente il "grido munchiano" estremo che è la sua morte.

 

Oltre al suo primo album ho altri due trentatré giri, Per amarti, e Danza. Portano la sua firma e, contrariamente a quello che si diceva in giro, a me hanno portato fortuna.

 

Il ricordo di lei è così racchiuso dentro un lontano pomeriggio di marzo "a chiacchierare in maniera quasi sacra" che lì lo voglio lasciare. Come una grazia speciale...

 

Piccolo uomo e Minuetto (tra le prime canzoni di successo), Per amarti, Shadow dance, Danza, Preghiera, Agapimu, fino a Imagine... e ancora, Almeno tu nell'universo, La nevicata del '56, Hotel Sopramonte, Gli uomini non cambiano...

 

Tutte queste canzoni sono diventate speciali e le ascolto quando sono ferito dalla vita, ma non per nascondermi in un pensiero melodrammatico, ma perché nel sapore amaro/acido delle parole scorticate dalla sua voce, mi rigenero alla speranza. Essa imprime loro una luce di verità e di redenzione. Canzoni spesso ricche di sperimentazione interpretativa, per le quali Mia Martini ha pagato un pegno alto alla sua libertà di artista.

 

Un'artista che nella vita è sempre stata alla ricerca di una conferma del concetto che lei aveva della felicità terrena. Me lo disse proprio lei quel pomeriggio, con un sorriso bizantino: "Carmelo, la felicità terrena è possibile!". E io credo, a dispetto di tutte le Cassandre, che lei l'abbia qualche volta conosciuta. Adesso avrà colmato anche la sua Nostalgia di Dio. Per sempre.

 

PAGINA INSERITA IL 22.11.2009

 

 

Immagine di Bruno Bruni (Solitudine)