Mentre
cantava, alzava le braccia in alto, le muoveva come ali
facendole ondeggiare aggraziate. Un'aquila migratrice si
sarebbe detto, se non fosse che era già conosciuta come la
tigre. Poi portava giù le braccia facendole guidare dal peso
delle mani affilate e con un gesto misterioso chiudeva il
pollice e l'indice formando due occhielli, pronti a staccarsi
e ricomporsi seguendo l'ondeggiare dei sentimenti che
dirompevano dalle parole delle canzoni. Se non ci fosse altro,
basterebbe questo per dire quanto Mina avesse in sé
un'espressione di glamour, qualità rarissima nella televisione
italiana degli anni 60 e 70 per non parlare di quella dei più
recenti vent'anni.
Quanta inconsapevolezza ci fosse in quei gesti delle braccia,
ma anche nell'ancheggiamento tanto misurato che sembrava
studiato, lo spiega il fatto che molto più tardi, negli anni
80, a New York apriranno numerose scuole di Voguing, il
ballo che ripeteva con armonia meccanica le movenze delle
indossatrici sulle passerelle, nell'era in cui alle modelle
(Iman, Pat Cleveland, Alma, Marpessa) era richiesta
l'interpretazione dell'abito, secondo la lezione
dell'impagabile couturier-coreografo-fotografo ex ballerino
Thierry Mugler. Alla luce di quell'esplosione, Mina si rivela
l'istinto che si fa talento, modello insospettabile di un
glamour-de-vie che viene dall'intuizione in un'Italia che
definire Italietta è già un complimento.
Ma la Rai, dove Mina
regnava, all'epoca era un'industria culturale e, anche lì
forse intuitivamente, si faceva propria la lezione
dell'Hollywood in bianco e nero dove le dive vestite dai
costumisti supplivano alla mancanza di genio della moda
americana. Mina, dallo schermo della Tv oggi recuperato da
Youtube, appariva elegante, con quegli abiti sottoveste lunghi
e fluidi che percorrevano la figura magra ma sinuosa, gli
abiti di metallo di - o alla maniera di - Paco Rabanne, le
petite robe noir (i tubini neri) che si allungavano fino a
diventare abiti da sera. E Mina si presentava agli spettatori
sempre comme-il-faut, vestita con gli abiti da sera perché
all'epoca l'educazione passava anche per la rappresentazione
di sé e in casa degli altri, anche se invitati attraverso
l'accensione di un pulsante di un elettrodomestico, ci si
doveva presentare ben vestiti.
Non credo, non risulta, che Mina si servisse dei couturier e
dei sarti dell'epoca per il guardaroba di Canzonissima o di
Studio Uno. Più facile che costumisti come Corrado Colabucci
si affidassero alla lezione di Adrian (Gilbert Adrian), il
costumista della dive di Hollywood, per ripetere su questo
elemento dell'immaginario italiano che è Mina le
sperimentazioni di colui che disegnando costumi per il cinema
aveva fatto su Greta Garbo, Barbara Stanwyck e soprattutto su
Joan Crawford. Sarà per questo che l'immagine di Mina passa
dal maglione a collo alto della moda esistenzialista alla
Juliette Gréco dei primi Anni 60 a quella successiva più
glamorous alla Barbra Streisand, la diva americana diventata
immediatamente icona di stile internazionale dopo la sua
esibizione nel 1960 in un bar gay del Greenwich Village di
Manhattan e già vedette amatissima per il Funny Girl di
Broadway (1964), di cui in un certo senso la nostra
italianissima voce miracolosa adotta lo stile e le due fasce
di pubblico di riferimento, i gay da una parte e le famiglie
popolari dall'altra, uniti nella glorificazione della sua voce
e della sua immagine.
E avevano ragione: all'epoca la televisione costruiva dive che
non approfittavano dei prestiti dei vestiti degli stilisti di
moda, non avevano un tariffario che corrispondeva al numero di
apparizioni con un abito firmato, si affidavano alla bravura
dei costumisti e mettevano in gioco le loro doti naturali, il
loro istinto, le loro intuizioni, le loro elaborazioni di
modelli arrivati dall'estero per costruire un immaginario che
oggi appare ingenuo ma che se non fosse stato bloccato avrebbe
potuto diventare la strada italiana al glamour. Lo sa bene
Valentino che nella moda rappresenta la versione italiana del
glamour francese e che, inconsapevole come chi lo adottava,
sembra essere il maggiore ispiratore dello stile di Mina.
E poi la banda passò, Mina si ritirò, alla Tv arrivarono le
scosciature, e quegli occhi truccati con l'eyeliner tracciato
a matita sono rimasti icona di un tempo-moda televisivo
irrecuperabile.
Michele Ciavarella - IL MANIFESTO 31.7.2013