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La voce roca che stregò Warhol e Delon


Di sicuro, quando gireranno il film definitivo di quegli anni, insisteranno sulla musica. Ce n'è sempre stata, ma il Novecento è il primo secolo ad avere avuto una colonna sonora. In quel film Nico occuperà ben più di un fotogramma, e sue saranno ampie zone della partitura. Le sue canzoni scandiranno martellanti le icone di coloro che sono stati suoi, che l'hanno avuta o incontrata: da Lou Reed a Bob Dylan, da Alain Delon a Jim Morrison, da Andy Warhol a Coco Chanel.

Musica, un diluvio di musica. Come una marea montante che si trascina dietro volti e nomi. Anzitutto il suo di valchiria bionda che incantava chiunque e veniva dal nulla: un nulla così nero che non siamo certi nemmeno se fosse nata nel 1938 a Colonia (o nel 1943 a Budapest). Il padre morto in un lager, la madre con lei nella zona più povera di Berlino devastata dalla guerra. Nemmeno il nome è più che un soprannome. Si chiamava in verità Christa Paffgen, "Nico" le rimase addosso come lascito di un ex amante che si chiamava così. Era bellissima. Sedicenne a Parigi fu pupilla della mitica Coco Chanel. Posava per le riviste più prestigiose, anticipò - con un sovrappiù di charme - le stagioni delle top model. Federico Fellini volle che apparisse ne La dolce vita, in Italia Alain Delon s'innamorò di lei; ne nacque un figlio, Christian Aaron. Delon non volle saperne, troncò i rapporti, non l'avrebbe mai riconosciuto benché la somiglianza tra i due fosse notevole. In una sorta di benevolo contrappasso, a occuparsi del bambino, ad allevarlo e adottarlo, sarebbe stata la madre dell'attore francese: e così si sarebbe chiamato Ari Boulogne, dal nome del secondo marito di lei.

Musica, musica dura. E ancora nessuno avrebbe immaginato quanta avrebbe saputo produrne la valchiria bionda. Che a quel punto, siamo negli sconvolgenti anni Sessanta, volò a New York. Il tempo di sbarcare e già studiava all'Actors Studio insieme a Marilyn Monroe. Diventò poi una delle muse ispiratrici di Andy Warhol in quella Factory che è stata culla e tempio della Pop Art e del rock. Fu Warhol a imporla voce solista dei Velvet Underground, come una stella piovuta dal cielo. Gli altri cercarono di scrollarsela di dosso: pensavano, all'inizio, che fosse la solita bambola senza cervello.

E invece. Accadde che il disco The Velvet Underground & Nico, uscì nel 1967 e diventò una pietra miliare del rock. Se ne accorsero tutti: anche Lou Reed, gelosissimo leader del gruppo, e John Cale, che fu suo amante come tanti, ma anche suo mentore duraturo. Ci sono, nel suo letto e nel suo portfolio, subito Bob Dylan (le dedica I'll Keep it With Mine) e più tardi Jim Morrison, il bello e dannato leader dei Doors. Quanto alla qualità innovativa di quella musica, lasciamo la parola a Brian Eno: "Solo duemila persone comprarono 'Velvet Underground & Nico', ma finirono tutti per fondare un gruppo".

Altro che bellona senza testa. Fu Nico a lasciarsi alle spalle l'ingombrante Warhol e i tumultuosi Velvet. Aveva altri programmi: riprese l'attività di mannequin e imboccò una strada musicale che le potesse consentire di sfruttare al meglio le sue enormi qualità vocali e il suo timbro rauco, inconfondibile. In sodalizio col fedele Cale, che l'accompagnava con la sua magica viola, sfornò una serie di album da solista di cui molta musica punk degli anni Settanta sarebbe stata figlia e nipote. Musica dark, da accapponare la pelle, da messe nere e ceri fumiganti. Ma che musica: così era Nico.

Un'altra stagione era alle porte. Negli anni Settanta divenne l'icona della sovversione, cantò in memoria del terrorista tedesco Andreas Baader, dissacrò con un concerto la cattedrale di Reims, premette forte sull'acceleratore dell'oscurità (ha ragione Gabriele Lunati a intitolare Bussando alle porte del buio la sua bella biografia di Nico, appena pubblicata da Stampa Alternativa). Frattanto si era intrecciata la relazione col regista underground Philippe Garrel che la diresse nel 1972 in La cicatrice interiore. Questo e altri film celebrarono un'era di solitudini creative, dedite agli eccessi quasi per compensare l'insignificanza di tutto. Nico e Philippe furono amanti, soci, partner sulla scena. Fu in quel periodo che Nico venne raggiunta da Ari, il figlio che non aveva allevato: eppure l'amava, e intitolò L'amour n'oublie jamais il libro che lui avrebbe pubblicato nell'estate del 1988.

A quel punto però Nico non c'era più. Se n'era andata un mese prima a modo suo, misteriosamente. A soli cinquant'anni, quel che non erano riusciti a fare la droga e l'alcool lo fece a quanto pare una caduta dalla bicicletta. Ma nemmeno di questo siamo sicuri. Solo della musica.

 

Giuseppe Romano - CHI - 2006