Patti non è un personaggio da tralasciare, se vi
capita di incontrarla o di ascoltarla ne rimarrete
intrappolati, sia in maniera positiva che negativa. Potreste
chiedere: "Chi è questa che si agita tanto?" o "Da dove le
viene tutta questa forza?", ma l'attenzione si focalizzerà
immediatamente.
Ho avuto modo di conoscerla a New York la scorsa
estate, al termine di un suo concerto indescrivibile: urla sul
palcoscenico, rumori assordanti, sputi, parolacce e musica a
non finire. Patti Smith è Patti Smith. Una creatura irreale.
E' venuta a sedersi al nostro tavolo alla fine dello show e ha
preso a parlare di sè, naturalmente. E non solo perché eravamo
giornalisti, ma perché lo fa in continuazione. E tu non puoi
fare altro che ascoltare: ha vissuto mille vite.
"Mio padre faceva l'operaio in fabbrica, mia
madre la cameriera, è come dire che non li vedevo mai. Io ero
la più grande e dovevo escogitare ogni maniera per tenere
legati a casa i miei fratelli: Kimberly, Linda e
Todd.
Raccontavo storie, lavoravo di fantasia, sembravo un
giocoliere. Verso i quindici anni ero completamente presa
dalla black music, potevo cantare ogni canzone delle Ronettes
almeno bene quanto loro. D'altronde ogni ragazzo a quel tempo
poteva farlo, ma io sapevo già di essere speciale. Poi sono
arrivati i Rolling Stones e sono rimasta schiacciata! Sarei
morta per loro! Quindi Dylan. Li sentivo talmente vicini da
concretizzarli e parlare con loro delle ore. E' strano, quando
li ho conosciuti realmente non avevo niente da chiedere. Era
meglio allora, quando vivevano solo nei miei sogni. Non
immagini cosa abbiano potuto farmi i primi due albums di
Dylan, schiantata! Ho sempre vissuto in posti molto "duri", le
parti di Jersey (dove è nata, nella parte a sud) che io
frequentavo erano terribili, ma io non mi sono mai sentita
veramente attratta dalle maniere femminili, preferivo un paio
di pantaloni. Odiavo mia madre e i suoi belletti. Poi sono
rimasta incinta: una sedicenne con una pancia grossa così! Non
mi è piaciuto affatto, e non ero nemmeno sposata, così ho
lasciato il bambino all'istituto e sono partita per New York.
Se devo dire la verità, pur non accettando quell'esperienza ne
sono uscita fuori più matura. Comunque, arrivo a New York e
scopro Rimbaud, il poeta francese, lo guardo sulla copertina
di un libro e scopro somiglia a Dylan... Non è meraviglioso?
Era il '67 e, si può dire, che la mia poesia sia nata proprio
allora, ma sapevo che la mia vera specialità dovevano essere i
viaggi ed ero contenta di essere una cantante, così non dovevo
preoccuparmi di preparare la strumentazione come un povero
batterista, sempre pieno di scatole e valige. Io avevo un paio
di pantaloni e potevo filarmela in qualsiasi momento, tant'è
vero che, assieme a mia sorella Linda, sono partita per
Parigi. E' stato tutto così noioso: due ragazze sole che non
sanno una parola in francese! Io ho sognato della morte di
Brian Jones proprio qualche tempo prima della fine...".
Patti Smith divora le parole, non riesce a stare
ferma e a guardarla è peggio: magrissima, pallida, senza
un'ombra di petto, scapigliata e oltraggiosa sembra la
controfigura di Keith Richard. Le manca solo la nera fila di
denti cariati. Mi chiedo se possa essere il suo grande amore
per i Rolling. Si può arrivare a tanto? Comunque, per seguire
le sue parole biascicate, cerco di prestare più attenzione...
"M'ero talmente scocciata che, dopo una
puntatina a Londra, sono tornata a New York. Vivevamo al
Chelsea Hotel. Era il 1970 e c'erano proprio tutti. Andy
Warhol e la sua corte, Burroughs, Janis Joplin, gli
Airplane...
Io continuavo a lavorare: scrivevo canzoni, provavo, buttavo
giù poesie, andavo ad ascoltare musica fin verso la Bowery,
poi la mattina stavo in una libreria per settantacinque
dollari alla settimana. E' stato lì che ho incontrato certa
gente che poi mi ha fatto entrare nel giornalismo rock. Siamo
colleghi! Naturalmente fino al giorno in cui mi hanno detto
che la roba che gli portavo era offensiva. Cosa volevano da
me? Io so fare le cose, in una sola maniera, la mia"
In realtà, a New York dicono che
Patti, come
giornalista, fosse davvero unica:non dimenticava mai chi fosse
la star, durante le interviste. Lei, naturalmente! Comunque,
la vita filava anche senza giornalismo ("Sono stata anche in
fabbrica, io!") e Patti aveva pubblicato i suoi libri:
Seventh, del '71, Kodak, del '72, Witt del '73, poche vendite
ma precise.
Ora rimaneva la musica: l'incontro con Jane
Friedman (anche coordinatrice per Woodstock) fu decisivo: lei
si sarebbe occupata di Patti. Mentre parla di Jane
si illumina, sembra chiedersi come possa esistere una persona
che riesce a "venderla", deve essere ben difficile! Dall'album
Horses a quest'ultimissimo Radio Ethiopia il
passaggio è stato veloce. Mrs. Patti Smith è sulla
bocca di tutti, dall'America all'Europa, cambia solo il
produttore, da John Cale a Jack Douglas e il
passo sembra senz'altro migliore. Tutta la provvisorietà,
l'irruenta forza, la scatenata capacità, sembrano maggiormente
condensate e, pur rimanendo un fenomeno a se stante (pur visto
nella immedesimazione della "nuova" New York musicale) nel
nuovo album Patti risulta maggiormente completa. Ask
The Angels, Ain'it Strange, Poppies,
Pissing In A River, Pumping, Distant Fingers
e la stessa Radio Ethiopia che dà il titolo all'album,
sono brani consequenziali, cocenti e pulsanti. Per dirla alla
sua maniera "io sono fatta così, prendere o lasciare, non amo
i compromessi, che tutti vadano al diavolo". E davvero non
rimane altro da fare, i veri personaggi, in fondo, si
riconoscono anche da questo, sono sicuri prima di qualsiasi
altro che la loro è la vera arte.