PATTY PRAVO Selezione bibliografica

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1966 incontrai Patty Pravo. Ricordo ancora quando la vidi: stava scendendo le scale dal primo piano della palazzina, una delle due della RCA, dove si trovavano gli studi. Mi bastò vedere come le scendeva, per capire che era diversa da tutte. Bellissima, più rotonda di ora, si mostrava molto sicura di sé. Mi sono sempre chiesta se la sua sicurezza fosse sincera o non fosse invece una forte difesa a una recondita timidezza. Era tenera e sfrontata, allegra e umorale, un po' bugiarda per necessità, attenta a tutto quello che le nasceva intorno, la battuta pronta d'ironia sferzante. Lei ed io ci prendemmo subito. Allora ero più vecchia di lei, che aveva più o meno 17 anni, ma ero pur sempre una ragazza. E quello era un mondo di uomini... La sua prima canzone fu Ragazzo triste. Alla RCA la chiamavamo ancora Nicoletta, e su di lei si facevano delle gran riunioni, fino a quando non arrivò, come sempre, il fatidico momento di mandarla in televisione. Mi ricordo che quell'anno, come se non bastasse, ogni casa discografica, per conto proprio o interagendo con altre, doveva prepararsi per la trasmissione televisiva Scala reale, una versione di Canzonissima a squadre. Era il 1966. Si dovevano affrontare due gruppi composti rispettivamente da due cantanti big, un artista straniero e un giovane. Mi ricordo che noi dell'ARC, dovemmo scegliere tra una decina di nostri giovani e tirare fuori un nome, ma sebbene ne avessimo molti, io andai alla riunione senza un dubbio. Mi ricordo che diedi battaglia a un simpatico produttore esterno che proponeva la cantante Evì, graziosa, bella vocina... ma niente a che fare con Nicoletta. Mi battei non poco, perché c'erano anche questioni, come posso dire, di precedenza. Ribadii che non avevo nessun dubbio, ma proprio nessuno. Ennio Melis diede l'ok definitivo e Patty Pravo andò a Scala reale. Patty fu da subito diversa, danzava mentre cantava, con delle movenze leggermente provocatorie. La sua canzone, Ragazzo triste, fece presa. Mi ricordo anche che "Nicoletta degli inizi" disse di voler incidere pezzi blues in inglese. La cosa non fu naturalmente presa in considerazione, visto che il parco cantanti americano del genere non aveva rivali. Nacquero invece due hit di grande successo, ma non certo blues. Erano Qui e là - che fu un po' la canzone simbolo di un nuovo modo libero di vivere cui i giovani di allora tendevano fortemente e per i quali lei diventò un'icona - e la bellissima Se perdo te... La Strambelli assorbiva molto tempo a tutti. Che fosse un'artista destinata a una lunga carriera lo si capiva fin troppo bene. Era sempre molto puntuale e fin d'allora professionale. Ogni tanto in televisione qualcuno diceva che era capricciosa, ma le sue osservazioni (spesso pungenti) erano dettate da esigenze artistiche reali. E quando saliva in palcoscenico, pur così giovane, non aveva rivali. Ho spesso pensato che se lei fosse nata in America avrebbe preceduto Madonna per le sue capacità sceniche. E poi era più bella! Io smussavo gli angoli con tutti, ma spesso ero d'accordo con lei. Aveva anche un istinto geniale per il suo abbigliamento, non solo televisivo. Spesso uscivamo insieme, per decidere i vestiti da indossare in varie occasioni (servizi fotografici, show televisivi, serate, ecc.), e già prima di uscire si cambiava magari due o tre volte, fino a che non era soddisfatta. Il risultato era sempre giusto.

 

PENSO CHE UN "MONDO" COSI' NON RITORNI MAI PIU' - Mimma Gaspari

BALDINI CASTOLDI DALAI EDITORE (2009)

 

 

Nicoletta Strambelli, alias Patty Pravo, è stata un personaggio straordinario, geniale, una voce molto interessante, e una fantasia eccezionale nei costumi che s'inventava, stile David Bowie. Una ragazza di grande bellezza, che ha segnato gli anni Settanta nel nostro paese. Il mito del Piper. Una volta abbiamo anche cantato insieme (Italy for Italy, 1985). Decidemmo di fare Poesia di Cocciante. Nicoletta: "Io suono il pianoforte", io: "Va bene, proviamo", lei: "Figurati, a cosa serve?", io: "No, proviamo". E così provammo. La mattina dopo arriva la Bertè come una furia, si proietta su Nicoletta e dice: "Ma che fai, canti con quella vecchia della Vanoni?". Loredana è sempre un po' eccessiva. La sera inizia la ripresa televisiva in diretta. Nicoletta si mette al piano e io in piedi accanto a lei. Quando cantavo io, il regista riprendeva Nicoletta, quando cantava Nicoletta riprendeva me. Un casino. In più c'era un'ombra verde che confondeva tutto. No, non è stata una grande performance. C'è stato un periodo in cui mi chiamava di notte, era l'epoca in cui non dormivo mai. "Pronto Ornella, mi dovresti dare il numero di telefono di Versace". "Ma sono le tre" e metto giù. Risuona il telefono: "Non pensare di cavartela così"... Nicoletta è matta ma mi è simpatica.

 

UNA BELLISSIMA RAGAZZA - Ornella Vanoni - MONDADORI (2011)

 

 

Nel 1990 annunciarono il mio nome tra i partecipanti al Festival di Sanremo. Vengono da me gli organizzatori e mi fanno ascoltare una canzone di Danilo Amerio dal titolo Donna con te. "Vorremmo che la cantassi tu" mi dicono. Io la ascolto e non nascondo qualche perplessità. Non mi convince. Ma loro insistono. "Guarda, ci teniamo tantissimo e poi, se non ti piace qualcosa, puoi cambiarla". Alla fine, accetto. "Va bene, però mi assicurate che posso cambiare anche il testo". "Quello che vuoi". Chiamo un mio amico attore e cantante, sardo di origine, ma romano di adozione, Marcello Murru, e gli chiedo di cambiare le parole, di raccontare una storia completamente diversa e, soprattutto, di togliere due versi orribili che dicevano: "Le tue mani su di me / stanno già forzando la mia serratura", che avevano un significato ben preciso nel contesto della frase. Lui scrive un testo bellissimo: racconta l'incontro fugace tra due ragazzi, che si conclude, come nella poesia di Garcia Lorca, alle cinque della sera. Cambiamo anche il titolo: non più Donna con te, ma Fandango. Sento gli organizzatori: "Tutto a posto, vero? Perché io sto lavorando alla canzone e sto cambiando tutto". "Tranquilla, Patty. Fai quello che vuoi". Prepariamo il 45 giri. Luciano Tallarini riprende una foto mia, un bel primo piano, dal servizio che avevo fatto per Oltre l'Eden... e stampa addirittura la copertina. A pochi giorni dal Festival, mi chiamano gli organizzatori: "Patty, c'è un problema". "Che problema?" dico io- "La canzone non si può cambiare". "Benissimo, allora non vado a Sanremo". Il 20 febbraio convoco una conferenza stampa per annunciare il mio ritiro. E dico agli organizzatori: "Ragazzi, io mantengo sempre la parola data, ma voi dovevate mantenere la vostra. Avevo detto che avrei partecipato al Festival con Donna con te e lo ribadisco, ma voi mi avevate assicurato che si poteva cambiare il testo di questa canzonaccia. Ora mi dite che non si può fare e allora fatela cantare a qualcun altro, perché io, questa roba qui, non la canto nemmeno morta". La dettero ad Anna Oxa che, in ventiquattr'ore, cambiò tutto come pareva a lei, parole comprese. Le permisero di fare ciò che a me era stato negato. La Oxa, in quell'occasione, fu bravissima. Riuscì a imparare il testo a memoria in poche ore, e cantò bene e in un modo che si capivano addirittura le parole...

 

BLA, BLA, BLA... - PATTY PRAVO con Massimo Cotto - MONDADORI (2007)

 

 

 

Patty Pravo fa pagar cara alla discografia la sua immagine di Diva della Provocazione (Pravo=Provos, l'allusione era alla radice della scelta del "nome d'arte" di Nicoletta Strambelli). I suoi LP costano alla casa discografica 30 milioni e passa, in un'epoca in cui quelli degli altri ne costano 4-5. Patty esige che si registri solo nelle ore notturne (quando la sala di registrazione costa il doppio e scattano molti "superi" extra di straordinari dei tecnici e del personale). Si narra che durante alcune sedute di registrazione Patty interrompa per due ore ricevendo in sala di registrazione il suo maestro di yoga per i relativi esercizi. Un comportamento insomma da bizzosa popstar, che scivola spesso nel burinismo quando coinvolge oltre alla casa discografica anche i musicisti, i tecnici, insomma tutti quelli che le gravitano attorno non per "rendere omaggio" ma per lavoro. Ma è anche vero che tra tutti i personaggi di Dive che abbiamo visto, Patty Pravo è stata quella che ha dovuto subire di più l'etichettamento, o meglio che ha dovuto prendere su di sé compiti molto grossi: essere oggetto di identificazione dei "giovani", degli amanti delle "Signore della canzone", dei "gay", dei "beat" e dei "rockers", o di semplici canzonettari in un'epoca per di più dove la canzone non faceva ancora "cultura" e veniva guardata un po' dall'alto. Oggi si sociologizza, si tirano in ballo Marx e Freud, si scompongono con banale dandismo intellettuale da poveri professorini anche i Kobra della Rettore. Figuriamoci che sarebbe successo con la Patty Pravo, se i tempi fossero stati "semiologicamente maturi". Ma forse il suo personaggio di prima vera Diva-anti-diva, è stato messo un po' ai margini dell'attenzione critica, proprio perché imbarazzante. Come imbarazzanti furono le foto vigliacche che il signor Paolo Mosca fece pubblicare sulla copertina di un Novella 2000: si vedeva una Patty Pravo smagrita, tesa, apparentemente invecchiata, e la didascalia, tutta maiuscola, recitava: "COME SI E' RIDOTTA". Ma la cosa non pare aver granché nuociuto a Patty Pravo, ha solo mostrato il volto del "giornalismo avvoltoio" per famiglie benpensanti. Patty la vediamo rispuntare ogni tanto nei punti più diversi: se è emaciata su Novella 2000, è ancora bambolina su Sorrisi e Canzoni e subito dopo vampira-sexy su Playboy. Le sue canzoni si sentono meno, non è più nemmeno chiaro dove abiti (se a Roma o in America come dicono alcuni), se se ne stia a farsi i fatti suoi o mediti nuove vendette, se incide per Tizio (RCA) o per Caio (Ricordi) o solo per sé. Il periodo vede emergere nuove presenze di anti-dive che non fanno un mito neanche dell'antidivismo, fanno l'occhietto alle clownerie (come la Rettore) o frequentano le palestre per imparare a tirar cazzotti (come la Nannini). Pare di rigore anche un certo cialtronismo, che Patty anche nei suoi momenti più sgraziatamente punk ha sempre "tenuto a distanza". Questo è quanto, però è già qualcosa poter dire che anche la canzonetta rock ha avuto la sua Marlene Dietrich.

 

LA STRAGE DELLE INNOCENTI - GIANFRANCO MANFREDI - LATO SIDE EDITORI (1982)

 

 

Non ho un carattere facile. Do per scontato che tutti capiscano. Ma non è sempre così. Rompo le palle. Prima o poi qualcuno mi chiama in camerino e mi dice: "Strambelli, ci hai rotto". Ma solo quando lavoro, perché sono molto rigorosa, con me stessa prima ancora che con gli altri. In genere comando io. Quasi sempre. Ho dovuto cedere solo per i Mondiali di calcio. I musicisti mi hanno costretta addirittura ad interrompere le prove. Volevo ucciderli. Però non hanno voluto sentire ragioni. Per fortuna l'Italia è stata Campione del Mondo. Nella vita, invece, sono rilassatissima e andare d'accordo con me è la cosa più semplice del mondo. Certo, sono un essere un po' asociale. Però, quando vedo le persone è perché mi va. Rido spesso. Di gusto. Inutile fingere di essere ciò che non sono. Non cambierò mai. Smusserò gli angoli, limiterò qualcosa, ma è tutto quello che posso concedere. Credo di essere già migliorata molto come persona.

 

BLA, BLA, BLA... - PATTY PRAVO con Massimo Cotto - MONDADORI (2007)

 

 

LA BAMBOLA, IL BAMBINO E L'UOMO MASCHERATO - Un bambino, di fronte a un'edicola di giornali. E' il 1970. Il bambino è un bambino strano: compra tante riviste, tante altre ne guarda. Si ciba di pagine illustrate e di figurine. Gioca a pallone: come gli altri, si sbuccia le ginocchia nella piazza, il nonno ci mette sopra il brandy, quando la ferita sanguina più del solito. Caccia le formiche, in una caccia senza fine. Ma soprattutto, legge. E si chiede quando è che il giornalaio scarterà il pacco con i nuovi Topolino, o il nuovo Corriere dei piccoli. A volte, sopporta anche L'Uomo Mascherato, e Mandrake, anche se sente che sono cose di un'altra epoca.

E' di un altro pianeta anche il volto che vede, quel mattino, nel giornale illustrato. Una ragazza bionda, un volto che sembra una Madonna di Filippo Lippi, o la Venere di Botticelli. Ma questo ancora, quel bambino non lo sapeva. Sette anni, non di più. Il nome della ragazza: Nicoletta Strambelli. Nata a Venezia nel 1948, dice la didascalia del giornale. Ventidue anni. Era grande, più o meno vecchia, pensa il bambino. Ventidue anni, mamma mia quanti.

E magari, invece, in quei giorni Nicoletta, alias Patty Pravo, era una ragazza soltanto, con tutta la fragilità di ventidue anni presi d'assalto da fotografi e giornalisti. Un'adolescenza passata da quasi adulta, ballando con le gambe ad angolo del pop, gli stivaloni bianchi, la minigonna davvero mini, i capelli lunghi biondi sciolti, la testa che dondola, che si abbandona, in un locale allora di moda, più ancora che di moda: il Piper, un mito. E la voce che si sparge, quella ragazza di quindici, sedici, diciassette anni che balla e canta, sicura di sé. Non c'era la televisione onnipresente, non c'era Non è la Rai, ma la voce si sparge lo stesso. La popolarità arriva, di quella un po' malandrina, che ti marchia. Un'ascesa irresistibile, in un mondo - quello della canzone degli anni '60 - che era un ribollente calderone, miti che nascevano ogni giorno, industria e gioco, ma sempre con un enorme senso di futuro, c'erano canzoni oggi, ce ne sarebbero state domani. Un mondo pop, colorato e giovane, dove tutti i divi hanno meno di trent'anni, tutti cantano e fanno cantare la gente. Caterina Caselli, Little Tony, Gianni Morandi, Nada, I Giganti, L'Equipe 84. E Patty Pravo.

E' il 1968: il bambino ha cinque anni. Un'operazione alle tonsille. Entra in ospedale, ma è poco più di un gioco. Invece ci sono tutti, i genitori e la nonna, che gli chiede quale regalo vuole. Il bambino lo sa, quale regalo vuole: quattro dischi. I primi quattro che ascolterà. Uno è Azzurro di Celentano, lo fa impazzire. Il secondo è Vengo anch'io, no tu no di Enzo Jannacci. Il terzo è un disco che ha dimenticato. Il quarto è La bambola di Patty Pravo. La copertina è colorata, tutta pop. Diversa dalle scarpe da mafioso di Celentano, diversa dal verde pisello della copertina di Jannacci. Dentro, una voce da night club. Una voce sensuale. E soprattutto moderna. Una voce che sembra salire e scendere, liquida e colorata, come certi orologi ad acqua, con tutte le colonnine di vetro dove il liquido corre, a segnare i secondi e i minuti.

Quel disco, il bambino lo conserva ancora. Non è più un bambino, naturalmente. E Patty Pravo l'ha vista ancora. Ha seguito i suoi infiniti ritorni, sempre da regina, da fuoriclasse, mai da concorrente. Sempre distante, con lo sguardo di chi ha visto cose che noi umani non potremmo immaginarci, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e i raggi B balenare nel buio. Non sappiamo che cosa è accaduto nel frattempo in lei, quanti pensieri stupendi e quanti mondi sconosciuti abbia visitato, quante pazze idee si siano fatte strada nel suo sguardo remoto, distante, distratto, come se noi umani fossimo quaggiù, e lei altrove, a nutrirsi di altre visioni, a respirare altra aria. Icona fantasmatica, quasi irreale, fantascientifica, sfinge egizia dagli occhi blu, o forse grigi, geisha e imperatrice, sapiente e regale.

La sua voce di giunco, per la verità, il bambino l'aveva sentita affiorare altre due volte. Anni '70, primo anno di ginnasio, altri sogni. Casa di un'amica, una compagna di scuola a letto malata, con l'influenza: quella del primo banco, la più carina, la più cretina: sì proprio quella. Che poi, giochi del destino, avrebbe scambiato i primi baci con Piero Pelù, futuro rocker maledetto, o quasi, sulle panchine della scuola. Ginnasio, dunque. Anni '70. Il mangiadischi con i dischi delle tonsille non c'era più. C'erano le radio, le radio libere. E dalla radio, la voce di cristallo di Murano. "E tu, e noi, e lei, tra noi...". Era il pensiero stupendo, ambiguo, perverso di Patty Pravo. Parole del ruvido e poetico Ivano Fossati, ma questo il bambino, quattordicenne, non poteva saperlo. E sempre in quegli anni, la "pazza idea" : ...di fare l'amore con lui, pensando di stare ancora insieme a te... Un sesso tutto di testa, virtuale, si direbbe oggi. Tradimenti, trasalimenti, turbamenti interiori. Sessualità inquieta. Una donna che non è mai lì dove te l'aspetti. Avrebbe imparato a conoscerle, nella vita, il bambino, donne così.

E poi gli anni '80 e '90. Infiniti ritorni e infinite pause fra un ritorno e l'altro, forse per combattere contro l'immagine di quella ragazzina dagli stivali bianchi, che fatica ad andarsene. Forse anche contro quel nome, oggi un po' demodé, nome anglicizzante e cognome singolare, come Bobby Solo, o Jimmy Fontana: Patty Pravo. Patty che promette sensualità, curve, morbidezza. E Pravo come una frustata, come un segreto, che sa di lontananza e di Russie. O forse, tutto questo sapore lo ha soltanto per quel bambino, quel bambino di allora.

 

PATTY PRAVO... COME UN ANGELO DA COLLEZIONE a cura di Riccardo Benelli ed Emanuele Bardazzi

Racconto di Giovanni Bogani

Tarab Edizioni Srl (2000)

 

 

E DIMMI CHE NON VUOI MORIRE (Featuring Fiorella Mannoia - Quello che le donne non dicono)

Allora, lui è sposato. Lei è l'amante. Lui la fa girar, la fa girar, la fa girar come fos... se... una... bam... bola (e per lei non è niente di nuovo). Quindi la molla al suo destino. Dopo qualche anno, come la maggior parte degli uomini, torna sul luogo del delitto, ma lei non fa troppe storie. Sì, è delusa e disillusa, emette una tipica espressione pattipravesca di elegante tedio, ma non si nega. Si offre con noncuranza, chiedendo: "Vuoi far l'amore con me?" come se domandasse "Dov'è il telecomando?". Ha solo due desideri: 1) essere portata al mare - 2) sapere che lui non vuole morire.

Se non fosse per la musica suadente, uno sarebbe legittimato ad aggrottare la fronte nell'espressione intensamente dubbiosa che ha reso noto il piccolo protagonista del telefilm Arnold. "Che cavolo stai dicendo, Pravo?" Insomma, lui se la sta scialando alla grande, con te, la moglie e forse qualche escort; l'unica cosa che può turbarlo sono le loro richieste finanziarie, ma tra i suoi desideri, quello di morire non compare affatto... Oppure non hai notato che un attimo dopo la domanda: "Vuoi far l'amore con me" è rimasto in men che non si dica in mutande (e calzini)? Naturalmente lo stato confusionale non è imputabile alla Patty, anche se si sa che è una che non si è negata niente, neh! Il fatto è che queste canzoni su donne definitivamente deluse dagli uomini, in realtà nascono quasi tutte da penne maschili (o al limite da quella di Cristiano Malgioglio). La Vanoni, Mina, Mia Martini, Fiorella Mannoia, ci sono dovute passare tutte... Anzi, torniamo pure alla Mannoia, il cui brano più celebre, Quello che le donne non dicono (di Enrico Ruggeri), ha per sfondo una situazione assimilabile a quella di E dimmi che non vuoi morire. A casa Mannoia c'è un ultimo disperato anelito per i complimenti dei playboy che non arrivano più. Per delle rose e nuove cose nelle sere tempestose. A casa Pravo, c'è uno stanco scetticismo: "Sono tutti quanti degli eroi quando vogliono qualcosa", mormora con una smorfia la diafana signora di mezza età, versandosi due dita di Chivas di fianco a una foto appesa al muro che la ritrae ai tempi in cui era la ragazza del Piper. E inaspettatamente, mentre la rossa, muscolare Fiorella si propone come quarantenne bambola da far girar ("cambia il vento ma noi no, non saremo stanche, neanche quando ti diremo ancora un altro sì"), la Bambola originale, la esile e bionda Patty, manifesta il proposito opposto, con un "la cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me" propositivo anche se un po' confuso (tenete conto che gli autori sono Gaetano Curreri e Vasco Rossi. Il primo non di rado si ingarbuglia nello slancio, il secondo probabilmente si è limitato a scompaginare l'analisi logica di alcune strofe dopo aver tentato in tutti i modi di imporre, come ritornello, la vocale "Eeeeeeee!").

 

DIAGNOSI FEATURING TERAPIA - E' molto probabile che chi si distrugge per una delle due canzoni abbia un'alta opinione anche dell'altra: entrambe mettono in scena lo sfiorire femminile e la mestizia che lo accompagna. La donna-Mannoia, nonostante il vitalismo vocale del ritornello, continua a farsi trascinare dalla vita e da chiunque possa citofonare alle 23,45 al suo appartamento all'EUR per colorare le sue notti bianche. La donna-Pravo è anche lei una ex topolona che ne ha viste tante, ma non si aspetta più nulla, capisce che bisogna cambiare la vita che l'ha delusa più del babbeo in mutande (e calzini) che non la farà certo girare; quindi, che perlomeno la porti al mare... Si tratta di un'elaborazione un po' cinica ma adulta della depressione, che chiede comunque all'amante il retrogusto del sogno ("fammi sognare, portami al mare"), consapevole che di più non avrà. L'errore comune di chi ascolta questo brano può essere quello di interpretare il tutto come una resa, uno sprofondarsi nel ruolo di zerbino in cocco che Ruggeri immagina per la donna-Mannoia. Del resto, l'intricato ritornello sul cambiamento messo giù dai due rocker emiliani per Patty è oscuro come il Lambrusco. Quindi, per contribuire a migliorare le aspettative di chi si sente vicino/a al baratro degli "anta", suggeriamo La donna d'inverno, di un metaforico ma baldanzoso Paolo Conte. "Perché d'inverno è meglio / la donna è tutta più segreta e sola. (...) E mi domando in fondo se mentre lei splende sul sofà d'inverno, d'inverno non sia anche più intelligente".

 

DA UNA LACRIMA SUL VISO...

COME GUARIRE I MALI DEL CUORE ATTRAVERSO L'ASCOLTO OMEOPATICO

DELLE 50 CANZONI PIU' DEPRIMENTI DEL POP ITALIANO

Paola Maraone / Paolo Madeddu - KOWALSKI EDITORE (2006)

 

 

PATTY PRAVO E LA LIBERTA' SESSUALE... Dichiara Patty Pravo a "Oggi" (del 27.9.1976): "Sono incappata in una specie di mafia: ti etichettano e basta. Quello è il tuo personaggio, nudo e crudo, senza sfumature, privo di contorni... Prendiamo ad esempio la mia libertà sessuale, che poteva anche dire qualcosa, avere un senso, se interpretata in qualche modo. Niente. E' diventata semplicemente quel che faceva comodo a un certo tipo di giornali. Io, insomma, presentata come quella che, prima di salire in palcoscenico, ha bisogno di bere un bicchiere di whisky e di fare l'amore. Se io veramente fossi stata solo questo, ora non ci sarebbero giovani che hanno le chiavi di casa, la loro individualità, eccetera eccetera. Invece ringrazio il cielo, sono stata anch'io a contribuire"... (citato in: "Scena", n. 3/4, 1978).

Patty incappa disordinatamente in un problema di quelli tosti: la canzone determina in qualche modo la realtà? Si sa che nel campo dello spettacolo si sostengono allo stesso tempo le due teorie.

Prima teoria: la canzone (o il film) non hanno nulla a che vedere con i fatti reali, non li provocano, caso mai li rispecchiano. Questa teoria viene tirata fuori in caso di processi penali e civili: è l'autodifesa con cui lo spettacolo si proietta nel regno delle idee (iperuranio).

Seconda teoria: il divo della canzone esercita uno strano "dominio" profetico sul pubblico, ne determina i comportamenti attraverso la diffusione di una moda, di un comportamento, di uno stile di vita. Questa teoria viene usata laddove non sia pericolosa: serve a sottolineare la Potenza del Personaggio, ma è utilizzabile solo se accompagnata da un Nobile Scopo Sociale. Ad  esempio: Renato Zero è il Re dei suoi sorcini, ma questo suo "dominio" non avvia certo i suoi sudditi al marciapiede, ma vuole invece strapparli alla spirale del vizio e della droga. Così Patty Pravo vuole fregiarsi del diploma di assistente sociale che ha aperto la porta di casa ai giovani limitandosi a garantire loro la "libera uscita". Circa quello che fanno dopo, lei non c'entra. Tra l'estraneità e il dominio c'è una terza via, ed è il "Con-dominio". Parrebbe la più corrispondente alle cose in una società dove il confine tra Realtà e Spettacolo s'è fatto quanto mai esile: il Dominio della Rappresentazione ha come protagonisti i Soggetti Sociali e non solo i poveri feticci dello Spettacolo. E la libertà sessuale in Patty Pravo proprio così appare: nelle forme di un povero feticcio.

 

LA BAMBOLA Tu mi fai girar / tu mi fai girar / come fossi una bambola / poi mi butti giù / poi mi butti giù / come fossi una bambola / Non ti accorgi quando piango / quando sono triste e stanca / tu pensi solo per te.

 

Bambola: fantoccio di vario materiale vestito da bambina o da donna (1618, M. Buonarroti il Giovane); giovane donna con viso bello ma inespressivo (1857-58, I. Nievo); giovane donna vistosamente bella. Il termine deriva da Bamba, voce infantile toscana per indicare il "fantoccio di stracci". Il più recente senso di "ragazza" è d'imitazione americana, doll ("Dizionario etimologico italiano", di Cortellazzo e Zolli, Zanichelli). Nei gerghi della malavita di Firenze e Milano, riferisce il Ferrero, la bambola è "la chiave ottenuta mediante duplicazione previo calco: fatta in serie, come le bambole". Entrambe le citazioni appaiono in: "Prima venne la bambola" (Phototeca, n. 4, art. di Santi A. Urso), dove viene riportato anche il seguente allarmante brano di Carlo Castellaneta: "Sia che si presentino come feticci, simboli sessuali, oppure come fratellini mancanti, le bambole rimuovono sempre qualcosa di inquieto al fondo della coscienza. La carica erotica che ogni bambola possiede, in quanto immagine della femmina o del maschio, si placa solo violentandola, disarticolandone le membra o girandone la faccia verso il dorso, impiccandola a un albero. Qualunque sia la sorte di una bambola, qualunque ferita o umiliazione noi le infliggiamo, essa non smarrisce mai il suo riferimento all'umano, la sua dolente mimesi, il suo grido disperato di vivere".

Sono andato fuori tema? Non direi. Prendiamo un album recente di Patty Pravo ("Munich Album", del 1979). C'è tutto. Il tema: "Ho fatto un sacco di esperienze amorose, i benpensanti si potrebbero stupire, le malelingue gioire. Non sopporto relazioni durature. Io con tutti mi sento legata, ovviamente non prometto niente"; sul fondo della confessione, musica incasinata, eterno sfondo-Piper aggiornato ai nostri giorni. Si passa all'esemplificazione di alcune di queste relazioni: "Fa' che io sia cerino fra le dita tue - dice in una - Dai parcheggia sul mio corpo wow, senza farmi tanto sanguinare hey, tu sei il male bello da masticare hey hey". Roberto D'Agostino recensisce e commenta: "voluttuosa come un rasoio Braun e un frullatore Moulinex" (cfr. "Europeo", 22.11.1979). Trattasi di un erotismo delle Cose, del Senso di sé come Oggetto. Erotismo che troviamo anche in molti pezzi di Renato Zero, ma che quest'ultimo ha (storicamente) mutuato proprio da Patty Pravo. Le persone si fanno cose e i rapporti scambievoli sono rapporti di Cose: "bere un bicchiere di whisky e fare all'amore" diventano due rapporti di consumo che si equivalgono. Il dato quantitativo dei rapporti ("ho fatto un sacco di esperienze") diventa determinante quanto e più di quello qualitativo. L'uso straziato del corpo corrisponde a un'età dove il consumo non è più idolatria del Valore delle Cose, ma bisogno di desacralizzarle distruggendole, amandole e disprezzandole insieme quasi con la coscienza che questo spreco-distruzione è un sacrificio di avanzi, di residui, di relitti di consumo. C'è in questa azione sacrificale una tristezza povera che è quella del rasoio Braun e del frullatore Moulinex, e c'è insieme una disperata ambizione di umanizzare le cose facendo loro esprimere Violenza e Provocazione: "qualunque sia la sorte di una bambola, qualunque ferita o umiliazione noi le infliggiamo, essa non smarrisce mai il suo riferimento all'umano, la sua dolente mimesi, il suo grido disperato di vivere". Anzi, direi che il riferimento all'umano è tanto più forte, dolente e disperato quanto più la cosa è umiliata. Al di là degli ammiccamenti all'arsenale di povere spille da balia del primo movimento punk, questo tema del Corpo Oggetto, della sua Disarticolazione e delle Ferite inflittegli per farlo vivere, è "pattypravesco" da sempre. Anche le canzoni non nate apposta per descrivere questa situazione, diventano invece in bocca alla Patty esplicite in questo senso, come ad esempio "La spada nel cuore". Quando la canta, al Festival di Sanremo del 1970 in coppia con Little Tony, lei è tutta concentrata su sto fatto della "Spada", mentre lui si perde per "Cuore" e "Amore" nel suo consueto stile rock "de borgata". Di nuovo, ne "La spada nel cuore" riciccia fuori la bambola trafitta, magari con spillone voodoo. La disarticolazione del corpo fa mostra di sé nella copertina dell' album "Biafra", dove la Patty-strega si atteggia a donna ragno che fa uscire gambe e braccia dal buio, quasi spezzate, in una sorta di pantomima "schizo". Cos'è la libertà sessuale per questo corpo? E' una sequenza di azioni smozzicate come in:

 

PENSIERO STUPENDO E tu / e noi / e lei / fra noi / vorrei / vorrei / e lei adesso sa che vorrei / le mani / le sue / e poi un'altra volta noi due (...)

 

La scena: serata romana. Patty alza gli occhi dai bucatini: "C'ho avuto un'idea...". Lui: "Pazza?". Patty: "No, volevo dì un pensiero!". Lui: "E com'è sto pensiero?". Patty lo dice. L'altra: "Stupeeeendo!". Serata a tre. Strafatti: e lei e noi e te fra noi e lui e lei e io "vorrei". Strano mischio dunque tra l'erotismo degli androidi-rock per i quali sesso = funzionamento e sequenza meccanica di azioni, e l'erotismo tipico da serata stanca romana, che parafrasando Petrolini si potrebbe così tradurre: "Tanto pe' scopà, perché me sento 'n friccico ner core...". Stiamo chiaramente in Italia e non può esser che così. Però il tema resta comunque importante: la bambola, feticcio della libertà sessuale, una libertà per feticci ovviamente, cioè "reificata", cosa "da fare" e trasmettere da Cosa a Cosa, vissuta come sequenza - scambio - intermittenza - ripetizione, pezzi di corpo che vanno e vengono quasi equivalenti. Un modo che tutti ben conosciamo perché siamo abituati a viverlo spesso, ognuno a suo modo: da soli, in due, in tre, con lui, con lei, con tutti (no, tu no), coi cani, coi caloriferi, col telefono, con l'inserzione, con la televisione. Catena di montaggio del brivido erotico: "si potrebbe trattare di bisogno d'amore, meglio non dire".

 

LA STRAGE DELLE INNOCENTI - GIANFRANCO MANFREDI - LATO SIDE EDITORI (1982)

 

 

PAGINA PUBBLICATA IL 2 DICEMBRE 2014

ULTIMO AGGIORNAMENTO 19.9.2020