Nel 1966
incontrai Patty Pravo. Ricordo ancora quando la
vidi: stava scendendo le scale dal primo piano della
palazzina, una delle due della RCA, dove si trovavano
gli studi. Mi bastò vedere come le scendeva, per capire
che era diversa da tutte. Bellissima, più rotonda di
ora, si mostrava molto sicura di sé. Mi sono sempre
chiesta se la sua sicurezza fosse sincera o non fosse
invece una forte difesa a una recondita timidezza. Era
tenera e sfrontata, allegra e umorale, un po' bugiarda
per necessità, attenta a tutto quello che le nasceva
intorno, la battuta pronta d'ironia sferzante. Lei ed io ci
prendemmo subito. Allora ero più vecchia di lei, che
aveva più o meno 17 anni, ma ero pur sempre una ragazza.
E quello era un mondo di uomini... La sua prima canzone fu
Ragazzo triste. Alla RCA la chiamavamo ancora Nicoletta,
e su di lei si facevano delle gran riunioni, fino a
quando non arrivò, come sempre, il fatidico momento di
mandarla in televisione. Mi ricordo che quell'anno, come
se non bastasse, ogni casa discografica, per conto
proprio o interagendo con altre, doveva prepararsi per
la trasmissione televisiva Scala reale, una versione di
Canzonissima a squadre. Era il 1966. Si dovevano
affrontare due gruppi composti rispettivamente da due
cantanti big, un artista straniero e un giovane. Mi
ricordo che noi dell'ARC, dovemmo scegliere tra una
decina di nostri giovani e tirare fuori un nome, ma
sebbene ne avessimo molti, io andai alla riunione senza
un dubbio. Mi ricordo che diedi battaglia a un simpatico
produttore esterno che proponeva la cantante Evì,
graziosa, bella vocina... ma niente a che fare con
Nicoletta. Mi battei non poco, perché c'erano anche
questioni, come posso dire, di precedenza. Ribadii che
non avevo nessun dubbio, ma proprio nessuno. Ennio Melis
diede l'ok definitivo e Patty Pravo andò a Scala reale.
Patty fu da subito
diversa, danzava mentre cantava, con delle movenze
leggermente provocatorie. La sua canzone, Ragazzo
triste, fece presa. Mi ricordo anche che
"Nicoletta degli inizi" disse di voler incidere pezzi
blues in inglese. La cosa non fu naturalmente presa in
considerazione, visto che il parco cantanti americano
del genere non aveva rivali. Nacquero invece due hit di
grande successo, ma non certo blues. Erano Qui e là -
che fu un po' la canzone simbolo di un nuovo modo libero
di vivere cui i giovani di allora tendevano fortemente e
per i quali lei diventò un'icona - e la bellissima Se
perdo te... La Strambelli assorbiva molto
tempo a tutti. Che fosse un'artista destinata a una
lunga carriera lo si capiva fin troppo bene. Era sempre molto puntuale e
fin d'allora professionale. Ogni tanto in televisione
qualcuno diceva che era capricciosa, ma le sue
osservazioni (spesso pungenti) erano dettate da esigenze
artistiche reali. E quando saliva in palcoscenico, pur
così giovane, non aveva rivali. Ho spesso pensato che se
lei fosse nata in America avrebbe preceduto Madonna per
le sue capacità sceniche. E poi era più bella! Io
smussavo gli angoli con tutti, ma spesso ero d'accordo
con lei. Aveva anche un istinto geniale per il suo
abbigliamento, non solo televisivo. Spesso uscivamo
insieme, per decidere i vestiti da indossare in varie
occasioni (servizi fotografici, show televisivi, serate,
ecc.), e già prima di uscire si cambiava magari due o
tre volte, fino a che non era soddisfatta. Il risultato
era sempre giusto.
PENSO CHE UN "MONDO" COSI' NON RITORNI
MAI PIU' - Mimma Gaspari
BALDINI CASTOLDI DALAI
EDITORE (2009)
Nicoletta Strambelli, alias Patty Pravo, è
stata un personaggio straordinario, geniale, una voce
molto interessante, e una fantasia eccezionale nei
costumi che s'inventava, stile David Bowie. Una
ragazza di grande bellezza, che ha segnato gli anni
Settanta nel nostro paese. Il mito del Piper. Una
volta abbiamo anche cantato insieme (Italy for Italy,
1985). Decidemmo di fare Poesia di
Cocciante. Nicoletta: "Io suono il
pianoforte", io: "Va bene, proviamo", lei: "Figurati, a
cosa serve?", io: "No, proviamo". E così provammo. La
mattina dopo arriva la Bertè come una furia, si
proietta su Nicoletta e dice: "Ma che fai, canti
con quella vecchia della Vanoni?". Loredana
è sempre un po' eccessiva. La sera inizia la ripresa
televisiva in diretta. Nicoletta si mette al
piano e io in piedi accanto a lei. Quando cantavo io, il
regista riprendeva Nicoletta, quando cantava
Nicoletta riprendeva me. Un casino. In più c'era
un'ombra verde che confondeva tutto. No, non è stata una
grande performance. C'è stato un periodo in cui mi
chiamava di notte, era l'epoca in cui non dormivo mai.
"Pronto Ornella, mi dovresti dare il numero di
telefono di Versace". "Ma sono le tre" e metto
giù. Risuona il telefono: "Non pensare di cavartela
così"... Nicoletta è matta ma mi è simpatica.
UNA
BELLISSIMA RAGAZZA - Ornella Vanoni - MONDADORI (2011)
Nel 1990
annunciarono il mio nome tra i partecipanti al Festival
di Sanremo. Vengono da me gli organizzatori e mi fanno
ascoltare una canzone di Danilo Amerio dal titolo
Donna
con te. "Vorremmo che la cantassi tu" mi dicono. Io
la ascolto e non nascondo qualche perplessità. Non mi
convince. Ma loro insistono. "Guarda, ci teniamo
tantissimo e poi, se non ti piace qualcosa, puoi
cambiarla". Alla fine, accetto. "Va bene, però mi
assicurate che posso cambiare anche il testo". "Quello
che vuoi". Chiamo un mio amico attore e cantante, sardo
di origine, ma romano di adozione, Marcello Murru,
e gli
chiedo di cambiare le parole, di raccontare una storia
completamente diversa e, soprattutto, di togliere due
versi orribili che dicevano: "Le tue mani su di me / stanno già forzando la mia serratura", che avevano un
significato ben preciso nel contesto della frase. Lui
scrive un testo bellissimo: racconta l'incontro fugace
tra due ragazzi, che si conclude, come nella poesia di
Garcia Lorca, alle cinque della sera. Cambiamo anche il
titolo: non più Donna con te, ma Fandango. Sento gli
organizzatori: "Tutto a posto, vero? Perché io sto
lavorando alla canzone e sto cambiando tutto".
"Tranquilla, Patty. Fai quello che vuoi". Prepariamo il
45 giri. Luciano Tallarini riprende una foto mia, un bel
primo piano, dal servizio che avevo fatto per Oltre l'Eden... e stampa addirittura la copertina. A pochi
giorni dal Festival, mi chiamano gli organizzatori:
"Patty, c'è un problema". "Che problema?" dico io- "La
canzone non si può cambiare". "Benissimo, allora non
vado a Sanremo". Il 20 febbraio convoco una conferenza
stampa per annunciare il mio ritiro. E dico agli
organizzatori: "Ragazzi, io mantengo sempre la parola
data, ma voi dovevate mantenere la vostra. Avevo detto
che avrei partecipato al Festival con Donna con te e lo
ribadisco, ma voi mi avevate assicurato che si poteva
cambiare il testo di questa canzonaccia. Ora mi dite che
non si può fare e allora fatela cantare a qualcun altro,
perché io, questa roba qui, non la canto nemmeno morta".
La dettero ad Anna Oxa che, in ventiquattr'ore, cambiò
tutto come pareva a lei, parole comprese. Le permisero
di fare ciò che a me era stato negato. La Oxa, in
quell'occasione, fu bravissima. Riuscì a imparare il
testo a memoria in poche ore, e cantò bene e in un modo
che si capivano addirittura le parole...
BLA, BLA, BLA... - PATTY
PRAVO con Massimo Cotto - MONDADORI
(2007)
Patty Pravo fa pagar cara alla
discografia la sua immagine di Diva della Provocazione (Pravo=Provos,
l'allusione era alla radice della scelta del "nome
d'arte" di Nicoletta Strambelli). I suoi LP
costano alla casa discografica 30 milioni e passa, in
un'epoca in cui quelli degli altri ne costano 4-5.
Patty esige che si registri solo nelle ore notturne
(quando la sala di registrazione costa il doppio e
scattano molti "superi" extra di straordinari dei
tecnici e del personale). Si narra che durante alcune
sedute di registrazione Patty interrompa per due
ore ricevendo in sala di registrazione il suo maestro di
yoga per i relativi esercizi. Un comportamento insomma
da bizzosa popstar, che scivola spesso nel burinismo
quando coinvolge oltre alla casa discografica anche i
musicisti, i tecnici, insomma tutti quelli che le
gravitano attorno non per "rendere omaggio" ma per
lavoro. Ma è anche vero che tra tutti i personaggi di
Dive che abbiamo visto, Patty Pravo è stata
quella che ha dovuto subire di più l'etichettamento, o
meglio che ha dovuto prendere su di sé compiti molto
grossi: essere oggetto di identificazione dei "giovani",
degli amanti delle "Signore della canzone", dei "gay",
dei "beat" e dei "rockers", o di semplici canzonettari
in un'epoca per di più dove la canzone non faceva ancora
"cultura" e veniva guardata un po' dall'alto. Oggi si
sociologizza, si tirano in ballo Marx e Freud,
si scompongono con banale dandismo intellettuale da
poveri professorini anche i Kobra della
Rettore. Figuriamoci che sarebbe successo con la
Patty Pravo, se i tempi fossero stati
"semiologicamente maturi". Ma forse il suo personaggio
di prima vera Diva-anti-diva, è stato messo un po' ai
margini dell'attenzione critica, proprio perché
imbarazzante. Come imbarazzanti furono le foto
vigliacche che il signor Paolo Mosca fece
pubblicare sulla copertina di un Novella 2000: si
vedeva una Patty Pravo smagrita, tesa,
apparentemente invecchiata, e la didascalia, tutta
maiuscola, recitava: "COME SI E' RIDOTTA". Ma la cosa
non pare aver granché nuociuto a Patty Pravo, ha
solo mostrato il volto del "giornalismo avvoltoio" per
famiglie benpensanti. Patty la vediamo rispuntare
ogni tanto nei punti più diversi: se è emaciata su
Novella 2000, è ancora bambolina su Sorrisi e
Canzoni e subito dopo vampira-sexy su Playboy.
Le sue canzoni si sentono meno, non è più nemmeno chiaro
dove abiti (se a Roma o in America come dicono alcuni),
se se ne stia a farsi i fatti suoi o mediti nuove
vendette, se incide per Tizio (RCA) o per Caio (Ricordi)
o solo per sé. Il periodo vede emergere nuove presenze
di anti-dive che non fanno un mito neanche
dell'antidivismo, fanno l'occhietto alle clownerie (come
la Rettore) o frequentano le palestre per
imparare a tirar cazzotti (come la Nannini). Pare
di rigore anche un certo cialtronismo, che Patty
anche nei suoi momenti più sgraziatamente punk ha sempre
"tenuto a distanza". Questo è quanto, però è già
qualcosa poter dire che anche la canzonetta rock ha
avuto la sua Marlene Dietrich.
LA
STRAGE DELLE INNOCENTI - GIANFRANCO MANFREDI - LATO SIDE
EDITORI
(1982)
Non ho un carattere facile. Do per
scontato che tutti capiscano. Ma non è sempre così.
Rompo le palle. Prima o poi qualcuno mi chiama in
camerino e mi dice: "Strambelli, ci hai rotto".
Ma solo quando lavoro, perché sono molto rigorosa, con
me stessa prima ancora che con gli altri. In genere
comando io. Quasi sempre. Ho dovuto cedere solo per i
Mondiali di calcio. I musicisti mi hanno costretta
addirittura ad interrompere le prove. Volevo ucciderli.
Però non hanno voluto sentire ragioni. Per fortuna
l'Italia è stata Campione del Mondo. Nella vita, invece,
sono rilassatissima e andare d'accordo con me è la cosa
più semplice del mondo. Certo, sono un essere un po'
asociale. Però, quando vedo le persone è perché mi va.
Rido spesso. Di gusto. Inutile fingere di essere ciò che
non sono. Non cambierò mai. Smusserò gli angoli,
limiterò qualcosa, ma è tutto quello che posso
concedere. Credo di essere già migliorata molto come
persona.
BLA, BLA, BLA... - PATTY
PRAVO con Massimo Cotto - MONDADORI
(2007)
LA BAMBOLA, IL BAMBINO E L'UOMO
MASCHERATO - Un bambino, di fronte a un'edicola di
giornali. E' il 1970. Il bambino è un bambino strano: compra
tante riviste, tante altre ne guarda. Si ciba di pagine
illustrate e di figurine. Gioca a pallone: come gli altri, si
sbuccia le ginocchia nella piazza, il nonno ci mette sopra il
brandy, quando la ferita sanguina più del solito. Caccia le
formiche, in una caccia senza fine. Ma soprattutto, legge. E
si chiede quando è che il giornalaio scarterà il pacco con i
nuovi Topolino, o il nuovo Corriere dei piccoli. A volte,
sopporta anche L'Uomo Mascherato, e Mandrake, anche se sente
che sono cose di un'altra epoca.
E' di un altro pianeta anche il
volto che vede, quel mattino, nel giornale illustrato. Una
ragazza bionda, un volto che sembra una Madonna di Filippo
Lippi, o la Venere di Botticelli. Ma questo ancora, quel
bambino non lo sapeva. Sette anni, non di più. Il nome della
ragazza: Nicoletta Strambelli. Nata a Venezia nel
1948, dice
la didascalia del giornale. Ventidue anni. Era grande, più o
meno vecchia, pensa il bambino. Ventidue anni, mamma mia
quanti.
E magari, invece, in quei
giorni Nicoletta, alias Patty Pravo, era una ragazza soltanto,
con tutta la fragilità di ventidue anni presi d'assalto da
fotografi e giornalisti. Un'adolescenza passata da quasi
adulta, ballando con le gambe ad angolo del pop, gli stivaloni
bianchi, la minigonna davvero mini, i capelli lunghi biondi
sciolti, la testa che dondola, che si abbandona, in un locale
allora di moda, più ancora che di moda: il Piper, un mito. E
la voce che si sparge, quella ragazza di quindici, sedici,
diciassette anni che balla e canta, sicura di sé. Non c'era la
televisione onnipresente, non c'era Non è la Rai, ma la voce
si sparge lo stesso. La popolarità arriva, di quella un po'
malandrina, che ti marchia. Un'ascesa irresistibile, in un
mondo - quello della canzone degli anni '60 - che era un
ribollente calderone, miti che nascevano ogni giorno,
industria e gioco, ma sempre con un enorme senso di futuro,
c'erano canzoni oggi, ce ne sarebbero state domani. Un mondo
pop, colorato e giovane, dove tutti i divi hanno meno di
trent'anni, tutti cantano e fanno cantare la gente. Caterina
Caselli, Little Tony, Gianni Morandi, Nada,
I Giganti,
L'Equipe 84. E Patty Pravo.
E' il 1968: il bambino ha
cinque anni. Un'operazione alle tonsille. Entra in ospedale,
ma è poco più di un gioco. Invece ci sono tutti, i genitori e
la nonna, che gli chiede quale regalo vuole. Il bambino lo sa,
quale regalo vuole: quattro dischi. I primi quattro che
ascolterà. Uno è Azzurro di Celentano, lo fa impazzire. Il
secondo è Vengo anch'io, no tu no di Enzo Jannacci. Il terzo è
un disco che ha dimenticato. Il quarto è La bambola di
Patty
Pravo. La copertina è colorata, tutta pop. Diversa dalle
scarpe da mafioso di Celentano, diversa dal verde pisello
della copertina di Jannacci. Dentro, una voce da night club.
Una voce sensuale. E soprattutto moderna. Una voce che sembra
salire e scendere, liquida e colorata, come certi orologi ad
acqua, con tutte le colonnine di vetro dove il liquido corre,
a segnare i secondi e i minuti.
Quel disco, il bambino lo
conserva ancora. Non è più un bambino, naturalmente. E Patty
Pravo l'ha vista ancora. Ha seguito i suoi infiniti ritorni,
sempre da regina, da fuoriclasse, mai da concorrente. Sempre
distante, con lo sguardo di chi ha visto cose che noi umani
non potremmo immaginarci, navi da combattimento in fiamme al
largo dei bastioni di Orione, e i raggi B balenare nel buio.
Non sappiamo che cosa è accaduto nel frattempo in lei, quanti
pensieri stupendi e quanti mondi sconosciuti abbia visitato,
quante pazze idee si siano fatte strada nel suo sguardo
remoto, distante, distratto, come se noi umani fossimo
quaggiù, e lei altrove, a nutrirsi di altre visioni, a
respirare altra aria. Icona fantasmatica, quasi irreale,
fantascientifica, sfinge egizia dagli occhi blu, o forse
grigi, geisha e imperatrice, sapiente e regale.
La sua voce di giunco, per
la verità, il bambino l'aveva sentita affiorare altre due
volte. Anni '70, primo anno di ginnasio, altri sogni. Casa di
un'amica, una compagna di scuola a letto malata, con
l'influenza: quella del primo banco, la più carina, la più
cretina: sì proprio quella. Che poi, giochi del destino,
avrebbe scambiato i primi baci con Piero Pelù, futuro rocker
maledetto, o quasi, sulle panchine della scuola. Ginnasio,
dunque. Anni '70. Il mangiadischi con i dischi delle tonsille
non c'era più. C'erano le radio, le radio libere. E dalla
radio, la voce di cristallo di Murano. "E tu, e noi, e lei,
tra noi...". Era il pensiero stupendo, ambiguo, perverso di
Patty Pravo. Parole del ruvido e poetico Ivano Fossati, ma
questo il bambino, quattordicenne, non poteva saperlo. E
sempre in quegli anni, la "pazza idea" : ...di fare l'amore
con lui, pensando di stare ancora insieme a te... Un sesso
tutto di testa, virtuale, si direbbe oggi. Tradimenti,
trasalimenti, turbamenti interiori. Sessualità inquieta. Una
donna che non è mai lì dove te l'aspetti. Avrebbe imparato a
conoscerle, nella vita, il bambino, donne così.
E poi gli anni '80 e '90.
Infiniti ritorni e infinite pause fra un ritorno e l'altro,
forse per combattere contro l'immagine di quella ragazzina
dagli stivali bianchi, che fatica ad andarsene. Forse anche
contro quel nome, oggi un po' demodé, nome anglicizzante e
cognome singolare, come Bobby Solo, o Jimmy Fontana:
Patty
Pravo. Patty che promette sensualità, curve, morbidezza. E
Pravo come una frustata, come un segreto, che sa di lontananza
e di Russie. O forse, tutto questo sapore lo ha soltanto per
quel bambino, quel bambino di allora.
PATTY PRAVO... COME UN
ANGELO DA COLLEZIONE a cura di Riccardo Benelli ed Emanuele
Bardazzi
Racconto di Giovanni Bogani
Tarab Edizioni Srl (2000)
E DIMMI CHE NON VUOI MORIRE
(Featuring Fiorella Mannoia - Quello che le
donne non dicono)
Allora, lui è sposato.
Lei è l'amante. Lui la fa girar, la fa girar, la fa
girar come fos... se... una... bam... bola (e per lei
non è niente di nuovo). Quindi la molla al suo destino.
Dopo qualche anno, come la maggior parte degli uomini,
torna sul luogo del delitto, ma lei non fa troppe
storie. Sì, è delusa e disillusa, emette una tipica
espressione pattipravesca di elegante tedio, ma
non si nega. Si offre con noncuranza, chiedendo: "Vuoi
far l'amore con me?" come se domandasse "Dov'è il
telecomando?". Ha solo due desideri: 1) essere portata
al mare - 2) sapere che lui non vuole morire.
Se non fosse per la
musica suadente, uno sarebbe legittimato ad aggrottare
la fronte nell'espressione intensamente dubbiosa che ha
reso noto il piccolo protagonista del telefilm Arnold.
"Che cavolo stai dicendo, Pravo?" Insomma, lui se
la sta scialando alla grande, con te, la moglie e forse
qualche escort; l'unica cosa che può turbarlo sono le
loro richieste finanziarie, ma tra i suoi desideri,
quello di morire non compare affatto... Oppure non hai
notato che un attimo dopo la domanda: "Vuoi far l'amore
con me" è rimasto in men che non si dica in mutande (e
calzini)? Naturalmente lo stato confusionale non è
imputabile alla Patty, anche se si sa che è una che non
si è negata niente, neh! Il fatto è che queste canzoni
su donne definitivamente deluse dagli uomini, in realtà
nascono quasi tutte da penne maschili (o al limite da
quella di Cristiano Malgioglio). La Vanoni,
Mina, Mia
Martini, Fiorella Mannoia, ci sono dovute passare
tutte... Anzi, torniamo pure alla Mannoia, il cui brano
più celebre, Quello che le donne non dicono (di
Enrico
Ruggeri), ha per sfondo una situazione assimilabile a
quella di E dimmi che non vuoi morire. A casa Mannoia
c'è un ultimo disperato anelito per i complimenti dei
playboy che non arrivano più. Per delle rose e nuove
cose nelle sere tempestose. A casa Pravo, c'è uno stanco
scetticismo: "Sono tutti quanti degli eroi quando
vogliono qualcosa", mormora con una smorfia la diafana
signora di mezza età, versandosi due dita di Chivas di
fianco a una foto appesa al muro che la ritrae ai tempi
in cui era la ragazza del Piper. E inaspettatamente,
mentre la rossa, muscolare Fiorella si propone come
quarantenne bambola da far girar ("cambia il vento ma
noi no, non saremo stanche, neanche quando ti diremo
ancora un altro sì"), la Bambola originale, la esile e
bionda Patty, manifesta il proposito opposto, con un "la
cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me"
propositivo anche se un po' confuso (tenete conto che
gli autori sono Gaetano Curreri e Vasco Rossi.
Il primo non di rado si ingarbuglia nello slancio, il
secondo probabilmente si è limitato a scompaginare
l'analisi logica di alcune strofe dopo aver tentato in
tutti i modi di imporre, come ritornello, la vocale
"Eeeeeeee!").
DIAGNOSI FEATURING
TERAPIA - E' molto probabile che chi si distrugge
per una delle due canzoni abbia un'alta opinione anche
dell'altra: entrambe mettono in scena lo sfiorire
femminile e la mestizia che lo accompagna. La
donna-Mannoia, nonostante il vitalismo vocale del
ritornello, continua a farsi trascinare dalla vita e da
chiunque possa citofonare alle 23,45 al suo appartamento
all'EUR per colorare le sue notti bianche. La
donna-Pravo è anche lei una ex topolona che ne ha
viste tante, ma non si aspetta più nulla, capisce che
bisogna cambiare la vita che l'ha delusa più del babbeo
in mutande (e calzini) che non la farà certo girare;
quindi, che perlomeno la porti al mare... Si tratta di
un'elaborazione un po' cinica ma adulta della
depressione, che chiede comunque all'amante il
retrogusto del sogno ("fammi sognare, portami al mare"),
consapevole che di più non avrà. L'errore comune di chi
ascolta questo brano può essere quello di interpretare
il tutto come una resa, uno sprofondarsi nel ruolo di
zerbino in cocco che Ruggeri immagina per la
donna-Mannoia. Del resto, l'intricato ritornello sul
cambiamento messo giù dai due rocker emiliani per
Patty è oscuro come il Lambrusco. Quindi, per
contribuire a migliorare le aspettative di chi si sente
vicino/a al baratro degli "anta", suggeriamo La donna
d'inverno, di un metaforico ma baldanzoso Paolo
Conte. "Perché d'inverno è meglio / la donna è tutta
più segreta e sola. (...) E mi domando in fondo se
mentre lei splende sul sofà d'inverno, d'inverno non sia
anche più intelligente".
DA UNA
LACRIMA SUL VISO...
COME GUARIRE I MALI DEL CUORE ATTRAVERSO
L'ASCOLTO OMEOPATICO
DELLE 50 CANZONI PIU' DEPRIMENTI DEL POP
ITALIANO
Paola Maraone / Paolo Madeddu
- KOWALSKI EDITORE (2006)
PATTY PRAVO
E LA LIBERTA' SESSUALE... Dichiara Patty Pravo
a "Oggi" (del 27.9.1976): "Sono incappata in una specie
di mafia: ti etichettano e basta. Quello è il tuo
personaggio, nudo e crudo, senza sfumature, privo di
contorni... Prendiamo ad esempio la mia libertà
sessuale, che poteva anche dire qualcosa, avere un
senso, se interpretata in qualche modo. Niente. E'
diventata semplicemente quel che faceva comodo a un
certo tipo di giornali. Io, insomma, presentata come
quella che, prima di salire in palcoscenico, ha bisogno
di bere un bicchiere di whisky e di fare l'amore. Se io
veramente fossi stata solo questo, ora non ci sarebbero
giovani che hanno le chiavi di casa, la loro
individualità, eccetera eccetera. Invece ringrazio il
cielo, sono stata anch'io a contribuire"... (citato in:
"Scena", n. 3/4, 1978).
Patty incappa disordinatamente in un problema di
quelli tosti: la canzone determina in qualche modo la
realtà? Si sa che nel campo dello spettacolo si
sostengono allo stesso tempo le due teorie.
Prima teoria: la canzone (o il film) non hanno nulla
a che vedere con i fatti reali, non li provocano, caso
mai li rispecchiano. Questa teoria viene tirata fuori in
caso di processi penali e civili: è l'autodifesa con cui
lo spettacolo si proietta nel regno delle idee
(iperuranio).
Seconda teoria: il divo della canzone esercita uno
strano "dominio" profetico sul pubblico, ne determina i
comportamenti attraverso la diffusione di una moda, di
un comportamento, di uno stile di vita. Questa teoria
viene usata laddove non sia pericolosa: serve a
sottolineare la Potenza del Personaggio, ma è
utilizzabile solo se accompagnata da un Nobile Scopo
Sociale. Ad esempio: Renato Zero è il Re dei
suoi sorcini, ma questo suo "dominio" non avvia certo i
suoi sudditi al marciapiede, ma vuole invece strapparli
alla spirale del vizio e della droga. Così Patty
Pravo vuole fregiarsi del diploma di assistente
sociale che ha aperto la porta di casa ai giovani
limitandosi a garantire loro la "libera uscita". Circa
quello che fanno dopo, lei non c'entra. Tra l'estraneità
e il dominio c'è una terza via, ed è il "Con-dominio".
Parrebbe la più corrispondente alle cose in una società
dove il confine tra Realtà e Spettacolo s'è fatto quanto
mai esile: il Dominio della Rappresentazione ha come
protagonisti i Soggetti Sociali e non solo i poveri
feticci dello Spettacolo. E la libertà sessuale in
Patty Pravo proprio così appare: nelle forme di un
povero feticcio.
LA BAMBOLA Tu mi fai girar / tu mi fai
girar / come fossi una bambola / poi mi butti giù / poi mi butti giù / come fossi una bambola / Non ti accorgi
quando piango / quando sono triste e stanca / tu pensi
solo per te.
Bambola: fantoccio di vario materiale vestito da
bambina o da donna (1618, M. Buonarroti il Giovane);
giovane donna con viso bello ma inespressivo (1857-58,
I. Nievo); giovane donna vistosamente bella. Il termine
deriva da Bamba, voce infantile toscana per indicare il
"fantoccio di stracci". Il più recente senso di
"ragazza" è d'imitazione americana, doll
("Dizionario etimologico italiano", di Cortellazzo e
Zolli, Zanichelli). Nei gerghi della malavita di Firenze
e Milano, riferisce il Ferrero, la bambola è "la chiave
ottenuta mediante duplicazione previo calco: fatta in
serie, come le bambole". Entrambe le citazioni appaiono
in: "Prima venne la bambola" (Phototeca, n. 4, art. di
Santi A. Urso), dove viene riportato anche il seguente
allarmante brano di Carlo Castellaneta: "Sia che si
presentino come feticci, simboli sessuali, oppure come
fratellini mancanti, le bambole rimuovono sempre
qualcosa di inquieto al fondo della coscienza. La carica
erotica che ogni bambola possiede, in quanto immagine
della femmina o del maschio, si placa solo
violentandola, disarticolandone le membra o girandone la
faccia verso il dorso, impiccandola a un albero.
Qualunque sia la sorte di una bambola, qualunque ferita
o umiliazione noi le infliggiamo, essa non smarrisce mai
il suo riferimento all'umano, la sua dolente mimesi, il
suo grido disperato di vivere".
Sono andato fuori
tema? Non direi. Prendiamo un album recente di
Patty Pravo ("Munich Album", del 1979). C'è tutto.
Il tema: "Ho fatto un sacco di esperienze amorose, i
benpensanti si potrebbero stupire, le malelingue gioire.
Non sopporto relazioni durature. Io con tutti mi sento
legata, ovviamente non prometto niente"; sul fondo della
confessione, musica incasinata, eterno sfondo-Piper
aggiornato ai nostri giorni. Si passa
all'esemplificazione di alcune di queste relazioni: "Fa'
che io sia cerino fra le dita tue - dice in una - Dai
parcheggia sul mio corpo wow, senza farmi tanto
sanguinare hey, tu sei il male bello da masticare hey
hey". Roberto D'Agostino recensisce e commenta:
"voluttuosa come un rasoio Braun e un frullatore
Moulinex" (cfr. "Europeo", 22.11.1979). Trattasi di un
erotismo delle Cose, del Senso di sé come Oggetto.
Erotismo che troviamo anche in molti pezzi di Renato
Zero, ma che quest'ultimo ha (storicamente) mutuato
proprio da Patty Pravo. Le persone si fanno cose e i
rapporti scambievoli sono rapporti di Cose: "bere un
bicchiere di whisky e fare all'amore" diventano due
rapporti di consumo che si equivalgono. Il dato
quantitativo dei rapporti ("ho fatto un sacco di
esperienze") diventa determinante quanto e più di quello
qualitativo. L'uso straziato del corpo corrisponde a
un'età dove il consumo non è più idolatria del Valore
delle Cose, ma bisogno di desacralizzarle
distruggendole, amandole e disprezzandole insieme quasi
con la coscienza che questo spreco-distruzione è un
sacrificio di avanzi, di residui, di relitti di consumo.
C'è in questa azione sacrificale una tristezza povera
che è quella del rasoio Braun e del frullatore Moulinex,
e c'è insieme una disperata ambizione di umanizzare le
cose facendo loro esprimere Violenza e Provocazione:
"qualunque sia la sorte di una bambola, qualunque ferita
o umiliazione noi le infliggiamo, essa non smarrisce mai
il suo riferimento all'umano, la sua dolente mimesi, il
suo grido disperato di vivere". Anzi, direi che il
riferimento all'umano è tanto più forte, dolente e
disperato quanto più la cosa è umiliata. Al di là degli
ammiccamenti all'arsenale di povere spille da balia del
primo movimento punk, questo tema del Corpo Oggetto,
della sua Disarticolazione e delle Ferite inflittegli
per farlo vivere, è "pattypravesco" da sempre. Anche le
canzoni non nate apposta per descrivere questa
situazione, diventano invece in bocca alla Patty
esplicite in questo senso, come ad esempio "La spada nel
cuore". Quando la canta, al Festival di Sanremo del 1970
in coppia con Little Tony, lei è tutta
concentrata su sto fatto della "Spada", mentre lui si
perde per "Cuore" e "Amore" nel suo consueto stile rock
"de borgata". Di nuovo, ne "La spada nel cuore" riciccia
fuori la bambola trafitta, magari con spillone voodoo.
La disarticolazione del corpo fa mostra di sé nella
copertina dell' album "Biafra", dove la Patty-strega si
atteggia a donna ragno che fa uscire gambe e braccia dal
buio, quasi spezzate, in una sorta di pantomima
"schizo". Cos'è la libertà sessuale per questo corpo? E'
una sequenza di azioni smozzicate come in:
PENSIERO STUPENDO E tu / e noi
/ e lei / fra noi / vorrei / vorrei / e lei adesso sa
che vorrei / le mani / le sue / e poi un'altra volta noi
due (...)
La scena: serata romana. Patty alza
gli occhi dai bucatini: "C'ho avuto un'idea...". Lui:
"Pazza?". Patty: "No, volevo dì un pensiero!". Lui: "E
com'è sto pensiero?". Patty lo dice. L'altra: "Stupeeeendo!".
Serata a tre. Strafatti: e lei e noi e te fra noi e lui
e lei e io "vorrei". Strano mischio dunque tra
l'erotismo degli androidi-rock per i quali sesso =
funzionamento e sequenza meccanica di azioni, e
l'erotismo tipico da serata stanca romana, che
parafrasando Petrolini si potrebbe così tradurre: "Tanto
pe' scopà, perché me sento 'n friccico ner core...".
Stiamo chiaramente in Italia e non può esser che così.
Però il tema resta comunque importante: la bambola,
feticcio della libertà sessuale, una libertà per feticci
ovviamente, cioè "reificata", cosa "da fare" e
trasmettere da Cosa a Cosa, vissuta come sequenza -
scambio - intermittenza - ripetizione, pezzi di corpo
che vanno e vengono quasi equivalenti. Un modo che tutti
ben conosciamo perché siamo abituati a viverlo spesso,
ognuno a suo modo: da soli, in due, in tre, con lui, con
lei, con tutti (no, tu no), coi cani, coi caloriferi,
col telefono, con l'inserzione, con la televisione.
Catena di montaggio del brivido erotico: "si potrebbe
trattare di bisogno d'amore, meglio non dire".
LA
STRAGE DELLE INNOCENTI - GIANFRANCO MANFREDI - LATO SIDE
EDITORI
(1982)
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