Esistono principalmente due scuole di pensiero
sull'opportunità di pubblicare o meno vecchio materiale audio
inedito proveniente dagli affollati quanto misteriosi archivi di artisti, autori,
produttori e case discografiche. Da una parte ci sono i
"puristi" che snobbano questo genere di operazioni, ritenendo i
recuperi quasi mai all'altezza delle scelte già operate in
precedenza sui brani da pubblicare. Dall'altra fanno capolino i
collezionisti che in genere apprezzano l'idea di veder
riemergere dall'oblio pezzi inediti, anche quando si tratta di
brani immortalati in corso d'opera o di semplici provini. I
prodotti, una volta pubblicati diventano parte integrante della discografia ufficiale e quindi
"non
possono mancare".
Non essendo un "purista" e nemmeno un collezionista serio,
maneggio con curiosità ciò che viene proposto volta per volta,
da qualsiasi parte provenga, assecondando l'istinto in primis e
affidandomi a quel poco di cultura musicale guadagnata sul campo
nel corso degli anni. Di questo progetto mi è piaciuta subito
l'idea del formato 33 giri. Ho apprezzato il titolo (secondo me
geniale!), l'immagine e l'elaborazione grafica della copertina.
Le perplessità iniziali erano semmai sui contenuti... Fiducioso,
dopo i commenti di un amico sulla bontà dell'operazione e
stimolato dal recente acquisto di un nuovo giradischi rosso
fiammante, ho deciso di comprare a scatola
chiusa, senza prima ascoltare (cosa assai rara per me!).
Nell'insieme questa singolare raccolta, che azzarda l'accostamento di quattro brani relativamente recenti
con altrettanti risalenti a
qualche decennio precedente, mi è piaciuta molto.
Peccato non ci
sia traccia di dati precisi sulle canzoni, tranne l'indicazione degli
autori. Mancano date, crediti e annotazioni che avrebbero
permesso di
collocare con precisione ogni singola incisione.
Tu che ne sai è il brano che apre il lato A, un bel
pezzo, struggente e malinconico, scritto da Maria Antonietta
Sisini insieme a Giuni. Quasi un "prodotto finito", e viene da
chiedersi perché non sia stato pubblicato prima, ma questo credo
sia attribuibile alle migliaia di variabili che fanno girare il
mondo della musica: promesse concrete, speranze e opportunità mancate che si
inseguono e si intrecciano fino a determinarne il corso...
A seguire Il ritorno del soldato, piccolo capolavoro e
unica canzone firmata a quattro mani da
Battiato/Sgalambro/Russo/Sisini. Non si tratta di un provino ma
di un brano compiuto. Un pezzo molto valido e originale che avrebbe
meritato, forse in altri contesti, una diffusione capillare.
Il terzo brano, Le tue parole, è un provino di Morirò
d'amore con un testo in parte diverso rispetto alla versione
definitiva
presentata al Festival di Sanremo del 2003. La resa audio non è delle migliori, alla fin fine
si tratta di materiale grezzo, ma l'impatto con la voce di Giuni
è comunque straordinario ed emozionante.
Chiude il lato A dell'album L'animale (con variazioni nel
testo), canzone già famosa nella versione di Franco Battiato.
Decisamente deludente l'interpretazione (pur essendo soltanto un
provino), lontana anni luce dalla forza e dalle magie
della lettura originale dell'autore. Non mi è parso un brano nelle corde di Giuni.
Peccato!
La seconda parte dell'album mi ha letteralmente spiazzato
(positivamente!). Non essendoci indicazioni specifiche si può
solo presumere che i quattro i pezzi del lato B siano
stati incisi nella seconda metà degli anni Sessanta (sul sito
ufficiale si parla di una Giuni ancora adolescente e non è
difficile fare due calcoli); la musica, gli arrangiamenti e la
stesura dei testi rimandano proprio a quel periodo.
Nell'anima, primo brano della seconda facciata,
è di Brunello Tavernese che iniziò
ufficialmente la sua carriera d'autore nel 1973, ma la costruzione musicale
del pezzo lo farebbe istintivamente collocare a qualche anno prima. Ma sono solo
supposizioni... E' comunque un brano semplice e dirompente, immediato, capace di mettere in risalto
le eccezionali doti canore di Giuni.
Segue la cover di Many River To Cross, brano dagli
accenti gospel, di Jimmy Cliff (1969) che nella versione
italiana diventa Mi è rimasto nel cuore: un flashback
avvincente, molto
gradito.
Paolo
Conte e Vito Pallavicini firmano Uomo piangi e Un milione un miliardo,
due canzoni che sarebbero potute diventare dei potenziali singoli di
Giusy Romeo... Sono due brani molto beat, nessuno si sarebbe
stupito se ai tempi fossero stati eseguiti al Piper da Caterina
Caselli o da Patty Pravo.
Tutti e 4 i pezzi della seconda facciata dell'album sono avvolti
da quel sound pop, fresco ed immediato che proprio nei Sessanta
inondò letteralmente anche i pentagrammi italici. Un sound che in
realtà viaggiava alla grande, restando però in equilibrio sulla falsariga delle nuove sonorità provenienti dall'Inghilterra e
dall'America, a loro volta ispirate dal rock, dal blues, dal
soul e dalla musica folk.
La voce giovane e cristallina di Giuni, sempre in primo piano,
l'orecchiabilità dei brani, gli arrangiamenti e l'eco delle note
dell'organo Hammond, rimettono in ciclo piccoli amarcord di una delle
più fertili stagioni musicali del Novecento.