Addio a Nina Simone, voce dell'orgoglio nero

 

 

22 APRILE 2003 - CORRIERE DELLA SERA - Aveva da poco festeggiato i settant' anni, Eunice Kathleen Waymon, più nota nel mondo del jazz come Nina Simone, la tigre, la pasionaria, la rivoluzionaria, quando ieri se n' è andata vittima di una lunga malattia, ma anche di quella sua vita sregolata che l' aveva spesso costretta a pause e cure per uscire dall' alcolismo. Era nata a Tryon, nella Carolina del Nord, in una famiglia dove la musica era di casa. Il padre suonava un po' tutti gli strumenti, la madre cantava in un coro gospel, lei messa al pianoforte a soli quattro anni. Una bambina prodigio al punto che l' autorità cittadina si era mobilitata per aiutarla a studiare, dapprima ad Asheville, poi alla gloriosa Juilliard School di New York. Sembrava destinata ad una carriera concertistica, grande cultura classica, ottima tecnica, ma il colore della sua pelle era stato un ostacolo insormontabile. Così si era trovata a vivere dando lezioni di pianoforte e di canto, esibendosi in qualche jazz club come pianista. Forse, proprio per la speranza di riuscire un giorno o l' altro a proporsi come interprete del mondo classico, aveva assunto lo pseudonimo di Nina Simone. E quel nome non l' aveva più lasciata. Aveva una voce da contralto di ampia tessitura, con colori scuri che ben si addicevano al jazz, al blues, al folk americano e fin dai primi dischi, incisi nel 1957, aveva avuto successo presso un pubblico colto. Il jazz degli anni Cinquanta-Sessanta aveva visto la nascita del be bop, del cool e il loro declino, sostituiti dalla spericolata avventura del free, ma Nina Simone sembrava insensibile alle mode come alle rivoluzioni culturali, quasi che il suo stile fosse nato direttamente con lei e non potesse, o non volesse, mutarlo per assecondare le tendenze del momento. Era una virtuosa del pianoforte Nina, qualche volta abusava anche dei suoi mezzi, ma la sua voce aveva una straordinaria potenza espressiva. Aveva cominciato a farsi notare con il suo primo disco «I love you Porgy» dedicato alle musiche di Gershwin, poi aveva preso a spaziare anche in altri generi, aveva scoperto Dylan, Kurt Weill, i blues, ma non aveva dimenticato Chopin e Bach. Per rintracciare le sue origini musicali aveva anche studiato la musica africana e il suo modo di suonare il pianoforte era diventato più percussivo, più incisivo. Ebbe il coraggio di incidere «Strange fruit», la prima autentica canzone di protesta razziale che Billie Holiday aveva registrato nel 1939 e che sembrava appartenere soltanto a lei, per la carica espressiva e drammatica che le aveva imposto (con Nina Simone sono stati solo Josh White, Sting, Tori Amos, Cassandra Wilson e Dee Dee Bridgewater ad inciderla). Da quel momento Nina Simone aveva cominciato ad imprimere alla sua musica una forte connotazione sociale e razziale e la sua «Black is the color of my true love' s hair» aveva fatto il giro del mondo. Negli anni Sessanta era già nota per la passionalità delle sue interpretazioni e per la sua attiva partecipazioni ai movimenti di emancipazione del popolo di colore e proprio per sentirsi unita a quanto avveniva attorno a lei (erano gli anni di Martin Luther King, di Malcom X, delle Pantere nere) aveva scritto «Old Jim crow» inimicandosi la buona borghesia americana e diventando «la tigre», «la pasionaria». Ed era tornata anche ai gospel, come linguaggio tipico del suo popolo. Nina aveva deciso di prendere parte attiva nella società afroamericana che andava scoprendo la sua identità e, spesso, nei suoi concerti europei, parlava al pubblico della difficile situazione della sua gente. Era anche diventata amica dello scrittore Leroy Jones. Insieme avevano progettato una black opera che, però, non è mai andata in porto. La sua forte personalità era riuscita comunque ad imporsi anche negli Usa al punto che la città di New York l' aveva insignita della sua massima onorificenza. Quando aveva cominciato a fare concerti anche in Europa, a Parigi aveva incontrato le canzoni di Brel, se n' era innamorata e aveva inciso una memorabile versione di «Ne me quitte pas» e poi «Il faut savoir» e «L' amour c' est come un jour» entrambe di Aznavour. E proprio in Francia, dove è morta, aveva finito per passare buona parte dei suoi ultimi anni. La disuguaglianza razziale negli Usa è «peggio ora di prima», aveva detto nel 1998 prima di prendere la decisione di vivere all' estero per colpa del razzismo americano. Vittorio Franchini