Dream of Life di Vittore Baroni
Il nuovo album di Patti Smith non
delude le aspettative dei vecchi fans. Certo, i tempi sono
cambiati, e Patti non poteva rimanere incatenata
all'immagine ribelle di Piss Factory. Non ci sono
parolacce di quattro lettere, non c'è rabbia-e-poesia a ruota
libera, però non c'è neppure, qui, quel tanto di
intellettualismo un po' snob che occhieggiava da alcune prove
passate ("fuck Radio Ethiopia, man, I'm Radio Brooklyn!",
sbottava Lou Reed in un live del 1978), né troviamo i
compiacimenti "mistico-pastorali" che avevano appesantito il
saluto (Wave) del 1979. La Smith appare più
serena, matura, misurata, come si addice ad una brava madre di
famiglia.
La produzione, affidata a Jimmy Iovine e
allo stesso Fred Sonic Smith, è più levigata e
convenzionale di un tempo, senza sconfinare nello stucchevole
suono da FM. Negli otto brani, firmati dai coniugi Smith,
troviamo slow ballads liriche e tormentate, rock-songs
graffianti e compatte, romanticissime poesie-canzoni "d'amore"
(la title-track e Looking for You, i due momenti meno
convincenti dell'album), il tutto racchiuso fra un inno
battagliero (di cui dirò subito) e una dolcissima ninna-nanna.
Un disco vario, insomma, che recupera e ricompone in maniera
neppure troppo diversa tanti tasselli del vecchio Patti
Smith Group (a cominciare da Sohl e Daugherty,
Iovine, fino alle foto di Mapplethorpe e ai nomi
di collaboratori minori).
Mi si consentano alcune considerazioni
supplementari. Dream of Life, non soltanto nel titolo
di copertina, è una raccolta di canzoni attraversate da sogni:
"I was dreaming in my dreaming" sono le prime parole che udiamo
in People Have the Power, "stiamo sognando, stiamo
danzando di nuovo?" si interroga Patti in Going
Under, sogni folli in alfabeti forestieri" sognano i
protagonisti di Where Duty Calls (efficace apologo
antimilitarista ispirato a un episodio di terrorismo
anti-americano in Libano), mentre sogni felici la Smith
augura al figlioletto nella tenera The Jackson Song.
Non sono però, tutti questi, dei "sogni al potere", ovvero
inviti all'evasione nella fantasia o nelle droghe
chimiche/tecnologiche, bensì segnali dell'infinito potere dei
sogni. Patti canta la possibilità che i nostri sogni migliori
divengano realtà, attraverso la cooperazione e l'unione: "il
popolo ha la forza di vincere / di strappare il mondo dalle mani
di idioti". In questo senso, l'ottimo brano-guida
People Have the Power (che non demonizzerei affatto
come commerciale, qualsiasi r' n' r anthem, fatto proprio o no
dalla memoria collettiva del pubblico, è anche "orecchiabile")
respira della stessa tensione utopica della Lennoniana
Imagine. E aggiungiamo subito, a scanso di
strumentalizzazioni (ho provato a rileggere le introduzioni
dei libri su/di Patti Smith spuntati come funghi in Italia nel
'78-'79: che vergogna!), che lo spirito qui non è quello di
Power to the People (Lennon periodo
rosso-militante): nessuno deve "dare il potere al popolo", in
quanto la gente lo ha già il potere, deve solo accorgersene,
risvegliarsi dall'incubo, riconoscere le proprie forze,
mettersi in movimento.
La nuova Patti è comunque tutt'altro che una
sobillatrice di folle (anche se prevediamo-auspichiamo
ruggenti esibizioni live, magari condite di vecchi classici -
ricordate bootlegs come Hard Nipple?), il suo messaggio
lirico-umanistico proviene dal salotto di casa e non dalle
barricate, e il "sogno" è anche una metafora di quel
bellissimo breve triste magnifico rito di passaggio che è la
nostra esistenza terrena. Non più "regina della notte" o
"sacerdotessa del rock" quindi (o almeno spero, la triste
prosopopea dei "critici" non conosce limiti), ma solo
un'ispirata e originale cantautrice ritornata all'ovile. "Mentre mi arrendo al sonno / a voi affido
questo mio sogno": non so quanti, fra musicofili, cinici,
innamorati, passanti casuali, vorranno fare proprio il
messaggio positivo di People Have the Power. Mentre
ascoltavo per la prima volta questo disco, a due passi da casa
mia scoppiava un serbatoio di pesticida in una grossa azienda
chimica, una vicenda finita sulle prime pagine dei giornali. La gente incazzata è scesa in piazza, ha
dimostrato, a preso a calci i politici, ha preso botte dalla
polizia, e ha ottenuto la chiusura definitiva degli impianti
pericolosi. Forse gli "idioti" hanno avuto paura, forse tutto
questo non c'entra nulla con Patti, Comunque, PHTP!
R o c k e r i l l a - Settembre
1988
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