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Io e Patti Smith - Michael Stipe racconta...

Diversamente dagli altri ragazzi della band, quando cominciammo non avevo nessuna particolare conoscenza della storia del pop, così più che altro ho imparato strada facendo. Virtualmente non avevo alcun background culturale. Praticamente ho ignorato la musica fino all'età di quindici anni e alla scuola che frequentavo - che era in Illinois, nel cuore della middle-America - andava il metal. I miei genitori ascoltavano Gershwin, Mancini, Wanda Jackson e la colonna sonora de Il Dottor Zivago. Questo è tutto ciò che avevo sentito.

 

Per caso mi feci un abbonamento al "Village Voice" quando avevo quindici anni. Proprio a quel tempo - verso la fine del 1975 - parlavano di quello che stava succedendo a New York con i Television, Patti Smith, I Ramones e del CBGB's. Mi ricordo distintamente il numero del novembre 1975 della rivista Cream. Qualcuno ne aveva lasciata una copia nella hall dello studio, sotto una sedia. C'era una foto di Patti Smith, e aveva un look terrificante. Sembrava Morticia Addams. E penso che fosse in un pezzo in cui Lester Bangs o Lisa Robinson parlava del punk rock a New York: faceva notare come tutta l'altra musica fosse come guardare dei film a colori, mentre quella era come una Tv in bianco e nero. E mi sembrava avesse senso. Ho letto di queste bands prima di averle ascoltate, e mi suonava così stupefacente.

 

"Horses", il primo album di Patti Smith, uscì subito dopo e praticamente mi fece a pezzi, rimettendomi insieme in una maniera completamente diversa. Quando lo ascoltai avevo quindici anni, ed è roba piuttosto dura per un ragazzo bianco americano della classe media, che siede nel soggiorno dei suoi genitori con le cuffie per non farsi sentire. Era come la prima volta che uno si tuffa nell'oceano, e viene travolto da un'onda. Uccideva. Mi sentivo completamente liberato. Avevo in testa le cuffie gracchianti dei miei genitori e stetti in piedi tutta la notte con una grossa coppa di ciliegie ascoltando Patti Smith; mangiavo le ciliegie e dicevo: Oh mio Dio...! Merda...! Cazzo...!. Quello fu il momento.

 

Quel primo album era in assoluto la cosa più importante al mondo. Era come: mio Dio, mi sta mandando qualche magico messaggio segreto. Ci trovavo qualcosa di sporco ed eccitante e sexy e "fico". Mi resi conto di essere un outsider e mi sentii separato dalla maggior parte delle persone. Questa musica rendeva la separazione più evidente ma era il mio asso nella manica, perché io avevo qualcosa che loro non avevano. Avevo la consapevolezza di questa cosa incredibile. Che ero nel Mid-west e desideravo essere a New York.

 

Uscì "Marquee Moon" dei Television. Proprio la cosa più angolare, fragile e brutale che avessi mai sentito. Quindi andai a pescare tra quelli che li avevano influenzati. I Velvet, gli Stooges, i Dolls e così via... Ma Horses rimaneva l'unico. Per me era rivoluzionario. Aveva realmente cambiato la mia vita, penso in modo positivo. Voglio dire, sono diventato una pop star. Probabilmente è cominciato tutto con quel disco.

 

Non penso di essere necessariamente un canale per qualche misteriosa energia che scende giù dal cielo, perché mi porterebbe sullo stesso livello di un saggio, e a me non piace essere messo su un piedistallo. Non mi piace essere considerato la voce di una generazione, anche se parliamo di nove o dieci anni fa. Credo veramente nell'etica originale punk, nel fatto che non devi essere una persona "speciale" per essere un musicista: come dicevano Patti Smith e Tom Verlaine, chiunque può farlo. Io lo presi alla lettera. Pensavo semplicemente: cazzo, se possono farlo loro perché non posso io? Questo è il motivo per il quale mi sono unito ai R.E.M. Pensavo: se Patti Smith può cantare, anch'io posso cantare. Nessuno ha mai realizzato quanto io abbia preso da lei come performer. Lei era decisamente gutturale. Somigliava a tutti i rumori che si fanno col corpo. Billy Bragg dice che quando gli uomini si svegliano, la mattina, devono fare ogni possibile rumore con il corpo, per assicurarsi di essere ancora vivi. La voce di Patti Smith era così. Non era un crescendo perfetto di note. Era come una bestia impazzita che ululava: ogni rumore possibile. Ho ciecamente rubato da lei per gli ultimi quindici anni. Patti Smith era una donna ma era anche in quella zona grigia alla quale penso di appartenere come personaggio pubblico, la zona "né in un modo né nell'altro". Ho sempre reagito a questa cosa in modo grandioso. Lei non era una donna come venivano generalmente definite le donne nel 1975 negli Stati Uniti, era qualcosa di completamente diverso, e non solo perché era androgina. E io diventai in qualche modo la mia versione di lei. Quando suono la chitarra in Don't Sleep I Dream, è come se lo avessi strappato da Radio Ethiopia di Patti. Fare un bel giro di chitarra è una cosa così semplice. Suona veramente bene. Non sono capace di fare una schifezza. Mettiamo che io suoni una nota - un la, per esempio - ma la suono veramente bene. Radio Ethiopia era una canzone di dieci minuti, e penso che rappresenti il suo desiderio di suonare un accordo in mi. Radio Ethiopia è ancora uno dei grandi dischi sophomore semplicemente per quel motivo. Dice: è quello che voglio fare ed è quello che farò. La ammiro per questo.

 

Ogni volta che i R.E.M. suonavano a Detroit le dedicavo sempre una canzone, sperando che lei ci fosse. Non c'era. Doveva essere la seconda voce in Everybody Hurts. Non lo fu, così la cantai da solo. Ma mi scrisse due righe che ebbi in aeroporto a Los Angeles appena prima che partissimo per il tour mondiale del 1995. Diceva soltanto: spero che tu faccia un buon tour e grazie per tutte le belle cose che hai detto di me. Ho camminato a mezzo metro da terra per otto ore! La chiamai da una sorta di libreria anarchica, a San Sebastian, in Spagna, e fu davvero grande per me anche semplicemente parlare, perché in passato l'avevo innalzata a un irragionevole, quasi eroico livello. Ma se me lo chiedi oggi, ancora sta molto, molto in alto. Voglio dire, penso che sia una delle artiste fondamentali della mia vita intera.

 

Adesso ho visto Patti Smith esibirsi parecchie volte. Lo show che abbiamo visto, del quale siamo stati testimoni, al Wiltern Theatre di Los Angeles è stata una delle dieci migliori esperienze della mia vita. Penso di poter dire - non solo delle dieci esperienze musicali. C'era qualcosa di speciale quella notte. Una gran parte era la sua esibizione. E' una performer navigata. E' incredibilmente grande in quello che fa. La prima volta in cui aprì la bocca su un palco, Patti Smith diventò il catalizzatore e il conduttore di qualsiasi cosa sia rock'n'roll. La sua influenza è inevitabile e benedetta.

 

 

MUCCHIO SELVAGGIO - 1999

 

Articolo inserito il 5.6.2009