La Repubblica" 1984/1990

 

 

 

 

E SARAH VAUGHAN CANTO' WOJTYLA - 3.7.1984

DUSSELDORF - In platea spuntava il cappellino porpora di un alto prelato (un emissario di Roma?). Ma la divina Sarah Vaughan non ha voluto smentire la fama del suo soprannome "Sass", l' impertinente. Si è fatta più volte il segno della croce con malcelata ironia, prima di cantare la più difficile delle canzoni in programma, quella The Madeleine che in prova aveva creato le maggiori difficoltà, ha suscitato le risate del pubblico invitandolo: "pregate per me". Così, tra sorrisi nervosi e grandi preoccupazioni della vigilia, è andata finalmente in porto, dopo tre anni di lavoro, la difficile operazione di mettere in musica con One World, one peace i versi di Karol Wojtyla, e cioè Giovanni Paolo II, del quale da più parti viene sottolineata la giovanile vocazione artistica (attore, commediografo, poeta, ma non va dimenticato neanche il disco che fu pubblicato all' indomani della sua elezione a Papa). Si tratta di una produzione di grande prestigio internazionale alla quale hanno messo mano tante diverse firme. Ha cominciato Gigi Campi (producer italo-tedesco molto attivo nel jazz) da un' idea di Mario Di Nardo, ma inizialmente l' impresa sembrava impossibile, finché non hanno accettato la scommessa due musicisti italiani: Tito Fontana e Sante Palumbo. I due, dopo fatiche inenarrabili ("Non si trattava di scrivere canzoni strofa-refrain-strofa" ci hanno raccontato, "ma di seguire musicalmente una metrica libera, non concepita per un uso musicale"), sono riusciti a ricavare ben sei canzoni da altrettante poesie di Papa Wojtyla. Il tutto è stato affidato a Francy Boland per gli arrangiamenti e a Lalo Schifrin per la direzione orchestrale, nomi molto noti nel mondo del jazz e in quello delle colonne sonore per film, i quali hanno anche scritto due pezzi originali in apertura e chiusura della suite, su testi di Gene Lees, che ha curato la versione inglese dei versi del Papa. A questo punto mancava solo la voce, e il difficile compito è stato affidato alla grande Sarah Vaughan, la cui tradizione afroamericana oltretutto conferiva la sufficiente spiritualità (come molti altri cantanti di colore anche lei ha cominciato a cantare in chiesa e nessuno, neanche l' alto prelato, ha ritenuto un problema il dettaglio che la Vaughan sia di confessione protestante battista). Poi ancora un partner vocalista, ovvero il bravo Bernard Ighner, cresciuto alla scuola di Quincy Jones, una grande orchestra jazzistico-sinfonica che comprendeva solisti di tutto il mondo (tra gli altri Art Farmer, Tony Coe, Sahib Shihab, Benny Bailey e l' italiano Gianni Basso), e il tutto è stato finalmente allestito in prima mondiale a Dusseldorf, visto che, a detta di Gigi Campi, non c' erano enti italiani disposti ad impegnarsi in questa impresa. Il luogo prescelto: la Tonhalle, un asettico auditorium costruito con perfezione tutta teutonica, dove perfino andando alla toilette si può continuare ad ascoltare il concerto, grazie ad appositi altoparlanti. Le canzoni sono state cucite con intermezzi di vario tipo, così da dare l' idea di una suite, ma questo sembra l' aspetto meno riuscito dell' opera. Alla fine risultavano sempre in primo piano le canzoni, prive di un reale legamento. La stessa musica scivolava frequentemente in un ibrido poco comprensibile, tra accenni pseudosinfonici, marcette, timpani reboanti ed enfasi spesso ingiustificate. La cosa più interessante, invece, è stato proprio il lavoro fatto sulle canzoni cantate dalla Vaughan, dietro le quali si avvertiva la ricerca più approfondita e meditata. Anche se non ci sentiremmo di affermare insieme alla Vaughan, che addirittura "si tratta di un modo nuovo di far canzoni", è vero che nel rapporto tra liriche, melodie e armonie troviamo le maggiori suggestioni di tutto il progetto, soprattutto lo sforzo di seguire in modo fantasioso, articolato, non banale, l' andamento e il respiro dei testi. La Vaughan è comparsa sul palco dopo una lunga introduzione per cantare The Actor, la prima delle sei canzoni firmate Wojtyla, un testo di sapore filosofico: "So many people inside me, living their lives" (tante persone dentro di me che vivono le loro vite), una sorta di unione dissociata tra un individuo e la moltitudine, poi Girl disappointed in love, e la più bella e difficile di tutte The Madeleine, sulla quale la Vaughan ha improvvisato alcune note, per coprire delle lacune nella difficile interpretazione. Canzoni svolte a metà tra le più dolenti "ballad" jazzistiche e un' atmosfera da romanza, o meglio da "lied". Wojtyla poeta, e per l' occasione paroliere, ha scritto versi orientati a cogliere, come si conviene ad un religioso, i molteplici rimandi tra il particolare e l' universale, rivolgendosi al fratello nero africano (The black) ai bambini, (The children), agli operai delle fabbriche di armi (The armaments worker), con evidente sensibilità a tutti i temi della vita sociale. Infine un gran finale, ripetute due volte come bis, con Let it live, una specie di "gospel" ammiccante e allegro (pericolosamente vicino allo spirito ecumenico del gruppo "Viva la gente") non dovuto alla firma del Papa, che ha sollevato e alleggerito l' atmosfera densa e sofferta delle precedenti canzoni. Alla fine tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. La paura era grande e la posta in gioco era grossa, anzi sacra. Gino Castaldo

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E ORA SARAH VAUGHAN SI DA' AL VIRTUOSISMO

27.10.1985 - SAINT VINCENT - Capricciosa e incostante come una ragazzina, Sarah Vaughan ha tenuto per tutto il giorno i giornalisti presenti in attesa di un incontro che veniva rimandato ora dopo ora. Alla fine ha preteso domande scritte alle quali ha risposto in pochi minuti pubblicamente poco prima del concerto. Ecco le risposte nella loro disarmante brevità. Prima di cominciare, intanto, tutta risolini, ha chiesto di scusarla perchè prima di ogni concerto lei è molto nervosa e quindi si sarebbe concessa solo per pochi minuti. E, poi, nessuno le aveva detto della conferenza stampa e per questo si era molto arrabbiata. Alla domanda se per caso nel suo stile non fosse influenzato dal pianoforte, strumento che suona, ha risposto "Ma no, che idea assurda! Io sono stata influenzata solo da fiatisti, tipo Charlie Parker e Dizzy Gillespie". All' altra domanda, se per caso vedesse dei suoi possibili successori, ha risposto semplicemente: "No!". La sua estensione di voce? Ha detto di possedere almeno quattro ottave e forse anche una quinta. Leggermente più a lungo ha risposto a una domanda sull' improvvisazione. Le era stato chiesto se per caso non avesse dei moduli riconoscibili. "Non so mai quello che viene fuori" ha detto. "Io apro la bocca e quello che esce va sempre bene, senza un programma preciso. In tutti i concerti canto sempre My funny Valentine e lo faccio ogni volta in un modo diverso proprio per dimostrare questo. Qualche volta la canto anche due volte nella stessa serata per far vedere che non ripeto mai la stessa cosa". Un po' d' attenzione l' ha data ad una fotografa che scattava in continuazione. "Ragazza, tu fai più fotografie di qualsiasi altra persona che abbia mai visto nella mia vita". Alla fine ha concesso ai presenti un larghissimo sorriso, e si è congedata con un "Dio vi benedica!". Gino Castaldo

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AGGREDISCONO E DERUBANO SARAH VAUGHAN - 3.8.1988

CATANIA - La cantante nera Sarah Vaughan e' stata rapinata la notte scorsa a Catania dopo un concerto a Siracusa. La Vaughan è stata aggredita da alcuni malviventi mentre percorreva la circonvallazione di Catania su una Mercedes 190 guidata da un autista. I banditi hanno infranto con una sbarra di ferro il lunotto posteriore della vettura e, mentre la cantante investita da una pioggia di frammenti di vetro urlava di terrore, si sono impadroniti della sua borsa contenente 12OO dollari in contanti e alcuni traveller cheques per un valore di 25OO dollari, oltre a documenti. La cantante, tornata nel suo albergo di Acireale, è rimasta sveglia fino alle quattro del mattino cercando di superare lo choc. E' stata un' esperienza terribile - ha detto - non ci aspettavamo affatto che quei due ragazzini avessero intenzione di derubarci. E dopo il furto siamo scappati via subito, nel timore che fossero anche armati. La cantante è in Sicilia per un tour di concerti promosso dalla regione che si è concluso ieri sera ad Agrigento, malgrado la brutta avventura. Sara Vaughan ha rivolto un appello agli sconosciuti aggressori, affinché restituiscano i documenti e gli oggetti personali contenuti nella borsa rubata. "Confido - ha detto Sarah Vaughan - nel fattivo interessamento delle forze dell' ordine di Catania affinché si possa giungere alla pronta identificazione dei responsabili, ai quali comunque rivolgo un accorato appello perché mi vengano restituiti i documenti personali, le lettere e le foto di mia madre e di mia figlia contenute nella mia borsa".

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E' MORTA SARAH GRANDE VOCE DEL JAZZ - 5.4.1990

LOS ANGELES - La grande cantante jazz Sarah Vaughan è morta martedì notte di cancro ai polmoni. Aveva 66 anni. Il decesso è avvenuto alle 21,20 di martedì (le 23.30 in Italia), nella sua casa a Hidden Hills, nella San Fernando Valley, presso Los Angeles. L' annuncio è venuto ieri dal celebre critico Leonard Feather, amico di lunga data della cantante. Dopo un periodo di malattia, quattro giorni fa la Vaughan era stata ricoverata all' ospedale Cedars-Sinai di Los Angeles, ma martedì i medici avevano deciso di dimetterla. Sarah Vaughan era nata a Newark, nel New Jersey, il 27 marzo 1924. Studiò pianoforte dall' età di 7 anni e a 12 anni cominciò a suonare l' organo e cantò nel coro della chiesa. L' amore per la musica a Sarah lo avevano trasmesso i suoi genitori: il padre, un carpentiere, suonava la chitarra e la madre cantava nel coro della chiesa. Nel 1942 per scommessa cantò Body and soul al teatro Apollo di Harlem. E fu in questa occasione che il celebre capo orchestra Billy Eckstine la notò e la raccomandò a Earl Hines come seconda pianista e co-vocalist. Nel 1943 esordì all' Apollo con la band di Hines. Dal 1946 iniziò la carriera solista, che ne fece una delle maggiori cantanti jazz, in continua rivalità con Ella Fitzgerald. Ormai il suo nome era associato un po' per antonomasia al canto jazz, dividendo questo ruolo con la Fitzgerald. Insieme hanno perfettamente e nel modo più esauriente incarnato le possibilità del moderno vocalismo jazz. La terza, e forse più grande in assoluto delle cantanti-simbolo del jazz, è stata ovviamente Billie Holiday, che però le ha storicamente precedute. E almeno dal 1959, anno in cui è scomparsa Lady Day, lo scettro è rimasto alle altre due. Si interrompe così, tragicamente, un testa a testa, durato decenni, con Ella, di sei anni più anziana di lei. La Vaughan era nata nel 1924 a Newark, nel New Jersey, ma curiosamente ha cominciato proprio come la sua rivale, vincendo una gara per dilettanti all' Apollo di Harlem con il pezzo Body and soul, un' audizione dalla quale ottenne una ricompensa di dieci dollari, e le lodi della Fitzgerald allora già una vedette (il suo provino all' Apollo risaliva ad una decina d' anni prima). Dall' Apollo è approdata direttamente nell' orchestra di Hearl Hines nel 1943, come vocalista e seconda pianista, raggiungendo grazie a questo fortunato debutto, in tempi rapidissimi, una discreta notorietà. In quell' orchestra, tra l' altro, ebbe la fortuna di suonare con musicisti leggendari come Charlie Parker, cosa che per una cantante appena in embrione, era una circostanza formativa a dir poco straordinaria. E da lì in poi, dopo pochissime altre esperienze di gruppo, intraprende una brillante carriera solista. A cavallo tra la fine dei Quaranta e i primi Cinquanta diventa una star internazionale, e proprio per questo comincia a visitare anche un repertorio più popolare, meno purista, facendo breccia presso pubblici tradizionalmente estranei al jazz. Un' abitudine mai abbandonata, che l' ha spinta a cantare praticamente di tutto, fino agli ultimi tempi. E basta ricordare la sua famosissima interpretazione di Send in the clowns del 1977, poi diventata un suo cavallo di battaglia, oppure la più recente interpretazione (1984) di canzoni ricavate da poesie scritte dal Papa in persona. Operazione di dubbio gusto, ma in ogni caso molto reclamizzata. E il fatto di conoscere la tecnica del pianoforte, oltre ovviamente a quella canora, non è affatto un particolare secondario della sua vicenda musicale. In realtà la Vaughan, detta affettuosamente Sassy, o in modo eccessivamente sfarzoso la divina, vantava una discreta educazione musicale ottenuta grazie alla sua famiglia e all' ambiente delle chiese protestanti che sono state decisive per la grandissima parte dei vocalisti di colore. Aveva quindi una buona conoscenza delle armonizzazioni jazz, abbondantemente sfruttata nelle sue variazioni a tema, in particolare influenzate dallo stile del bebop. E si può dire che proprio sulla tecnica abbia costruito la sua fortuna, con un virtuosismo fin troppo celebrato nella storia del jazz. I suoi rapidi passaggi di ottava, soprattutto dall' alto al grave facevano sempre furore, e avevano un effetto irresistibile sul pubblico, e anche sugli specialisti, che nel mondo del jazz sono sempre stati molto impressionabili dalle prodezze tecniche. In realtà, sebbene sul piano della tecnica sia stata spesso ritenuta la più completa delle cantanti jazz, ha casomai peccato in sensibilità, mostrando spesso un marcato disinteresse per le liriche, da lei raramente interpretate per quello che realmente dicevano. Lo stesso predominio della tecnica l' ha portata lontano dalla incredibile profondità con cui per esempio Billie Holiday affrontava le melodie. Se di un tema la Holiday scavava ogni recondito e abissale recesso interiore, la Vaughan ne esaltava il gioco astratto delle combinazioni armoniche. E da questo punto di vista è interessante un confronto diretto sullo stesso standard, per esempio Lover man, dove le differenze stilistiche sono evidentissime. Come per altri versi è interessante il confronto con Ella Fitzgerald, ritenuta generalmente più fantasiosa, più creativa di Sassy. Ma ambedue, e per questo la rivalità era per così dire diretta, hanno spinto il canto nella direzione dell' imitazione degli strumenti tipici della musica jazz. Ambedue hanno in qualche modo mutuato proprio dalla tecnica strumentale alcune possibilità di utilizzazione della voce. La Fitzgerald soprattutto al livello del fraseggio, dello scat, delle variazioni improvvisate, mentre la Vaughan ha mostrato incredibili possibilità di estensione, di tessitura e di timbro, arrivando a riprodurre perfettamente con la voce quel suono basso e gorgogliante che per gli strumenti viene definito growl. Il punto debole, come si diceva, è stato casomai nella sensibilità generale con cui ha inteso il concetto di interpretazione. Ed è a questa mancanza di sensibilità che va certamente attribuito il suo carattere via via più capriccioso e instabile. Era diventata, specialmente negli ultimi anni, la disperazione degli organizzatori, e anche in concerto si abbandonava a pose gigionesche che hanno incrinato di molto il potenziale fascino della sua voce, e che spesso facevano pensare con un certo rimpianto alle straordinarie possibilità della sua voce. Ma, anche se non sempre è stato usato al meglio, il suo è stato certamente uno dei più significativi talenti vocali del nostro secolo. Gino Castaldo