Charles Higham - 1978 - MARLENE DIETRICH -
Editore Dall'Oglio
All'inizio degli anni
'60 Marlene diede il via ad una serie di tournées
internazionali che dovevano renderla ancora più famosa.
Volò a Rio de Janeiro con la compagnia aerea Varig, che
immediatamente divenne la sua preferita, perché le
forniva un letto in cui poter riposare (che cosa
pensassero gli altri passeggeri vedendo la diva mondiale
del sesso prepararsi per ficcarsi sotto le lenzuola lo
si può solo congetturare). Il disco DIETRICH A RIO, uno
dei primi LP, dà una chiara sensazione dell'estasi che
doveva provare il suo enorme pubblico.
Quando arrivò a Rio, l'accolse la folla
più numerosa che si fosse radunata per una circostanza
del genere: circa venticinquemila persone affollavano le
piste, rendendo difficile perfino l'atterraggio
dell'aereo. Fu certamente uno dei momenti più
emozionanti della vita di una diva.
Il suo ammiratore John Marven, che ha
assistito allo spettacolo di Marlene a Rio, racconta:
"Incredibile! Non ho mai visto nulla di simile. Il
pubblico sembrava letteralmente impazzito. Quando
apparve, vi fu un urlo terrificante che sembrava emesso
da una sola gola. Cominciò a cantare e l'urlo continuò
così assordante che lei dovette fermarsi e ricominciare.
Quando terminò la prima metà dello spettacolo, accadde
una cosa che non credo sia mai successa prima in teatro
o dopo di allora. Il pubblico invase il palcoscenico.
Quelli che non potevano arrivarci salirono in piedi sui
tavoli. Alla fine di ogni numero. la gente prendeva le
posate e le picchiava sui piatti. Nel finale, quando in
abiti maschili, eccitante al massimo, prese a cantare
come un uomo: "I've Grown Accustomed to Her Face", tutti
si misero a piangere; nel buio si potevano percepire i
singhiozzi di centinaia di persone".
Paolo Di Stefano -
2011 - CORRIERE DELLA SERA
È il 7 settembre 1937. Al
Lido di Venezia l'attrice sta cenando con Joseph von
Sternberg, il regista del L'ANGELO
AZZURRO,
quando si avvicina un signore molto cerimonioso: «Posso
presentarmi? Sono Remarque». Marlene racconterà alla
figlia Maria di essere rimasta subito incantata dai suoi
modi gentili, dal baciamano perfetto, dalla bocca
sensuale, dal modo con cui le accese la sigaretta,
persino dagli occhi grifagni. Sternberg capisce e li
lascia soli. Quei due rimangono a parlare fino all'alba
e mentre si dirigono verso l'albergo lo scrittore si
sente in dovere di precisare, a scanso di equivoci: «Io
sono impotente...», sentendosi rispondere: «Ah, che cosa
meravigliosa!». Ne nascerà una relazione destinata a
durare, con alti e (molti) bassi, fino al 3 novembre
1940. Una relazione che purtroppo possiamo ripercorrere
a senso unico, dalla voce di Remarque - le lettere sono
raccolte nel volume DIMMI CHE MI AMI (Archinto Editore
2010) - poiché quelle della Dietrich sarebbero state
distrutte da Paulette Godard, la terza moglie dello
scrittore.
Maria Riva -
1993 - MARLENE DIETRICH - Mia
madre - Edizioni Frassinelli
La stampa francese aveva
criticato l'ostinazione con cui la Dietrich si vestiva
come un uomo, e affermava che le "signore" non sfidavano
le convenzioni. L'industria della moda francese, a quei
tempi consacrata esclusivamente alle donne, era,
dopotutto, un settore importante dell'economia
nazionale; quindi si può capire perché si lasciasse
prendere dal panico alla prospettiva che la popolazione
femminile rinunciasse agli scomodi fronzoli per la
praticità di un paio di pantaloni. Sebbene Hermès
presentasse pantaloni per signora fin dal 1930, le
agenzie di stampa avevano dato spazio a questa "nuova"
controversia, e con l'entusiastica collaborazione del
reparto pubblicità della Paramount gonfiarono la
faccenda fino a trasformarla in un miniscandalo
nazionale. Questo non impedì alla Dietrich di
passeggiare per gli Champs-Elysées in completi da uomo
gessati.
Le commesse piantavano in asso i clienti e
correvano fuori dai negozi per vederla passare; nei
caffè all'aperto i camerieri si fermavano, le portate si
raffreddavano, i sorbetti si scioglievano, ma i clienti
non protestavano. Anche loro osservavano con gli occhi
sgranati mia madre e molti uomini la seguivano lungo il
boulevard, magari con il tovagliolo ancora in mano o
infilato nel gilè. Le macchine frenavano di colpo, altre
si accostavano al marciapiedi e seguivano la Dietrich passo
dopo passo. La gente si bloccava agli incroci, i
gendarmi dimenticavano di soffiare nei fischietti. Il
corteo di ammiratori si faceva sempre più nutrito fino a
quando non diventava una vera folla. E non era colpa o
merito dell'abbigliamento maschile: succedeva ogni volta
che compariva la Dietrich, comunque fosse vestita!
La prima volta che ciò accadde fu davvero
spaventoso. In America non era mai successo. Erano tutti
così silenziosi! Mi rammentarono la scena di un film che
avevo visto, dove una folla muta si preparava a compiere
un linciaggio. Ma non avevano espressioni inferocite, e
il silenzio era ispirato dalla venerazione, non
dall'odio! Sapevo come si comportavano i fan, ma quello
che stava succedendo non rientrava nelle consuete
manifestazioni di "adulazione". Nessuno tentava di
toccarla o di avvicinarsi troppo. Sembrava che si
accontentassero di muoversi nella sua atmosfera e di
saziarsi gli occhi. Il dono straordinario di ispirare
rispetto alle masse era una delle magie inspiegabili di
mia madre, e durò per tutta la sua vita. Chi
l'accompagnava e temeva di vederla fare a pezzi da un
momento all'altro restava sempre sbalordito dalla
sicurezza con cui affermava, guardando la folla che
l'accerchiava: "Non preoccupatevi! Non mi toccheranno.
Non lo fanno mai". E aveva ragione. Non la toccavano
mai. La Dietrich non scatenava fanatismo, ma ispirava
una muta soggezione. I giornali potevano pubblicare
tutte le menzogne che volevano: il popolo di Parigi
l'adorava.
Franco Zeffirelli -
1992 - LA REPUBBLICA
Con lei sono finite tutte le personalità eccezionali, i
giganti del cinema, quei personaggi fenomenali che sono
riusciti a folgorare le folle, a farle pensare e
sognare. Ne ricordo la straordinaria intelligenza e la
preparazione, figlia com' era della grande cultura
tedesca, lei che aveva vissuto in prima persona tutti i
grandi movimenti culturali del suo paese, come la
repubblica di Weimar. Quando la incontrai nel '49 a Roma
con Luchino Visconti m' impressionò la sua severità, la
sua durezza, i suoi modi battaglieri: non ne lasciava
passare una a nessuno, detestava gli elogi esagerati,
aveva un' opinione netta e chiara su ogni cosa. Ricordo
con quale sufficienza trattò Maria Callas ad una cena
parigina nel '60, considerandola una povera greca non
evoluta, incolta e poco emancipata. Non era simpatica,
né di facile approccio, curava la sua alimentazione in
maniera rigorosissima ed era terrorizzata dalla sua
fragilità ossea che la rendeva sempre cauta e negli
ultimi anni totalmente sedentaria.
Sofia Loren -
1992 - LA REPUBBLICA
Io l'ho incontrata soltanto una volta nel camerino di
Judy Garland a Londra. Mi abbracciò come una vecchia
amica e mi guardò a lungo prima di parlare, poi mi
disse: "Noi due ci somigliamo, ma tu hai il vantaggio di
essere italiana". Io allora ero giovanissima e quasi
tremavo di fronte a quel sorriso unico, inimitabile, a
quegli occhi ironici, invitanti eppure lontani lontani.
Oggi la parola mito è inflazionata, ma è certamente
quella che meglio definisce la personalità e la vita di
Marlene.
Charles Silver -
1983 - MARLENE DIETRICH - Storia
illustrata del cinema - Milano Libri Edizioni
Dopo una
partecipazione straordinaria di una sola battuta nel
film JIGSAW (1949), in cui ha la parte d'una cliente del
night-club "Angelo azzurro", la Dietrich tornò in Gran
Bretagna, per interpretare PAURA IN PALCOSCENICO, di
Alfred Hitchcock. E se il film non è all'altezza dei
capolavori hitchcockiani che lo seguirono, offrì
comunque alla diva l'opportunità di tornare allo stile
elegante delle sue interpretazioni Paramount
d'anteguerra. E nel personaggio di Charlotte Inwood
c'erano abbastanza connotazioni autobiografiche da far
nascere la leggenda di Marlene regina del palcoscenico.
Hitchcock ha dichiarato di essere stato interessato
soprattutto dal fatto che questo film era d'argomento
teatrale, e si accentrava in particolare sul problema
dei rapporti tra una debuttante e una diva, più o meno
come quelli tra Anne Baxter e Bette Davis in un altro
film del 1950, EVA CONTRO EVA. La trama del film è
troppo complicata per funzionare davvero, ma Marlene
riesce lo stesso a darci una delle sue interpretazioni
più complesse e più alte.
Marlene è meravigliosamente perfetta
quando prova un abito da lutto e commenta: "E'
splendido, ma non si può proprio farlo un po' più
scollato?". E sfoggia sempre quel senso dell'ironia che
è la sua cifra stilistica più riconoscibile. I suoi
numeri musicali ("Laziest Girl in Town" e "La vie en
rose") hanno una astratta eleganza che anticipa quella
dei suoi futuri concerti, in cui entrambe le canzoni non
sarebbero mancate. E anche nei momenti più platealmente
drammatici, come quando si trova di fronte
all'improvviso una bambola con il vestito macchiato di
sangue, che ha lo scopo di farle sapere che la sua
complicità nel delitto è stata scoperta, la Dietrich è
bravissima. Quando Jane Wyman cerca, con un trucco, di
farla confessare, esprime un momento di introspezione
attraverso un primissimo piano addirittura devastante.
PAURA IN PALCOSCENICO, in definitiva,
permise a Marlene di interpretare la parte d'una gran
donna, grande quasi quanto lei, matura ma ancora in
grado di affascinare gli uomini. E al di sotto della
gelida scorza, lascia intravedere una realtà molto
umana, molto vulnerabile.
Alain Bosquet
-
1993 - MARLENE DIETRICH - Un amore per telefono - Il
Poligrafo Srl
7 giugno 1984 - Mi piacciono le collere e le
cattiverie di Marlene.
Ha scritto a Ethel Kennedy, per presentarle le sue
condoglianze, alla morte del figlio, più o meno drogato.
La vedova di Robert Kennedy, credente e ormai bigotta,
le risponde: "Sono serena. Mio figlio d'ora in poi è
seduto alla destra del padre, per l'eternità". Marlene
commenta: "E dove sono gli altri Kennedy? E dov'è Jack
(John)? Anche loro sono seduti in cerchio, forse. Seduti
su che? Un divano, una soglia di chiesa, un pouf o un
mucchio di merda? A ottantadue anni, respinge con
violenza l'idea di Dio, anche per gli altri.
Esasperata dalle rodomontate dei francesi alla
televisione, che parlano della Liberazione come di un
affare francese, in cui gli alleati avrebbero avuto un
ruolo secondario, se non importuno ed abusivo, redige -
in inglese - una delle sue poesie-aforismi che le
servono da passatempo: