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11 FEBBRAIO 2000 -
CORRIERE DELLA SERA - CANTO ANCORA L'IMPEGNO
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FIRENZE.
Nel suo presente c' è la "passione
che genera passione", crede sempre nella canzone come
impegno politico. Juliette Greco non ha rimpianti ma
confessa un desiderio: "Quello di morire rapidamente per non
dover avere dei rimpianti". Eccola, la cantante mito della
musica francese, "rosa delle tenebre", secondo Jean Cocteau.
Non dimostra affatto i suoi 73 anni. Indossa un abito nero,
il colore che l' accompagna sin dagli anni '40, da quando
si esibiva nelle "boites" parigine, regno dell'
esistenzialismo, cantando canzoni scritte da Sartre. L' anno
scorso e' voluta tornare alla ribalta e nel maggio scorso il
suo concerto all' Odeon di Parigi ha ottenuto 7 giorni di
esaurito. E questa sera lo ripropone, unica volta in Italia,
al Politeama di Prato. "Un jour d' eté e quelques nuits",
e' il titolo dello spettacolo, lo stesso del suo ultimo
album firmato dallo scrittore francese Jean-Claude
Carriere. Ieri l' artista a Firenze ha parlato di sé .
"Sartre e Simone de Beauvoir hanno contribuito profondamente
alla mia formazione e negli anni Quaranta ero comunista come
loro. Poi anch' io ho cambiato le mie idee sul partito...
Eravamo stati presi in giro". Da bambina fu arrestata dai
nazisti. "Non dobbiamo dimenticare che i lupi adesso si sono
mascherati in agnelli". Della musica rock sa poco: "La
conosco male, e' espressione del mondo anglo-americano. Ma
apprezzo il rap come mezzo attraverso il quale i ragazzi si
fanno ascoltare". E la musica italiana? "Ricordo solo Dalla
e Guccini".
E. Vit.
4 NOVEMBRE 2000 -
CORRIERE DELLA SERA - SALVIAMO LA GIUDECCA
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VENEZIA. «Lo sfacelo
di Saint Germain-des-Prés, invaso da catene di negozi di
lusso, dal commercio, dalle agenzie turistiche, è ormai
inarrestabile. Peggio delle maree, peggio del petrolio di
Porto Marghera che corrodono la Laguna. Dov' è finita la
cultura?», drammatizza Juliette Gréco. Di nero vestita,
spettrale nella forma fisica e nel biancore del viso
affilato, la musa dell' esistenzialismo, irrompe sulla
scena veneziana. Flashback per le generazioni che hanno
superato i cinquanta, attrazione fatale per i giovani che
apprezzano lo stile retrò. Jean Paul Sartre, Simone de
Beauvoir, Raymond Queneau, Boris Vian: loro gli
intellettuali, lei l' interprete ispirata di ieri, e
ancora oggi mito vivente della canzone francese. Juliette
approda nella città italiana più amata dai francesi come
testimonial di un progetto ambizioso: il gemellaggio tra
il «quartiere latino» di Parigi e la Giudecca. «L' idea -
spiega - è quella di trasferire simbolicamente e non solo
lo spirito e l' habitat originali di Saint Germain nell'
isola della Laguna, scampata al degrado culturale, che ha
colpito anche Venezia». Annuisce l' amico Bernard-Henri Lévy che le siede accanto. Poi, osserva: «Non è un caso
che alla Giudecca abitino e lavorino numerosi artisti,
italiani e stranieri». «Ed è l' unico sestiere che si va
ripopolando», sottolinea il regista Gianni De Luigi,
animatore veneziano del gemellaggio con Saint Germain.
Lévy ricorda i soggiorni di Sartre a Casa Frollo (la
pensione chiusa da tempo, dove Brass girò «La Chiave»),
traendovi, vecchio e malandato, giovamento per il corpo e
per l' umore. Confermando così l' idea che gli
intellettuali francesi hanno di Venezia: luminosa, gaia,
vitale. E sconfessando l' immaginario collettivo che,
sulle tracce di Thomas Mann, la vorrebbe decadente e
pervasa da un' aura mortifera.
Marisa Fumagalli
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26 MAGGIO 1999 - CORRIERE DELLA SERA
- IL CUORE CONTA PIU' DELLA VOCE
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PARIGI. La prima volta che il "Théatre de l' Europe -
Odeon" accoglie una cantante. Una cantante? Ma Juliette
Greco incarna la Francia, è l' autentica Marianne dei nostri
giorni oscuri e senza bussola. Ieri sera la prima del suo
recital che segna il suo ritorno sulle scene parigine
affamate del mito: per 8 giorni, tutto esaurito. 73 anni, 50
di carriera: "Canterò - dice - finché avrò cuore più che
voce". E aggiunge: "Però potrebbe essere l' ultima volta.
Anch' io sono mortale. Non sono un uomo e non so se mi
verrà perdonato l' essere vecchia: c' e' del razzismo in
queste cose". Alla sola prova generale Jujube, come la
chiamavano quand' era una ragazzina dagli enormi occhi di
velluto, e' in giacca e pantaloni neri. Una sorta di colore
d' obbligo che risale al dopoguerra. Chissà se dentro sé
porta i fantasmi dell' Olympia, dove ha cantato l' ultima
volta nel 1993, e del Cafè Flore che era il santuario dell'
intellighentsia del dopoguerra: Sartre che scrisse per lei
la canzone "Rue des blancs manteaux", Vian che la
guarì da
una depressione e Maurice Merleau-Ponty che le insegnò l'
esistenzialismo. "Porto dentro di me quel magnifico capitale
di forza, dolcezza, intelligenza, generosità , tenerezza.
Io possiedo ciò che ho vissuto e tutto mi e' stato donato".
Ecco perché la sua voce sembra intatta. Juliette non ha
bisogno di prove. La sua canzone "Mon fils, chante" ("Canta,
figlio mio"), sembra un' ode contro la dittatura, contro
tutti i Milosevic del mondo.. Al pianoforte c' e'
Gerard Jouannest, marito di Juliette e autore di una buona
metà delle canzoni di Brel. Poi Juliette attacca "Trains de
nuit", i treni della notte, i treni dei deportati. Ieri i
vagoni bestiame per gli ebrei, oggi la fuga, davanti alle
telecamere, dei profughi del Kosovo. C' e' solo l'
intervallo degli anni: "Gli ebrei non avevano la tv come
testimonianza dell' orrore. Ma il tempo non conta e
soprattutto non cambia gli uomini", dice Juliette. Il 5
giugno, verrà in Italia, a San Benedetto del Tronto,
invitata dall' Associazione Leo Ferrè . Un amico scomparso.
Juliette e' una donna di grande devozione verso gli amici.
Basta non tradirla: "E Parigi non mi ha mai tradita".
Ulderico Munzi
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25 AGOSTO 1996 -
CORRIERE DELLA SERA - QUEI POLIZIOTTI MI HANNO RICORDATO LA GESTAPO
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PARIGI. Juliette Gréco, in un certo senso, e' la
Francia. La Francia dei giorni di speranza che si accesero
nel dopoguerra e che lei cantò . Questo personaggio mitico,
che ebbe l' amicizia di Jean Paul Sartre, di Boris Vian e di
Jacques Prévert, ci racconta: "La casa era addormentata
venerdì mattina. Ero sola sul divano con il mio cane e
guardavo, alla televisione, le scene dell' assalto dei
gendarmi alla chiesa di Saint Bernard. Ho detto al mio cane:
che vergogna. Ma tutta la Francia deve aver provato quella
vergogna". Continua Juliette Gréco: "Non ho mai provato in
vita mia una reazione così violenta, tranne che nei giorni
del 1943 quando la Gestapo mi buttò in un carcere. C' era
qualcosa di odiosamente totalitario in quell' invasione
della chiesa dove si erano rifugiati quei trecento immigrati
clandestini". Poi, la voce di Juliette s' incrina come se
stesse piangendo. "Il cuore mi sanguina", dice. I ricordi
dei tempi dell' occupazione nazista sono ancora ferite
aperte, il dolore e' ancora lancinante. Lei visse
tragicamente quel periodo, la sorella e la madre erano in
campo di concentramento. Le telefono nel Sud della Francia.
Dice che vuole tornare a Parigi per combattere in favore
della gente di Saint Bernard, almeno per quella che ancora si
trova in Francia. Si fa dare il numero di un' associazione
come "Droits devant" che si batte in difesa dei diritti dei
trecento africani. Se le leggi rendono possibili certe
azioni, pensa Juliette Gréco, allora bisogna cambiarle.
"La mia vicenda, quand' ero giovanissima, non era la stessa
cosa, ma partiva dallo stesso principio. E cioè dal
principio dell' esclusione. E non ero ebrea. Hanno fatto
venire quegli africani in Francia per sottometterli a
lavori, come quello dello spazzino, che i francesi
rifiutavano con disgusto. Costavano poco, quegli africani, e
costano ancora poco. E loro hanno creato una famiglia, hanno
avuto figli. E adesso li ributtano in Africa. Non sono
clandestini, ma gente che, lavorando, voleva integrarsi".
Non sopporta l' immagine di una chiesa invasa da uomini in
divisa, di una porta buttata giù a colpi di ascia, di un
sacerdote interrotto mentre celebra un rito sublime. "Non
sono una cattolica praticante e non sono d' accordo con la
maniera di agire delle gerarchie ecclesiastiche. Ma so,
sento che una chiesa deve essere inviolabile perché è un
luogo sacro. Quei gendarmi non avevano il diritto di varcare
la soglia di Saint Bernard. Hanno calpestato la tradizione
della chiesa come rifugio. E ora? Non avremo più un luogo
dove rifugiarci". Ai suoi occhi, il presidente Jacques
Chirac e' un uomo buono e pieno di qualità . "Però - dice
- e' un cattolico, uno di quelli che vanno in chiesa. E il
suo primo ministro, Alain Juppè , va alla Messa. Allora?
Che uso fanno dei comandamenti? Come rispettano il Vangelo?
Tu non ucciderai, tu rispetterai il prossimo tuo come te
stesso, amatevi gli uni con gli altri, gli ultimi saranno i
primi... Voltano le spalle a questi principi fondamentali?
Pensano che basti una confessione? Se io fossi il cardinale
Lustiger, arcivescovo di Parigi, sarei inferocito nei loro
confronti. E penso che lo sia". Non può certo
scomunicarli, signora. "No, certo. E poi la scomunica non
vuol dire niente. Sono loro che debbono battersi il petto,
sentirsi infelici per quanto è accaduto. Si e' applicato il
contrario del Vangelo. La Francia non ha mai mostrato un
volto così disumano al mondo intero. Mai. E io ho buona
memoria per tutto ciò che è disumano." Ma forse, e' tutto
un calcolo politico, signora Gréco "Ha ragione. Il guaio
e' che c' e' il Fronte Nazionale, hanno paura di quel Jean
Marie Le Pen, sentono il suo fiato sul collo. E la destra,
così, deve recuperare l' estrema destra in un modo o in un
altro. Sulla pelle degli altri, come sempre accade. La
destra, con un uomo come Jacques Chirac, aveva un aspetto
rassicurante. E adesso il suo governo assume la fisionomia
di un boia".
Ulderico Munzi
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15 DICEMBRE 1995 -
CORRIERE DELLA SERA
- FINALMENTE CI RIBELLIAMO ALLA NOBILTA' TECNOCRATE
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PARIGI. Personaggio intramontabile
della "gauche", Juliette Gréco e' una "Marianne"
ribelle, indomita. Anzi, e' l' anti "Marianne" che è
figura emblematica della Francia, un tempo incarnata
da Brigitte Bardot e da Catherine Deneuve. Juliette
Gréco è come una sorta di tabernacolo vivente dello
spirito che una volta aleggiava al Quartiere Latino:
Jean Paul Sartre scriveva dei versi perché lei li
cantasse. Era la "musa" dell' esistenzialismo. Dice:
"Il mio cuore è con chi manifesta nelle strade, con
chi sciopera, con chi non si arrende". Non le danno
fastidio la mancanza d' ideali e la mancanza di grandi
progetti per il futuro? "Oggi si manifesta per salvare
la propria pelle. E' una grande occasione perché da
anni si teneva la testa bassa davanti ai tecnocrati,
la "nobiltà decisionista" dello stato. Ma e' grave
quando si scende in piazza per sopravvivere". E' grave
perché tutto può accadere, signora. La tensione
aumenta, specie tra i commercianti, che sono ostili
allo sciopero. "L' impoverimento provoca l' odio. Se
vi fosse un morto nelle strade, sarei terrorizzata
dall' idea di quello che potrebbe accadere.
Scatenerebbe l' inimmaginabile, qualcosa di
estremamente pericoloso". Ma lei non concede alcuna
giustificazione al primo ministro Juppè? "Le regole
dell' assistenza sociale debbono essere ritoccate, d'
accordo. Ma non si può attuare un piano di riforma
come fosse il testo di un diktat. Juppè doveva
parlare con la gente, doveva parlare coi francesi. Non
si debbono trattare come bambini obbedienti e
sprovveduti. Noi siamo individualisti e liberi. Ogni
francese e' un piccolo pezzo di Francia. E quando quei
piccoli pezzi di Francia si uniscono, il potere può
lasciarci le penne. L' abbiamo vissuto nel
Sessantotto, durante la Resistenza e, scusi se vado
lontano, nel 1789 quando tutto cominciò con la presa
della Bastiglia". Lei affiderebbe il suo futuro a
Juppè ? "E' un uomo intelligente, ma crede di vivere
tutto solo nella torre d' avorio di primo ministro. Ha
dimenticato che esistono milioni e milioni di
lavoratori. Il fatto d' essere un tecnocrate non
significa possedere la verità rivelata. Non c' e'
migliore interlocutore del popolo. Juppè se n' e'
scordato. Non si possono togliere i diritti acquisiti
alla gente. Non si può riprendere ciò che e' stato
dato. A scuola si diceva: chi dà e poi riprende è il
figlio del diavolo". Ma resterà qualcosa di questo
movimento del dicembre '95? "Il risveglio dei
francesi. Ripeto: bisogna averne paura, anche se
domani tutto potrebbe finire con i treni che tornano
sui binari e i metrò che corrono nelle viscere di
Parigi. Il potere oggi sa che bisogna parlare con la
Francia, specie se si tratta del suo avvenire...".
Improvvisamente, il nostro dialogo telefonico con
Juliette Gréco, che si trova nella sua casa di
campagna, è reso incomprensibile dal battito
assordante di una perforatrice. Le diciamo: non è una
mitragliatrice, signora. "Peccato", dice lei
riferendosi, ne siamo certi, ad antichi e
entusiasmanti momenti insurrezionali. Riprendiamo il
discorso: ma dietro Juppè non c' è Chirac? E il
presidente della Repubblica non sente il fiato della
rivolta? "Juppè non obbedisce a ordini impartiti da
Jacques Chirac. Lui e' il presidente della Repubblica
e lascia piena libertà a Juppè per i suoi atti di
governo. Chirac non interviene. Ma potrebbe pagarne le
conseguenze assieme a Juppè ". Se ci fosse una
canzone da dedicare ai manifestanti, quale
sceglierebbe? "Canterei per loro "Le temps des cerises",
scritta da Jean Baptiste Clément nel 1866 e cantata
durante la Comune nel 1871. Erano giorni tragici e
splendidi. Pensi, il tempo delle ciliegie. Le prime
battute suonano così : "Quando noi canteremo il tempo
delle ciliegie e l' allegro usignolo e il merlo
ridente faranno festa, le belle donne avranno la
follia in testa...". Molte canzoni rivoluzionarie sono
canzoni d' amore e molte canzoni d' amore sono
rivoluzionarie. Del resto, ogni volta che canto,
faccio una mia rivoluzione. Vorrei essere alla testa
dei cortei, ma le mie condizioni di salute, per ora,
non me lo permettono. Vorrei sfilare e cantare. Mando
il mio pensiero ai ferrovieri, a tutta la gente di
Francia che va per strade e piazze. Non sono cortei
minacciosi: anche nel difendere la propria pelle ci
può essere gioia. Nei giorni della Comune era "Le
temps des cerises". Oggi, forse, e' tornato il tempo
delle ciliegie".
Ulderico Munzi
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28 GIUGNO 1995-
CORRIERE DELLA SERA - COSI' HANNO DISTRUTTO IL MIO TABOU
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PARIGI. Requiem per il "Tabou", uno dei
luoghi mitici del Saint Germain-des-Prés degli anni
dell' esistenzialismo e della speranza per un mondo
migliore. Il martello pneumatico, nella rue Dauphine,
cuore del Quartiere Latino, distrugge, sbriciola e
mette in fuga, spietatamente, anche i fantasmi di
Boris Vian, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir,
Raymond Queneau, Maurice Merleau Ponty, Francois
Mauriac, Jacques Prévert e Albert Camus. Erano i
gloriosi habituès di quella "cave". Un pantheon di
musica, canti, alcol e cultura. Telefoniamo a Juliette
Gréco, la Grande Dama della canzone francese. Un
tempo il "Fiore Nero" di Saint Germain-des-Prés. Le
diamo la notizia: sa, Madame, vogliono farne un
albergo di lusso con garage sotterraneo. Conserveranno
solo i muri perché sono del diciassettesimo secolo.
Muore l' ultima "cave", Madame. La splendida cantina
della "follia organizzata", come diceva Boris Vian.
"E' un sacrilegio - dice Juliette - ma c' era da
aspettarselo: la gente pensa soltanto ai quattrini, il
sangue ha ormai il colore verdastro del dollaro. La
gente calpesta il passato, calpesta Sartre, Queneau e
tutti noi che, a quell' epoca, eravamo gli alchimisti
di un nuovo modo di vivere. Tirava il dolce vento
della spiritualità . Il "Tabou" e altri luoghi, come
il Cafè Flore, rappresentavano il crogiolo del
pensiero francese ed erano celebri nel mondo. C' erano
pellegrinaggi al "Tabou". Come e' stupida la gente di
oggi. Il "Tabou" faceva parte di un magnifico capitale
di forza, intelligenza, tenerezza, generosità". Chi
scoprì il "Tabou"? "Io, Juliette, "Jujube" come
mi chiamavano allora. Era il 1945 ed entrai in quella
specie di bistrot, l' unico posto dove si potesse bere
del caffé e sgranocchiare un croissant. Si scendeva
una scaletta di pietra, bisognava fare attenzione a
non urtare la testa e si arrivava in un luogo
rettangolare che sembrava ideale per far risplendere
lo spirito della libertà riconquistata dopo i funesti
anni nazisti dell' occupazione. L' oscurità del
"Tabou" era squarciata dai lampi del nostro
entusiasmo". E com' era una serata al "Tabou"?
"Sembrava il centro del mondo. Allora, io non ballavo
su quella pista indiavolata che fronteggiava il
bancone del bar. Ero una ragazza chiusa in me stessa,
marcata dall' orrore della guerra. Ero stata in
carcere, mia madre e mia sorella erano finite in campo
di concentramento. Non volevo più comunicare con gli
esseri umani. Ma c' era Boris Vian con la sua tromba e
i suoi fratelli. E Boris cominciò a salvarmi dalla
mia depressione proprio al "Tabou". Mi parlava con
dolcezza. Tutti parlavano con dolcezza ai giovani, i
Maestri offrivano il sapere senza costringerci all'
inchino". Come si comportava Sartre? Come si
comportavano gli altri? "Sartre, come faceva al Flore,
spiegava la sua filosofia o discuteva della sua
rivista, i "Temps Modernes". Queneau tracciava disegni
e parole (ora più preziose della pietra filosofale
perché introvabili) sulle tovaglie di povera carta
macchiata di vino rosso e di altri intrugli. Ci si
poteva avvicinare a quegli splendidi personaggi,
persino a Mauriac che aveva il suo angolo al "Tabou".
Albert Camus ballava il boogie woogie, Anne Marie
Cazalis declamava le sue poesie, Merleau Ponty
focalizzava i punti essenziali dell'esistenzialismo,
Prévert scriveva abbozzi di sceneggiature sui
tovaglioli. Forse, "Les enfants du Paradis" o le "Portes
de la nuit" nacquero al "Tabou". Era quasi una
università in un contesto di jazz e smania creatrice.
Si eleggevano Miss Vizio e Miss Immondizia o l' Apollo
del "Tabou". Lei cosa cantava? "Io non cantavo ancora,
ma Sartre, tempo dopo, scrisse per me la canzone "Dans
la rue des Blancs Manteaux" e Prévert scrisse "Les
feuilles mortes". Stava per sbocciare il "Fiore Nero",
come mi avrebbero soprannominato. La "musa dell'
esistenzialismo", l' immagine mi fa un po' ridere ma
era così per la stampa di allora. Il mio pubblico,
oggi, va dai sedici ai vent' anni. Vengono da me e mi
chiedono: perché accetta di vederci. Rispondo: quando
avevo la vostra età , ho sempre trovato persone
disposte a vedermi. C' era ancora nell' aria quel
miracolo chiamato Liberazione, in tutti i significati
della parola. Al "Tabou" e altrove c' era la
libertà
di pensare, di esprimersi, di essere se stessi". . E
poi cosa accadde al "Tabou"? "Per un anno eravamo solo
noi: Boris Vian, Anne Marie Cazalis, gli scrittori
della "Nrf" di Gallimard... E poi cominciarono a
venire le contesse, le marchese e le baronesse di
Parigi e del resto del mondo. Ma ci si divertiva lo
stesso, anzi ci si arricchiva spiritualmente. E poi,
lei lo sa, anche un mito come il "Tabou" può
trasformarsi". Fino a pochi giorni fa sopravviveva.
Apriva dopo le dieci di sera, le guide turistiche ne
parlavano e c' erano, sui vecchi muri, le vostre
fotografie. C' era la foto di Sartre, se non sbaglio,
dei giorni dell' "Essere e il Nulla". Ma lei non sente
che si e' diffusa una sorta di volontà di annullare lo
spirito di Saint Germain-des-Prés degli anni
gloriosi? C' e' come invidia per quei giorni di
libertà totale. "Ripeto: c' e' solo la voglia di
arricchirsi. Il profitto, re e demone. E poi cosa
significa invidiare la "nostra" libertà? La gente,
oggi, ignora cosa sia la libertà . Nessuno,
apparentemente, se la sente di difendere Saint Germain-des-Prés. Chi e' intervenuto per impedire la
distruzione del "Tabou"? E se adesso si mettessero in
testa di distruggere il Flore? Lo sanno che c' e'
sempre Sartre al primo piano del Flore? E c' e' Simone
de Beauvoir, c' e' Doisneau, c' e' Prévert, ci sono
tutti gli altri... Chi distrugge la memoria di Saint
Germain des Prés ha un cuore miserabile".
Ulderico Munzi
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12 OTTOBRE 1993 -
CORRIERE DELLA SERA
- IO JULIETTE, PRIGIONIERA DEL MITO
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PARIGI. Domenica
pomeriggio, all' Olympia: ci siamo soltanto noi nell'
oscura e sacra platea, tra quelle pareti nere, sotto
quel soffitto blu reale, in una di quelle poltrone
rosso fragola. Un luogo, anzi un tempio "orribilmente"
splendido e pieno di grandi fantasmi che ti osservano.
Un chitarrista, sul palcoscenico, accorda il suo
strumento e accenna qualche nota delle "Feuilles
mortes", poi di "Si tu t' imagines". In qualche
angolo, scommettiamo, ci debbono essere anche Jacques
Prévert e Raymond Queneau, i "parolieri" di quelle
canzoni. Mentre un tecnico grida di deviare il fascio
di luce d' un riflettore, un soffio di vento gelido
percorre la platea. Deve essere entrato Jean Paul
Sartre che scrisse, per lei, "Rue des blancs manteaux".
Ma lei dov' e' ? "Madame Gréco l' aspetta nel suo
camerino", dice, all' improvviso, un custode che
sembra uscito dal nulla. Eccola, con il suo abito nero
e con i suoi immensi occhi neri, nel camerino numero
4. Il "suo" camerino. Juliette Gréco deve
affrontare l' ultima prova prima dello spettacolo.
Questo suo ritorno all' Olympia, fissato per questa
sera, è
annunciato da giornali e tv come fosse un' epifania,
una manifestazione della divinità . La "jolie mome",
la bella ragazzina, farà rinascere la leggenda di
quel Saint Germain-des-Prés del dopoguerra. E farà
nascere, di certo, altre leggende perché un paroliere
come Etienne Roda Gil le ha offerto nuove magiche
parole da cantare. Le diciamo: lei e' l' erede di una
pariginita' intellettuale che tutti rimpiangono. Qual
e' il suo rapporto con il mito Gréco? "Nessun
rapporto, siamo soltanto dei buoni vicini. Ci
salutiamo, ma non sappiamo nulla l' uno dell' altro.
Rifiuto d' essere una statua. E poi mi hanno fissata
in un' immagine sin da quando avevo vent' anni. Le mie
violenze sono le stesse, solo l' involucro e'
cambiato. Sono sempre una donna in rivolta. Come non
esserlo? Come non sentire l' urgenza intima di
battersi contro la morte, la guerra, la fame, l'
orrore, la disoccupazione? Essere disoccupati
significa essere vuoti, inerti. I giovani, in Francia,
in Italia e in altre terre occidentali, contavano su
una vita diversa. Pensi, chiedevano "solo" lavoro.
Certo, se lei va in India, si rende conto che e'
pazzesco lamentarsi. Noi siamo dei privilegiati anche
nella sofferenza". Non e' stanca dell' immagine di
Saint Germain-des-Prés abitata da Sartre, Merleau
Ponty, Vian, Prévert, Simone de Beauvoir? Non e'
stanca di quegli spettri? "Stanca? Intanto cominciamo
col dire che la gente racconta un Saint Germain-des-Prés che non ha vissuto. Io posseggo
ciò che ho
vissuto, porto dentro di me quel magnifico capitale di
forza, dolcezza, intelligenza, tenerezza, generosità
... E tutto mi e' stato donato". La "musa" di Saint
Germain-des-Prés e' fedele. "La "musa" dell'
esistenzialismo, la "musa" che sapeva di zolfo...
Permetta che rida. Emanavo solo il profumo magico
della gioventù. Tutto sapeva di gioventù a Saint
Germain-des-Prés. C' era il soffio della speranza e
dello spirito. C' era la gioia della libertà
riconquistata. E poi c' erano loro, i "maestri".
Già, perché l' epoca dei "maestri" e' finita. "Mi
offrivano il sapere senza costringermi all' inchino.
Non si ubbidiva, non c' erano regole. Si "frequentava"
una sorta di università libera, l' università della
terrazza di un caffé. Sartre, Merleau Ponty e gli
altri c' invitavano al loro tavolo, erano disponibili
e parlavano con noi. Non eravamo noi a fare il primo
passo. Io ero terribilmente timida, quasi muta, dicevo
solo buongiorno, arrivederci e soprattutto "merci".
Sartre, Merleau Ponty, Simone de Beauvoir e Boris Vian
mi hanno salvata da un certo abisso dell' anima".
Salvata? "Ero come marchiata dalla guerra, ero stata
in carcere, mia madre e mia sorella erano state in
campo di concentramento. Non volevo più parlare, non
volevo più comunicare con la gente. Perché parlare
non era servito a nulla. Non ho avuto bisogno di uno
psicanalista. Un giorno Boris Vian mi ha detto: "Perché
non riesci a parlare? Vieni a trovarmi stasera". E io
sono andata a casa sua, a piedi, da Saint Germain des
Prés a Montmartre. E lui, accarezzandomi i capelli,
mi ha parlato dolcemente, mi ha posto delle domande
che mi scaldavano l' animo e io, di fronte a tanta
generosità, ho ricominciato a parlare. Ho riavuto
fiducia nel potere della parola". Dove trovare, oggi,
un altro Saint Germain-des-Prés? "Credo che stia
rinascendo nei giovani. Essi amano il nostro modo d'
essere stati giovani. La mia gioventù , la nostra
gioventù . Sta a loro prendere il ricordo e ridargli
vita. Debbono trovare un "luogo ideale", un "punto d'
incontro" e, soprattutto, i "maestri". Lei diceva: non
esistono più. Diciamo che sono introvabili, la gente
non si fida più degli "adulti", una razza che non
amo. Sartre era giovanissimo come "adulto". Forse, i
filosofi, i "maestri" di oggi (e ce ne debbono essere
di validi) non riescono più a vivere liberamente con
i loro allievi. La società di oggi è dura, non e' più innocente. I "maestri" hanno paura di parlare,
non si fidano, anche perché vanno a tentoni in tempi
così bui". Lei, un giorno, ha detto: cantare e'
combattere. "Perché il canto offre la possibilità di
esprimersi. E chi canta ha la fortuna di non essere
una donna politica o un uomo politico". Lei non ama i
politici? "L' estrema destra mi odia, anzi mi "deve"
odiare, lo spero ardentemente. Io sono di sinistra.
Lei mi dirà: cos' è oggi la sinistra? E io le dico che
è la dimensione della generosità e della
speranza. Ho sempre detestato i partiti politici, pur
essendo stata iscritta al partito comunista quand' ero
molto giovane, subito dopo la Liberazione. Ho
strappato la tessera, con rabbia, perché non era
lecito domandare un contributo in denaro a una ragazza
che aveva fame. Non comprendo perché si debba
appartenere a un partito, accettare la sua gabbia". E
così lei e' d' accordo con quegli italiani che stanno
demolendo i partiti? "Una soluzione molto sana. Anche
perché ritengo che sia necessario, in certi momenti
storici, ricominciare tutto. E un obbligo morale:
punto e a capo".
Ulderico Munzi
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21 GIUGNO 1993 -
CORRIERE DELLA SERA
- QUELLE CHIACCHIERE CON SARTRE AL TABOU
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Juliette Gréco
ricorda Cocteau. "E non mi piace tanto . dice . questa
parola "souvenir" quando si parla di Jean. Perché il
"mago" e' ancora presente, conserva una sorta di
attualità ". "Il film "Orphée", nel quale ebbi una
parte nel 1949, gira ancora nelle sale cinematografiche
del mondo intero. Penso che i nostri giorni abbiano
bisogno di poesia. E Cocteau e' un immenso poeta, anche
come regista". Se le chiedessi un flash su Cocteau? "Mi
viene in mente, appunto, la sua magia. Tutti si
esprimevano così in quei giorni lontani e irripetibili.
C' era, però, una specie di porta che conduceva nel
suo animo. Bisognava trovarla e, una volta trovata, si
scopriva un uomo sensibile e buono. La magia, dunque,
era solo apparenza". Non se la sente di criticarlo?
"Forse, il suo difetto era di essere troppo brillante.
Era difficile "sopportare" il vulcano della sua
intelligenza. Eravamo tutti scioccati da fiamme, lava e
lapilli che lui proiettava attorno a sé . "La gente
parlava male di lui, non si rendeva conto che Cocteau
era umanamente rispettabile. Sì , rispettabile: e' il
termine giusto. "Ogni sua parola era straordinaria .
prosegue Juliette ., la sua quotidianità era intessuta
di poesia. Strano, sento ancora le ali della sua
generosità che avvolgevano quella Juliette ancora
ragazzina. Cocteau sapeva donare. Si prendeva cura di
me, mi portava nei ristoranti, alle mostre, nella sua
piccola casa del Palais Royal. "Mi accettava com' ero.
Mi faceva scoprire il suo universo, i suoi incantesimi.
Aveva anche disegnato una collana per me. Diceva: "Tu
sei una ribelle e un giorno dovrai farti regalare questa
collana di rubini e diamanti, pietre rosse e bianche
alternate, come i tatuaggi dei condannati a morte di un
tempo, piccoli punti che indicavano alla lama il suo
percorso. Non ti spaventare, mia dolce e terribile
Juliette: la collana terrà lontana la morte".
Incontrò
Cocteau subito dopo la Liberazione e continuò a
frequentarlo fino ai giorni estremi. "Rammento che ci
cercava nel Quartiere Latino, nei locali di Saint
Germain-des-Prés, al "Tabou". "E si parlava, un po'
come con Sartre. Erano tutti e due disponibili, il
filosofo e il mago. Oggi non esiste più questa
accessibilità ai maestri, forse perché e' finita l'
epoca dei Grandi. "Lo spirito di Cocteau era, come
dire?, "gratuito". In realtà , non s' incontrava
Cocteau, era lui che veniva da noi".
Ulderico Munzi
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23 GENNAIO 1993 -
CORRIERE DELLA SERA - LA GRECO GUIDA LO SDEGNO DELLE DONNE
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PARIGI. "Sono pronta ad andare
in Bosnia. Non sono un soldato, ma posso essere utile",
dice Juliette Gréco. E dal tono della sua voce capiamo
che non sono parole buttate al vento. Ha firmato, giorni
fa, un manifesto contro i biechi militi dello stupro. Lei
li chiama così . Il suo nome, in quel manifesto, ha un
senso perché Juliette ha subito la barbarie nazista. C'
erano anche altri noti personaggi femminili: Annie Girardot, Catherine Deneuve, Françoise Sagan e la figlia di
Giscard D' Estaing, Anne Valerie. Si notavano anche
alcuni nomi del jet set, come quello della principessa
Caroline di Monaco. Lei appartiene alla cultura, Madame
Gréco, non e' una primizia dei rotocalchi come Caroline.
"Bah, sono fatti suoi. Ciò che conta e' che la causa sia
giusta. Quindi, dobbiamo dimenticare ciò che ci può
separare". Non e' la prima volta che la sua firma
racchiude tutto il suo orrore e la sua indignazione. "So
cosa significa, per una donna, quella spaventosa ferita
dell' anima. Non si può neanche sperare in una cicatrice.
E' una ferita che sanguina fino all' ultimo istante di
vita. Non guariranno mai, quelle donne. E' inaccettabile
ciò che accade in Bosnia". Il mondo occidentale nel suo
insieme e l' Europa dei Dodici si dilaniano in una sorta
di verbosa impotenza: e' questo il messaggio del
manifesto? "Il messaggio non e' rivolto solo ai serbi.
Voglio precisarlo. Io accuso anche gli altri, anche se non
posso includere i musulmani per mancanza d' informazioni".
Queste atrocità le ricordano d' essere stata una vittima,
non e' vero, signora? "Ci sono scene del mio passato che
sono come crocifisse nella memoria. Una memoria che e'
"viva", pulsante, perchè quelle scene mi passano ancora
davanti agli occhi come se si svolgessero in questo
preciso istante. E tutto ricomincia. La violenza, i campi
di concentramento... Anche chi non ha provato l' orrore
sulla propria carne dovrebbe ricordare. Mia madre e mia
sorella sono state deportate. Io sono stata buttata in una
prigione". E ha subito violenze? "La violenza comincia
dalla perquisizione. Non si può immaginare cosa nasconda
questa parola. Oggi leggiamo distrattamente sui giornali:
una persona e' stata perquisita. Non pensiamo a ciò che
significava, in altri tempi, questa procedura. Io fui
perquisita in modo abominevole. Frugavano il mio corpo,
capisce? Ecco perchè sono accanto a quelle donne della
Bosnia. Dire così è poco, come mi sembrano poche le
sillabe della mia firma sul manifesto. Sento il dolore
delle donne violentate. Sento la loro umiliazione. Il
manifesto non deve essere solo messaggio ma
partecipazione". Anche Amnesty International e poi
filosofi, scrittori, scienziati si sono uniti in manifesti
di denuncia. Lei ha firmato solo il manifesto del mensile
"Elle". "Lei vuol dire: perché un manifesto
di sole donne? Ma e' un' affare di donne, una vicenda che
riguarda soprattutto noi donne. Ci ferisce in ciò che
abbiamo di più prezioso e segreto". Lei è per un
intervento armato in Bosnia? "No. Non potrò mai
schierarmi a favore di un intervento armato. Penso che la
"parola" abbia ancora qualche speranza di fermare la
tragedia. So che i militari, laggiù , non vogliono
rispondere quando si chiede: perché violentate donne e
bambine? Anche i loro ufficiali debbono aver ricevuto l'
ordine di tacere. Proteggono l' azione dei loro uomini con
il silenzio. Un giorno dovranno renderne conto". E se la
"parola" si perdesse ancora nel vuoto? "In questo caso
dovrebbero essere le armi a parlare. Un pessimo sistema:
violenza contro violenza. Ma se l' umanità o, se vuole,
l' intelligenza si sono come prosciugate, si deve usare l'
altro linguaggio".
Ulderico Munzi
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