14 APRILE 1985 - MILVA,
ASTOR PIAZZOLLA E UN BALLO COSI' SENSUALE
-
BOLOGNA - Il tango è musica di sentimenti
trattenuti e poi improvvisamente liberati. Forse, più
che una musica, è uno stile di vita, una sensualità
trascesa. Meglio ancora: "è un pensiero triste che si
balla", secondo la stupenda definizione di Enrique
Santos Discepolo che Meri Franco-Lao riporta nella
introduzione al programma di sala di "El tango",
viaggio nelle ombre e nei chiaroscuri della musica
argentina condotto da Milva e Astor Piazzolla,
finalmente in Italia dopo i trionfi parigini di cui
abbiamo a suo tempo riferito (in prima nazionale a
Bologna sotto l' egida dell' Ater e della cooperativa
Nuova Scena). Astor Piazzolla è una guida
straordinaria, un musicista capace di rendere per
intero il sogno oscuro del tango tradizionale, ma di
dargli anche una vena di modernità, a tratti perfino
d' avanguardia. In altre parole, un creatore di suoni
che rispetta l' anima del tango, ma che non ha paura
di avventurarsi in altri territori, facendone una
musica in movimento, aperta. Così come quando ha
avvicinato la musica argentina al jazz; e non a caso
Piazzolla ama paragonare la nascita del tango nei
postriboli di Buenos Aires agli inizi del secolo a
quella del jazz a New Orleans. In più, nel tango c' è
un' altra componente che ci riguarda molto da vicino,
ed è la presenza italiana. Gran parte del tango nasce
dall' immigrazione italiana in Argentina (tuttora lo
slang del tango è pieno di termini italiani) e questo
aggancio, questa singolare e dimenticata parentela si
chiarisce mirabilmente quando al bandoneon di
Piazzolla si aggiunge la voce di Milva. Come può una
cantante italiana penetrare un mondo così
impenetrabile, uno stile nella sua autenticità così
legato alla terra d' origine? Ci riesce, e anche bene,
proprio in virtù di una familiarità sepolta in antichi
percorsi migratori, nel poter condividere
culturalmente lo stesso struggente rimpianto, la
stessa antica disperazione. La scena è spoglia. Due
porte ai lati estremi del palco e sulla destra
campeggia un albero sfrondato e secco, un oggetto
autunnale. Piazzolla si presenta in scena con i
quattro musicisti che lo accompagnano (chitarra,
violino, contrabbasso, pianoforte, e tutti con
inequivocabili cognomi italiani), e sono tutti vestiti
in nero come a sottolineare una specie di lutto dell'
anima, condizione che nel tango si dà per scontata,
come un punto di partenza nel quale casomai
riscattarsi per alcuni istanti di ebbrezza. Poi arriva
Milva, anche lei vestita di nero, ma laminato. E'
elegante, ma cammina sul palco a piedi nudi, come per
sottolineare non solo la dignità austera del tango, ma
anche la sua natura trasgressiva e selvaggia. E inizia
la carrellata attraverso la musica di Piazzolla,
vecchi e nuovi tanghi di un autore che ha lavorato con
i grandi maestri del passato (Carlos Gardel in testa),
che ha musicato parole di Borges e che si è spinto
fino a duettare col soffio baritonale di Gerry
Mulligan. Rimarrebbe deluso chi dal titolo così
totalizzante si aspetterebbe una antologia della
tradizione. Le musiche sono tutte esclusivamente di
Piazzolla, quindi è il "suo" tango a presenziare, ma è
sufficientemente ampio da contenere tutto quello che
dal tango potremmo aspettarci. La musica avvolge come
una corrente, si sviluppa tra guizzi, scatti
imperiosi, languori sensuali, si abbassa fino a
sussurrare e poi travolge, impetuosa, come un fiume in
piena. Milva segue la corrente, cercando di unire il
suo istinto popolare e l' educazione colta, ambedue
necessari per capire e rimandare al pubblico queste
musiche. Passa dai tristi umori di "Morire a Buenos
Aires" ai rimpianti di "Los Pajaros perdidos", dalla
giocosa follia di "Balada para un loco" alla romantica
brutalità di "Vamos Nina", alternando spagnolo,
francese e italiano, ricordando quelle che potrebbero
essere le tre lingue elettive del tango: l' italiana,
dove forse ha avuto origine nella notte dei tempi, la
spagnola dove è vissuto, e la francese, dove è andato
a morire. Milva cerca anche di modellare la sua voce
adattandola alle sonorità del gruppo, così da essere
talvolta strumento insieme agli altri, cosa che riesce
raramente per la prepotente e profonda personalità
della sua voce. Alcuni finali particolarmente intensi
scatenano applausi entusiastici come in "Che tango
che" e "Rinascerò", quest' ultimo un tango proiettato
nel futuro, come recita il sottotitolo, "Preludio per
l' anno 3001", dove la volontà di rinnovamento di
Piazzolla trova la sua più compiuta espressione.
Gino Castaldo
29 MARZO 1986 - MILVA A LONDRA CANTA BRECHT
TRA APPLAUSI A SCENA APERTA
- LONDRA - I maggiori critici inglesi la
paragonano alla Dietrich, alla Piaf, alla Callas.
La stella Milva ha illuminato questo scorcio della
stagione teatrale inglese. Il suo primo concerto
ha registrato un tale successo che i biglietti per
le altre tre repliche (l' ultima è in programma
per questa sera) sono andati tutti esauriti. Milva
canta Brecht il collaudato spettacolo messo in
scena da Giorgio Strehler per il Piccolo di
Milano, e che in Italia si è visto molto, ha
entusiasmato il pubblico del teatro Almeida. Un
teatro particolare, che si trova a Islington, non
in centro, in un quartiere che ha fama d' essere "radical-chic".
E il pubblico della prima era composto in
prevalenza da giovani che hanno applaudito
freneticamente. Non ci sono scene, nessun addobbo,
scarsi colori. E' Milva che deve sopportare, da
sola, tutto il peso dell' attenzione degli
spettatori, e riesce a incantarli con la sua voce.
Anche cantando perlopiù in italiano, riporta
indietro agli anni Quaranta, quelli della ferocia
nazista raccontati da Bertolt Brecht. I più
giovani, tra gli spettatori, ne hanno solo sentito
parlare, i più anziani ne hanno un vago ricordo;
ma la voce di Milva riporta tutti a quel tempo di
fuoco, suscita pena, rancore, desiderio di
giustizia. Quando Milva è apparsa, all' inizio
dello spettacolo, come una diva dell'
espressionismo tedesco: tutta bianca, un casco di
capelli nerissimi, gli occhi bistrati, le labbra
marcate da un rossetto scarlatto, avvolta in un
aderentissimo abito nero, e ha cominciato a
cantare i tre song da "L' opera da tre soldi", ha
subito avuto dalla sua il pubblico: attento, teso,
commosso, impegnato a seguirla nel suo drammatico
viaggio nel tempo. Assolutamente diversa nel
secondo tempo: i magnifici capelli rossi, tanto di
moda nell' Inghilterra dell' era della bella
principessa Sarah Ferguson, e un' aria da
superdiva, abbigliata di seta, sinuosa, ricca di
mimica, di agilità vocale. Il pubblico si è
sciolto del tutto: e il "Miserere Deutsch" ha
provocato grandi applausi, che sono continuati a
scena aperta. I critici stessi sono rimasti come
ipnotizzati; Mick Brown del "Guaridan" scrive: "la
sua evocazione del mondo di Brecht non poteva
essere più reale, palpabile. La sua esecuzione
delle ballate di Marie Sanders, della puttana
ebrea e della moglie del soldato, sono state
superbe, ricche di passione, d' una voce che
suonava". Ma, se il pubblico inglese ha mostrato
di amarla, di apprezzarne non soltanto la bellezza
e la professionalità, ma anche la passione, in
questo primo incontro con la nostra cantante,
Milva ha risposto con lo stesso calore. Per l'
occasione, aveva preparato anche un brano di
Mahagonny; in inglese, che le ha meritato altri
applausi, fiori, richieste di bis. Soddisfatta di
questa prima esperienza in terra d' Inghilterra?
Milva ci dice che qui, stranamente, si sente come
a casa, che l' Inghilterra le appare come un paese
di favole, e di favole meravigliose. E che medita
di tornare a cantare a Londra. E, certo, se terrà
fede alla promessa, non le mancherà il calore di
un pubblico che ha già conquistato in questo suo
primo incontro.
Paolo Filo Della Torre
5 OTTOBRE 1988 - RITORNA MILVA
E' LA VOCE DI LOLA - MILANO - E' come se l'
Angelo azzurro la inseguisse: nel corso degli anni le
si ripresenta davanti, esigendo ora la sua faccia, ora
la sua voce. Sembra quasi che tra lei e quel vecchio,
tragico amore della Germania inizio secolo ci fosse
una segreta simmetria. Milva si presta docilmente all'
inseguimento: Sono stata Lola-Lola in televisione,
poi, l' anno scorso, al Festival di Berlino, ero là in
cilindro e guepierre in una piazza gremita da
ventimila persone, a cantare le canzoni di Marlene.
Che cosa ci unisce? Forse il timbro profondo della
voce, e anche una sorta di istintività, l' essere
donne che non pensano due volte. Questa sera alla
Scala Milva va in scena, ancora una volta, in un
Angelo azzurro. Luciana Savignano è Lola-Lola nel
balletto di Roland Petit; Milva è la chanteuse del
cabaret maledetto. E' vestita di nero, un abito dalla
vita alta in stile inizio secolo, e i riflettori
illuminano ora la ballerina, ora lei dall' altro lato
del palco, voce e anima della stessa storia. Otto
canzoni, ma non più quelle del film di von Sternberg,
che Marlene in cilindro e guepierre cantava,
insolente, a cavalcioni d' una sedia. Canzoni nuove,
scritte da Marius Constant e Lou Bruder e pensate
apposta per la voce di quella che chiamavano un tempo
la pantera di Goro; canzoni che però riecheggiano il
cabaret tedesco anni Venti, le atmosfere alla Kurt
Weill. La voce di Milva si fa più fonda mentre sgrana
queste dure cantilene in tedesco. Hanno toni aspri,
beffardi, e fanno venire in mente le spietate
caricature con cui George Grosz ridicolizzava la
borghesia della Germania pre-nazista. Milva legge: "Es
liegen und kauern die Toten/ Im Schweizerkas der Erde..."
e traduce: "stanno accoccolati i morti/ nel groviera
della terra... fin che il tempo mastica il nodo: il
lordume allora si fa cielo". Si entusiasma a quell'
immagine di tombe simili a tane a un uso della lingua
tedesca spregiudicato come l' italiano di Gadda in "La
cognizione del dolore". Una canzone, l' ultima, è
dedicata al matrimonio: una ballata sprezzante contro
le convenzioni borghesi dove il vincolo coniugale è
definito ora un inferno, ora la peste sociale, ora
anche qualcosa di peggio. Parole insolite da cantare
alla Scala. Anche per lei, signora, il matrimonio è un
inferno? Beh, certo non sarei così violenta e così
cruda, ma che diffido dal matrimonio è vero. Io mi
sono sposata a ventun' anni, ma se mia figlia Martina
che ne ha venticinque volesse farlo, le direi di
pensarci molto, di provare almeno a convivere....
Soffia in queste canzoni uno spirito in qualche modo
affine a quello dei sessantottini che, proprio vent'
anni fa, inaugurarono a loro modo la Scala in un Sant'
Ambrogio storico, centrando i visoni delle signore con
uova appositamente stagionate. Milva è tra quelle
persone a cui, quando si parla di Sessantotto, si
illuminano gli occhi. Erano gli anni in cui giravo l'
Italia con il gruppo "Teatro e azione" di Strehler. Mi
ricordo, a Roma, una "Ballata del mostro lusitano"
continuamente interrotta da assemblee e discussioni.
Per me è stata la scoperta della politica, delle idee,
di un mondo che non avevo mai immaginato. Venivo da
Sanremo, e prima ancora da interminabili tournée nelle
balere. Sapevo solo cantare e sognavo una vita da
moglie borghese. Quegli anni, sono stati anche la mia
rivoluzione. Stasera, è per Milva la seconda volta
alla Scala, dopo "I sette peccati capitali" di Weill.
Le prove del balletto di Petit proseguono incalzanti
in tempi forse troppo ridotti e lei, aspettando
finalmente l' ora della sua prova, s' innervosisce, e
giura che nessuno le metterà i piedi in testa, e che
se anche son solo venti minuti di canzoni ha bisogno
di provare e di essere sicura. Nel nervosismo i tratti
del viso ancora molto bello si fanno più felini, i
capelli rossi indomabili ricordano un gatto che gonfia
il pelo. Ma chi, guardandola, pensasse che l' Angelo
azzurro e Milva s' incontrano spesso perché in fondo
s' assomigliano, cadrebbe in un equivoco. La Lola-Lola
di von Sternberg è una di quelle donne che hanno un
bisogno vorace di riconoscimenti da parte dell' uomo,
che vivono in funzione di questo riconoscimento. Ne
esistono ancora, di Lole: magari fanno un mestiere
modesto, la cassiera o la commessa, ma vivono solo per
gli uomini. Fra le più giovani però, fra le coetanee
di mia figlia, di queste donne non ne vedo. Chissà,
forse si stanno estinguendo. Per fortuna. Per lei la
storia della maliarda Rosa Frohlich e dell' infelice
professor Unrat sono solo una leggenda a cui dare per
una sera la propria voce, o un cilindro e un paio di
guanti con cui giocare una sera, in una piazza di
Berlino.
Marina Corradi
22 SETTEMBRE 1989 - MILVA:
ANCORA BATTIATO - MILANO - Qualche sera fa Milva
era a cantare alla Scala, poi a Parigi con Astor
Piazzolla per un megaparty tutto di vip. Adesso è di
nuovo a casa con Franco Battiato per festeggiare l'
uscita di un altro album realizzato con il musicista
siciliano. Instancabile, eccitata, Milva sembra voler
esorcizzare con l' attivismo e una sfrenata vena
eclettica i suoi cinquant' anni freschi freschi. Il
primo album con Battiato, "Milva e dintorni", porta la
data del 1982. E ora l' ex pantera di Goro, dopo un
bel disco con Vangelis, ripropone la sua particolare
affinità per il mondo dell' autore di "Fisiognomica"
con una seconda dose di canzoni pensose, eccentriche,
sentimentali. Insomma la tipica, personalissima cifra
stilistica di Franco Battiato. Il nuovo capitolo si
chiama "Svegliando l' amante che dorme", e sono otto
canzoni tutte molto suggestive e melodiche. Quasi
tutte inedite, eccetto "Atmosfera" e "No Time No
Space". Tra i brani più riusciti anzitutto "Una storia
inventata", una malinconica e dolce canzone d' amore
che parla di vecchi hotel di periferia. Molto
intriganti anche "La piramide di Cheope" e "Le vittime
del cuore", sulla stessa onda poetico-sentimentale a
cui ci ha abituato il Battiato migliore. Milva le
canta tutte alla sua maniera intensa e ricca di
pathos, ma a volte sa essere anche tenera e commossa.
Per queste tre canzoni, sono pronti altrettanti video,
due curati da Battiato e Luca Volpatti e l' altro ("La
piramide di Cheope") per la regia di Robert Gligorov.
Il videoclip di "Una storia inventata" sarà la sigla
di "Prisma", la rubrica culturale del sabato di Raiuno,
già a partire da questa settimana. Una curiosità: tra
gli otto brani, c' è anche un ironico "Angelo del
rock" che, con quel rock strascicato e ripetuto dalla
voce di Milva, fa il verso al "Flamenco rock" che
proprio lei enfatizzava tanti anni fa. L' amore tra
Milva e Battiato dura ormai dal 1981, da quando cioè
lei lo sentì alla radio in "Patriots". Confessa Milva:
Fu una scoperta. Gli telefonai il giorno dopo per
dirglielo e lui fu subito interessato a collaborare
con me. Adesso è successo lo stesso: ho ascoltato "Fisiognomica",
l' ultimo suo album, e m' è tornata la voglia. L' ho
chiamato: Che ne diresti di riprendere il viaggio
iniziato otto anni fa?. Preparato tra Milo, dove abita
Battiato, e Milano, l' album viene ora diffuso in tre
diverse edizioni per il mercato europeo: in italiano
per l' Italia, sempre in italiano ma con due canzoni
in più ("Via Lattea" e "Centro di gravità permanente")
per la Germania, e in spagnolo. Confermando la
proverbiale duttilità di Milva, Franco Battiato
racconta: All' inizio lei può avere anche qualche
resistenza, ma poi finisce per adattarsi a meraviglia.
In questo disco è riuscita a cantare note così acute
che non ha mai utilizzato prima, da vera soprano. Ma
la novità più succosa è che, per l' occasione, Milva
farà un vero tour nei teatri italiani. A parte quelli
con Piazzolla, è da tempo che non ne fa più uno tutto
suo. I recital, con le canzoni di Battiato nella prima
parte e un riepilogo di carriera nella seconda,
cominceranno dal Teatro Lirico di Milano il 29, 30, 31
ottobre e 1 novembre prossimi. Poi Milva sarà
impegnata con i concerti fino a Natale. Solo alcune
date: 6 novembre a Torino, 11 a Genova, 14 a Venezia,
22 a Bologna, 24 a Firenze, 4 dicembre a Bari, 11 a
Napoli, dal 14 al 17 al Sistina di Roma.
Giacomo Pellicciotti
18 MARZO 1992 -
MILVA UNA VOCE NELLA STORIA - ROMA - Perché mentire?
La serata al Sistina con Milva che proponeva il recital
"Canzoni tra le due guerre", partiva da un piccolo,
inutile, falso, e cioè che si trattasse di un nuovo
spettacolo, così come recita il programma di sala. In
realtà fu concepito e rappresentato già nel 1977, e
nell' anno seguente ne fu tratto anche un disco. Inutile
falso, perchè all' epoca fu un buono spettacolo,
unanimemente acclamato, e a riprenderlo non c' è nulla
di male, anzi. Una proposta del genere, ovvero il
tentativo di definire un periodo storico attraverso una
sequenza di canzoni, ci restituisce il lato migliore di
Milva, proprio quello un po' offuscato dalle prove
recenti e dalle proposte di "nuove" canzoni. Il recital,
curato da Filippo Crivelli, sceglie tra quei vent' anni
circa che separano le due guerre, quel tipo di liriche e
melodie che hanno guadagnato il fascino del tempo, la
maliziosa e suggestiva capacità di scivolare con
eleganza e potenza evocativa tra le maglie della storia.
Si comincia con "Lili Marleen", cupo presagio della
seconda guerra mondiale, e si finisce col più gaio e
vorticoso annuncio della prima con "'O surdato 'nnammurato".
In mezzo una fantasiosa tavolozza di tipologie della
canzone, tra scettici blu in odore di tabarin, creole
immaginate, grandi regine dello spettacolo, famiglie
dissestate o languidamente rimpiante, usi, vezzi e
costumi del mondo negli anni Venti e Trenta. A questa
rievocazione ben si prestava e si presta la voce di
Milva, piuttosto gonfia, reboante, naturalmente dotata
di un' enfasi che magari risulta piuttosto scomoda su un
pezzo di Battiato, tanto per citare alcune delle cose
nuove proposte in altre sedi da lei, ma che assai meglio
si addice alla intrinseca retorica di alcune canzoni
antiche. Bene dunque su pezzi come "Re di cuori",
"Creola" o "Balocchi e profumi", canzoni che o le si
propone con assoluta stilizzazione, oppure meglio
esagerarle, con pronuncia quasi cabarettista. Meno bene
su pezzi come "The man I love" di Gershwin, che al
contrario hanno bisogno di una certa leggerezza, di una
soavità che il timbro di Milva fa fatica a riprodurre.
Lo swing non è mai stato il suo forte, e neanche una
vocazione da interprete pura, in grado di cantare
qualsiasi cosa, alla Mina per intenderci. Le
caratteristiche della voce di Milva, e da questo punto
di vista l' intuizione di Strehler rimane
sostanzialmente esatta, sono essenzialmente teatrali. E'
una voce forte, dai toni bassi, con un vibrato molto
spiccato, che viene tutta dal diaframma e dallo stomaco,
poco dalla gola e niente dalla testa, tanto per citare
l' abituale distinzione che si usa fare sulle voci della
musica popolare. Quindi il suo campo d' azione è
limitato, e diventa autorevole soprattutto sulle canzoni
che si adattano alla dimensione del teatro musicale.
Funziona egregiamente su un pezzo come "Lili Marleen"
che può ovviamente solo essere recitato, per essere
credibile, o su pezzi come "September song" di Kurt
Weill che sottintendono una quinta teatrale di
riferimento. Lo spettacolo è opportunamente costruito su
un ritmo molto serrato, che non concede pause, e
impedisce di perdersi in discorsi fuori luogo, e ha il
pregio di proporre una ricostruzione storica, ovviamente
informale, fondata su libere associazioni, ma proprio
per questo efficace. E dalla sequenza vengono fuori
alcuni dei temi dominanti di quegli anni: l' esotismo,
in primo luogo, una certa vena di moralismo di costume,
come è ben esemplificato dal dramma di "Balocchi e
profumi", e al contrario un gusto malizioso della
perdizione, del fascino perverso della vita
trasgressiva. Si nota anche un certo attaccamento al
melodramma che la canzone "leggera" ancora manteneva
piuttosto forte, e un certo gusto del sentimento forte,
descritto a tinte molto vistose, e infine una decadente
mitizzazione di alcuni divi, come si può capire da "Chiove",
struggente, lacerante lamento scritto da Bovio e
Nardella in omaggio alla morte di Elvira Donnarumma che,
come si diceva all' epoca, cantò anche nel letto di
morte. Un buon suggerimento per una storiografia
anomala, ma al tempo stesso efficace, che attraverso le
canzoni possa ridarci non certo l' analisi razionale, ma
di sicuro il sentimento del tempo.
Gino Castaldo
2 OTTOBRE
1993 - E MILVA LA ROSSA DIVENTA ZAZA' - MILANO -
Neanche per la Biennale di Venezia. Un intero aereo di
giornalisti e addetti ai lavori, funzionari televisivi,
impresari teatrali, discografici giapponesi, ha
prenotato il volo per la Malpensa del 26 ottobre in
occasione del debutto al Teatro Nuovo di Milano di "La
storia di Zazà" interpretato da Milva con la regia di
Giancarlo Sepe. Da quando il Giappone è diventato una
meta abituale delle tournées canore di Milva ("a maggio
prossimo sarà la quattordicesima") i suoi titoli sono
saliti alle stelle e si parla già di una ripresa dello
spettacolo nell' impero del Sol Levante. Ad attirare l'
attenzione, a creare il clima dell' evento, oltre alla
presenza di Milva nel doppio ruolo di attrice e
cantante, un ruolo abbandonato per molti anni dopo la
sua fondamentale esperienza tutta brechtiana con
Strehler, c' è la garanzia di un copione scritto alla
fine dell' Ottocento dal direttore della Comédie
Parisienne che sembra baciato dalla fortuna, una sorta
di "passepartout" del successo in diversi campi e generi
dello spettacolo: un' opera di Leoncavallo interpretata
dalla soprano Mafalda Favero, e ben tre film, il primo
nel ' 23 con Gloria Swanson, il secondo di George Cukor
con Claudette Colbert e l' ultimo, in ordine di tempo,
nel '42, con la regia di Renato Castellani, con
protagonista Isa Miranda. Pierre Francisque Samuel
Berton, così si chiamava l' autore parigino, aveva preso
spunto per la sua storia ambientata in piena Belle
Epoque dalle vicende artistiche e sentimentali di Réjane,
cantante e diva famosissima del gaio vaudeville,
mescolando, secondo le rodate ricette del "populaire",
coloriture brillanti e abbandoni sentimentali di stampo
"melò" vissuti dalla protagonista, una mitica Diva,
dietro le quinte. "Una miscela di emozioni" ha detto
Giancarlo Sepe, presentando lo spettacolo sul
palcoscenico del suo teatrino, la Comunità di Roma, "che
ho mantenuto scivolando dai toni più leggeri,
rivistaioli, alla Cukor, della prima parte verso i climi
più cupi, passionali, drammatici, usati, ad esempio, da
Castellani, nella parte conclusiva che ancora stiamo
elaborando qui nel corso delle prove". Senza un copione
rigorosamente prefissato, attualizzando battute e
situazioni ad un' epoca che lo scenografo Uberto
Bertacca ha spostato verso gli anni '40 e '50, lo
spettacolo, con la collaborazione degli stessi attori, è
venuto fuori giorno per giorno secondo i modi più
sperimentali di una "professionalità atipica, informe
dove nessuno può utilizzare come copertura il proprio
ruolo". Anche le musiche originali, di Stefano Marcucci,
sono state aggiustate, perfino reinventate, in
palcoscenico, comprese le quattro canzoni composte
appositamente per Milva. E lei, Milva, come si è trovata
a lavorare in questo fervore d' improvvisazione
laboratoriale? Bene, ritrovando gli entusiasmi dell'
epoca delle sue prime esperienze teatrali, aiutata da un
personaggio che sente affine: "Come Zazà ho creduto nel
mio lavoro, ma anche, soprattutto nell' amore e nelle
esperienze". Altri legami con Zazà: "lo stesso carattere
mutevole capace di passare in un attimo dall' allegria
alla disperazione; e una fragilità, una grande
vulnerabilità di fronte ai ricatti e ai richiami
sentimentali". Aggiunge Sepe: "Questo è anche il segreto
del loro fascino e l' estrema furbizia che le accomuna:
cedere alle proprie debolezze per essere se stesse fino
in fondo".
Nico
Garrone
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