MILVA Selezione bibliografica

 

 

Parigi 1985 - Photo Richard Mellout - Collezione Sygma Premium - Agenzia fotografica Corbis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M' è capitato di incontrare Milva dopo la stampa del primo libretto sulle donne della canzone italiana (Mina, Milva, Vanoni e altre storie - Lato Side Editore). Avevo già incontrato Milva qualche anno fa, un po' di volata, a casa di Nanni Ricordi. Lì per lì ero stato colpito da un certo contrasto tra l'immagine da Divina (lunghe chiome, occhiali scuri) e una grande dolcezza nei rapporti umani, una assoluta disponibilità che si ritrova molto di rado tra le star divenute Mito che si trascinano dietro spesso caratteri incasinati dal successo. La prima cosa che m'aveva francamente stupito era questa sua naturalezza anche un po' timida, che contrastava con l'immagine del personaggio conosciuto al grande pubblico. Non sapendo bene come esprimere questa sensazione, quando m'è capitato di scrivere su Milva, ho creduto di dover accennare a un suo disagio intuibile ancorché poco manifesto. Ho aggiunto che era un peccato che questo disagio s'andasse sempre a rinchiudere nei Palazzi della Cultura di Stato. Ma stavolta ho potuto parlare con Milva con più calma, in quel di Roma, città notoriamente più rilassata di Milano, e debbo dire che oltre ad essere sempre molto bella, la Pantera è anche molto simpatica.

 

Non posso fare a meno di aggiungere qualcos'altro a quanto scritto, anche perché alcune correzioni sono d'obbligo. Anzitutto una cosa riprovevole: ho attribuito a Milva due canzoni che non ha mai inciso. En passant, dicevo che aveva cantato come tante altre colleghe Ciuri Ciuri (e non è vero), e più a lungo mi soffermavo su Les Gitans, che invece non è mai stata nel repertorio panterico (cappellata clamorosa del Manfredi!). Spero che il tribunale del popolo mi perdoni: ero in argomento, parlavo di un genere di canzoni abbastanza affini, ed ero stato ingannato da un articolo antico che menzionava il pezzo tra quelli eseguiti da Milva in Rai. Eppure bastava consultare la stessa discografia da me pubblicata per accorgersi che con "Gli zingari" Milva non c'entrava. La canzone era stata eseguita da Dalida, e poi da Villa e forse anche dalla Zanicchi in epoca più tarda e forse persino da Connie Francis (ormai non sono più sicuro di nulla). Insomma una sfiga tremenda: Milva a cui ho attribuito il pezzo, è forse l'unica cantante che non l'ha inciso mai. Spero che a questo punto voglia rimediare e lo incida molto presto. Grazie.

 

Per fortuna la chiacchierata con Milva non m'ha portato solo magre figure. C'era infatti una cosa che non sapevo, ma che risentendo vecchi dischi avevo indovinato d'istinto: parlando di Flamenco Rock e di Quattro vestiti, facevo un parallelo tra lo stile di Milva e quello di Frankie Laine. E in effetti Milva, quando andava per balere sotto il nome di Sabrina, interpretava proprio il repertorio di Frankie Laine: 3.10 to Yuma, eccetera. Con queste canzoni raggiunse subito una notevole popolarità nei locali del centro Italia, dove già prima d'essere Milva, girava a 70.000 lire a sera, cifra per allora notevole. Al punto che il suo impresario Savino si montò la testa e si ribattezzò Savino's. Nella balera funzionava allora la cantante "maggiorata" e destava una certa sorpresa questa ragazza magra coi capelli neri, anzi: "tutta nera", come dice Milva. Forse a questa sua "nerezza" originale si deve il soprannome di Pantera. Fu la Rai che, per seguire codificati canoni oggi misteriosi, decretò che bisognava "schiarire" la chioma della ragazza. Ma ai capelli veniamo dopo, restiamo in balera. Per accontentare un pubblico in attesa di curve, Sabrina si metteva sotto il vestito le mutandone e la canottiera del padre, tutte avvoltolate a fare volume. Odiava cantare, cantava per mantenere la famiglia. (E' forse qui l'origine emotiva del suo canto rabbioso?). Cantare le è diventato sopportabile solo più tardi, quando ha rappresentato per lei un modo di esprimersi, qualcosa di comunicabile anche al di fuori del giro delle balere. E' il teatro che le ha reso sopportabile il canto. Ritiene di dovere a Strehler una cosa fondamentale: saper stare in palcoscenico, aver vinto questo disagio. Ma non ritiene di dover essere sempre e per forza collegata a Strehler: il loro rapporto artistico risale al 1965, e nel frattempo sono successe molte altre cose cui Milva tiene. Tra queste, tre dischi d'oro conquistati in Germania, dove è popolarissima.

 

Arrivo qui al punto che più mi importava riprendere: scrivevo che Milva si era ritagliata uno spazio (lo spazio teatrale e lo spazio "colto" protetto dallo Stato) che le aveva permesso di non doversi confrontare costantemente con il mercato. Questa riflessione dev'essere un po' temperata, se si considera il successo europeo di Milva, una delle poche nostre cantanti esportate. Anche per il suo futuro italiano Milva mostra di non voler sfuggire questa verifica-confronto con il mercato: l'episodio della Rossa di Jannacci vuole non sia considerato un caso particolare, e ha appena inciso un nuovo LP con canzoni scritte per lei da Franco Battiato (c'ho la cassetta qui vicino alla macchina da scrivere, ma non oso sentirla per timore di lasciarmi andare ancora alla corrente delle aggiunte). Quel che è certo è che Milva rifiuta l'etichetta di "Cantante di Stato" (tra l'altro non ha amicizie politiche): credo sia più semplicemente una persona che vuole mantenersi disponibile a cambiare sempre, a cercare esperienze di lavoro e collaborazione artistica in ogni settore dello show-business, compresa quella parte di show (cospicua) finanziata dallo Stato, e perché no?

 

Veniamo ai capelli. Avevo riportato una frase attribuita a Milva da Cosmopolitan: "Devo ad un mio amico che fa il pilota questo colore dei capelli, mi porta l'henné dall'Arabia con cui curo anche la loro salute". Mi divertiva quest'idea del pilota che porta l'henné, e l'ho ripresa. Senonché Milva dice di non aver pronunciato mai questa frase, pare anzi che Cosmopolitan l'abbia presa da Novella 2000 che se l'era inventata: Milva si serve di prodotti italiani e non usa henné; ovviamente non parla in quello stile finto e dovevo pur svagarlo. Comunque l'ironia voleva essere sulla frase, non sul colore del capello di Milva, che a me piace molto, sicuramente fa spettacolo...

 

Torniamo a Milva e al chiarimento fondamentale per cui m'è sembrato interessante oltreché doveroso scrivere questa aggiunta: parlo del tema del "disagio" cui accennavo all'inizio. Credo che la cosa sia più o meno così: il professionismo di un personaggio dello spettacolo sta anche nel sapersi dare all'esperienza. Al centro di questo "darsi", soprattutto per i più disponibili e sensibili, c'è sempre una sensazione di disagio, che è anche quel quid di inappagamento che ti motiva a nuove ricerche, a nuove esperienze. Non è detto che i riconoscimenti della "Cultura" siano compensativi di questo disagio, che spesso non può essere colmato neppure da quelli (ben più ambiti) del mercato. Nel caso di Milva mi pare ora che il disagio non chieda affatto d'essere cancellato con la spugna delle "posizioni conquistate", vuole mantenersi aperto a nuove verifiche. I giochi son tutt'altro che fatti, e la Pantera darà nuove sorprese.

 

P.S. E' probabile che presto altre aggiunte dovranno aggiungersi, dato che ho scritto di molte persone. Sarebbe meglio scrivere sempre di morti, anche perché i vivi si incazzano. Ma d'altra parte lo stile di questo tipo di libri, che si comprano in stazione e si leggono in treno, credo debba privilegiare la sollecitazione, la stimolazione di chi legge, e magari far venire la voglia di riascoltare i dischi, di ripensare un personaggio su altre basi che quelle "codificate". E quindi più questi pezzi di carta stampata si mantengono aperti, quasi "riflessioni in corso", meglio è."Tutto è vanità", dicono le scritture, e la vanità ha questo di interessante: non è mai definitiva.

 

LA STRAGE DELLE INNOCENTI - GIANFRANCO MANFREDI - LATO SIDE EDITORI (1982)

 

 

 

 

Nell'esaminare le interpretazioni di Milva del repertorio di Battiato una cosa salta immediatamente all'occhio: mentre Alice è la "sacerdotessa" del rito artistico e trascendente ideato e fondato dal musicista siciliano, Milva ne è solo la raffinatissima e squisita, grandissima e versatile interprete, sapendo trascorrere da momenti di una sussurrata indecisione emotiva ad esplosioni di rara pienezza, attraverso modulazioni pensose e riflessive. Si avverte, però, un distacco - ma non si tratta di un demerito - tra colui che ha fatto luce dentro se stesso, nella parte più riposta di sé, e ne ha tratto semi di saggezza, e colei che porge, comunque con grande attitudine riflessiva, queste "perle" a coloro che desiderano interiorizzare un'emozione, una sensazione, una tranche d'esprit. In mezzo sta l'interpretazione, appunto inter, che è sempre mediazione, che smorza, in qualche modo l'impulso originario, anche perché se ne appropria in parte, e quindi ne rimanda il riflesso: dall'oro all'argento. Dal Sole alla Luna. Entrambe polarità indispensabili peraltro.

 

Il fatto è che Milva è grandissima interprete, ma è e rimane Milva; Alice, al contrario, è Battiato, e Battiato è Alice. Dice Milva che lei ha "cercato di entrare nel mondo di Franco". "Mi sento molto vicina al suo mondo, anche se non riesco a penetrarlo appieno, in quanto io sono aperta, mentre lui è come una porta chiusa". Ecco, la spiegazione è qui. Franco non si capisce. Razionalmente, s'intende. O si è come lui, oppure resta una porta chiusa. Non c'è niente da capire: c'è solo da con-sonare, da con-vibrare con la sua stessa lunghezza d'onda. Ed è il larghissimo seguito che ha la sua ricerca musicale e spirituale da parte di un pubblico sempre entusiasta ci fa ancora ben sperare che per questo nostro povero mondo non è ancora arrivata la fine... E' ormai tempo di risvegliare fuori e dentro di noi "l'amante che dorme" (ogni riferimento al risveglio della immensa energia che, secondo il tantrismo, è latente alla base della spina dorsale dell'uomo - Kundalini il serpente - è esattamente ed accuratamente ricercato).

 

Dense e grandi le interpretazioni del repertorio di Battiato da parte di Milva fin dall'album Milva e dintorni (1982): Alexander Platz è un capolavoro e potente è la voce di Milva, fredda come il mese di febbraio, "c'era la neve", e quel sussurro finale "ti piace Schubert?". Bellissima anche la voce disperata e perduta che in A cosa pensi (come si scava dentro!) chiede: "o pensi a me delle volte?". Siamo troppo perduti dietro alla "voglia di scappare / dai campi di sterminio / che questa civiltà produce / senza tregua né pudore". "Mentre la gente dorme". Sì, svegliamo l'amante che dorme! Che non dorma troppo a lungo. I tempi sono maturi. Se non ora, quando? Oggi che l'angelo del focolare (ascoltare Le donne) si è trasformato in "angelo del rock" chiuso in un juke-box. "E da quanti secoli si sta girando a vuoto sotto il sole?". In un tempo che ha visto due immense rivoluzioni, ci dà i brividi questa Milva che grida "Capitano / io non vorrei sparare / ma voglio essere libero per poter amare". E' un'epoca ormai al tramonto: com'è lontana quella corazzata Potemkin del 1905, che è entrata a far parte del nostro immaginario, grazie alla quale "la libertà sale dal mare". Potemkin è stata scritta da Roberto "Juri" Camisasca, lo schivo e ascetico amico di Battiato, che ha collaborato spesso con lui, e ci ha dato delle produzioni intrise di profonda spiritualità, degne di un mistico. Camisasca ha anche scelto la via del chiostro, abbandonandola dopo circa undici anni. Suo è anche l'ermetico brano La piramide di Cheope, dove Milva riesce a darci anche una timbrica vocale misteriosa e suggestiva di stimoli di ricerca interiore: sinonimo di enigma. la piramide di Cheope ci dovrebbe anche svelare l'arcano del contrasto delle umane cose, "guerra e pace sotto il cielo / chi tiene schiavi gli uomini" (come non pensare, ancora una volta, a Il Re del Mondo?).

 

Per chi avrà la pazienza di meditare in cima alle scale di quella piramide, il buio potrà essere improvvisamente illuminato da un'esplosione di Luce: vero "sole nella pioggia". Tutto sta ad essere, quando è il tempo adatto - "lungo le contrade nella prima sera" - "in sintonia con l'atmosfera". Solo allora - "genio favente", esclusivamente se i Numi saranno favorevoli - si svelerà anche il mistero del prendersi e del lasciarsi degli esseri umani, i motivi per cui "le vittime del cuore / vivono di ideali / cercando un nuovo dolore / che porterà delle ferite speciali". Sa di magnete, sa di metallo, sa di alchimia, quella voce con cui Milva entra nella realtà delle cose e di lui e di lei e di tutti gli esseri in I processi del pensiero... Complimenti, Milva: questo bel sodalizio con Franco ci  ha donato un altro squarcio di assoluto. Con buona pace dei critici, più di qualche volta non benevoli: ti preferiscono cantante del tabarin o interprete dei canti della libertà. Ma non hanno capito (o fingono di non capire) che la sola, vera unica libertà è quando "attraverso il respiro sotto il mio controllo / sento il mio sangue la mia forza / ed entro nella mia realtà". (I processi del pensiero).

 

CENTRO DI GRAVITA' PERMANENTE - MAURIZIO MACALE - BASTOGI EDITRICE  (1997)

 

 

 

Si chiama Milva, detta anche la rossa, ma quando la conobbi io, per la prima volta, veniva definita la Pantera di Goro. Se la Vanoni è l'opposto di Mina, Milva è l'esatto contrario di tutte e due. Ornella parte dal teatro del Piccolo di Milano per approdare alla canzone. Milva parte, invece, dalla melodia all'italiana per arrivare fino a Strehler. Io l'accompagno, in questo percorso che ha del meraviglioso, per un discreto tratto. Poi la perdo di vista. Eppure ogni volta che penso a lei stupisco e mi chiedo ancora oggi dove e come Milva sia riuscita a trovare tutti gli elementi utili, oltre al coraggio, per arrivare sino in cima: e a che razza di altezza, accidenti!

 

La Milva che conosco agli inizi della sua carriera è il liofilizzato di tutto quanto la provincia è in grado di offrire. Una voce meravigliosa, per la verità, tanto che io la definisco subito la Milano-Sanremo della canzone italiana: vale a dire la classicissima, quella che in termini ciclistici è la corsa "storica" di tutte le stagioni. Ma quando smette di cantare e apre bocca soltanto per parlare allora sono veramente guai seri. Non sono un purista, né amo le finezze linguistiche, anzi talvolta il mio vocabolario è piuttosto pesante e qualche volta mi capita di lasciarmi andare. Però la Milva prima maniera mi batte di parecchie lunghezze. Non mi sono mai permesso di dirle nulla, in questo senso, sia ben chiaro. Però ogni volta che apriva bocca io speravo soltanto lo facesse esclusivamente per cantare.

Oggi veramente mi chiedo come abbia fatto l'ex signorina Biolcati ad imporsi in modo talmente vistoso e sicuramente meritato ai vertici dello spettacolo internazionale. Poi rivedo un poco tutta la sua carriera e mi convinco sempre più che Milva può essere, a buon diritto, giudicata come un vero e proprio fenomeno costruito in laboratorio. Alla Bussola, come cantante, se la cava benino: senza strafare si merita cordiali applausi da un pubblico che però non si lascia andare completamente come fa, invece, con Mina o con la Vanoni. Io non sono granché ottimista sul futuro di questa cantante dalla testa già sufficientemente rossa (non quanto ora, naturalmente) e dalla voce poderosa. Sbaglio clamorosamente e ora chiedo scusa. Ma mai avrei potuto immaginare, allora, che dal bozzolo di una ragazza di provincia sempre molto impacciata e certamente non "à la page" sarebbe venuta fuori una farfalla di così grande bellezza: sia fisica che artistica.

 

Il mistero Milva, per me, è paragonabile al mistero Moser o al mistero Messner: tanto per usare paragoni sportivi. Che poi misteri non lo sono per niente. Dietro il campione del mondo di ciclismo c'è tutto il lavoro, infatti, del professor Conconi e di una certa scienza. Dietro il fenomeno Messner schiere di medici e di studiosi. Alle spalle di Milva il nome e le capacità di Strehler, il tocco di Valentino e... tanta, tanta buona volontà. Sì, perché sarebbe ingiusto non dare a Milva ciò che le appartiene di diritto. La cocciutaggine, ad esempio, che è sinonimo di assoluta caparbietà e, alla fine, di sano realismo. Rido come un matto dentro di me quando, una sera, in macchina dopo un recital la sto accompagnando in albergo. Ovviamente mi guardo bene dall'esternare i miei sentimenti, ma dentro sono tutto un divertimento. Perché lei mi dice: "Io ho un solo obiettivo nella vita. Quello di fare l'attrice. E ci riuscirò. Cantare non mi basta. Non mi può bastare". E poi infila una serie di frasi molto rustiche. "Questa è matta", penso io, senza cogliere nel tono della sua voce, ma soprattutto in quello sguardo gelido e programmatore, la vera essenza di un desiderio per nulla buttato al vento. Chiedo scusa, ma non avevo proprio capito un accidenti. Non stavo portando in albergo una donna, ma un robot. Un magnifico robot dai capelli rossi.

 

NON HO MAI PERSO LA BUSSOLA - SERGIO BERNARDINI - GARZANTI EDITORE (1987)

 

Pagina inserita il 17.12.2013