.
Rassegna Stampa 2004-2007
2.10.2007 - IL GIORNALE -
MILVA RAPINATA IN CASA: DUE ORE DI
TERRORE - (Milano)
- Era appena rientrata dal Piccolo Teatro dopo le prove del
concerto Milva canta Brecht che si sarebbe dovuto tenere
oggi a Berlino. Stanchissima, era crollata dal sonno. Per
venir svegliata di soprassalto, poco dopo, dalle luci delle
torce elettriche di tre ladri. È cominciato così il sabato
terribile di Milva, sorpresa e rapinata nella propria
abitazione da tre malviventi.
Sono da poco passate le 19 quando la cantante, da poco
rientrata, si addormenta nella sua
abitazione in zona Porta Venezia, in pieno centro a Milano.
Improvvisamente, viene svegliata da due ladri che, calandosi
dal piano superiore, si erano introdotti furtivi
nell’appartamento attraverso una portafinestra: "Stai ferma e
buona e non ti facciamo niente", intimano alla cantante. A cui
fanno seguire lo scontato motivo dell’inattesa visita. "Fuori
tutti i soldi e i gioielli - le urlano - e dicci anche dov’è
la cassaforte". L’artista tenta di spiegare ai ladri di non
possedere alcuna cassetta di sicurezza, ma di avere in casa
cinquemila euro che aveva recentemente prelevato per il suo
imminente viaggio a Berlino. E di non avere nessun problema a
consegnarglieli. "Quando ho tentato di spiegare ai ladri di
non avere una cassaforte - racconta Milva - loro hanno reagito
in malo modo: per un attimo ho temuto il peggio. Ho provato a
calmarli dicendo che mi dispiaceva, ma che potevo dargli i
cinquemila euro che dovevo portarmi a Berlino". Ma per i
malviventi non è abbastanza: strappano i fili del telefono e
battono armadi e cassetti dell’appartamento alla ricerca di
preziosi e gioielli: alla fine riescono a portar via più di
settantamila euro
tra denaro in contante e preziosi, tra cui due Eleuteri che
la cantante aveva ricevuto durante la sua carriera. Finalmente
soddisfatti del bottino racimolato, i due ladri - spronati
dalla richiesta di un terzo malvivente, che per tutto il tempo
aveva fatto da palo - abbandonano l’appartamento di Milva.
Prima però la fanno stendere sul divano, le danno un colpo in
testa e la minacciano: "Stai ferma e non guardare da dove
usciamo". La paura è troppa per l’artista che non tenta
nemmeno una minima reazione: i tre lasciano così indisturbati
l’abitazione con il cospicuo bottino. Alla cantante non rimane
che dare l’allarme e fornire un primo identikit dei tre
malviventi: "Uno è sempre rimasto fuori dall’abitazione -
racconta - e non ho potuto vederlo. Il più brusco dei due
aveva una sciarpa che gli copriva il volto e sembrava essere
uno slavo. L’altro invece parlava addirittura l’italiano:
aveva un accento delle mie parti". Naturalmente, la
rapina nell’abitazione della pantera di Goro solleva nuovi
interrogativi sull’effettiva sicurezza del centro milanese.
Non più tardi dello scorso mese di giugno, infatti, stessa
sorte era toccata ad Adriano Galliani. In quel caso, i ladri
si erano intrufolati nella sua abitazione al secondo piano di
un palazzo in via Bigli - in zona Montenapoleone, a due passi
dalla sede rossonera - e avevano portato via la cassaforte con
gioielli e preziosi di famiglia. Quantomeno avevano
risparmiato al vicepresidente del Milan lo spavento di
trovarsi in casa ospiti indesiderati: l’appartamento era
completamente vuoto e a dare l’allarme era stata la domestica.
E con ogni probabilità, questa era la stessa speranza che
avevano anche gli inattesi ospiti di Milva, che
conclude: "Sono stufa. Andrò a vivere in albergo".
Andrea Bianchini
...........
10 .2.2007 - IO DONNA -
INTERVISTA - "Ho un timpano perforato. No, non è otite, è
stress". Milva ha appena recitato a Gorizia La
Variante di Lüneburg spettacolo tratto dal libro del
premio Strega Paolo Maurensig. Argomento spinoso, ma la
cantante non ha mai seguito strade semplici: i testi di
Brecht, Weill, Calvino,i tanghi di
Piazzolla, le poesie della Merini, scelte complesse
che l'hanno portata a un successo internazionale, star
indiscussa nei teatri di Germania e Giappone. Impegni
alternati a una presenza curiosamente assidua nel campo della
musica leggera, compreso il suo massimo rito, il Festival
di Sanremo, al quale la rossa ha partecipato per 14 volte,
una in più del recordman Claudio Villa. E dal 27
febbraio torna in concorso al teatro Ariston con un testo
scritto da Giorgio Faletti, The show must go on.
"Sempre se sarò in grado di
farlo, ho dei grossi problemi".
Stanchezza?
Non solo. Cose insospettabili a
cinquant’anni arrivano a sessantasette.
Non nasconde l’età?
Serve? Mica posso tornare indietro.
Sembra che lo stress sia
dovuto al Festival. Le dà fastidio tornare a San Remo?
Certo che mi dà fastidio. Ma c’è
stato tutto "Ma Milva di qua, ma Milva di là". I discografici,
anche Faletti mi hanno voluta convincere. Lo sanno che
non sto bene, significa che finisco Brecht, poi corro a
Sanremo, non posso neanche dormire…
Insomma l’hanno convinta.
È che a questo disco ci tengo. Canto il
mercoledì, poi giovedì e sabato perché il venerdì è la serata
riservata ai big.
Lei non è un big?
È big solo chi ha venduto un certo
numero di dischi. Avendo io cantato in Germania non ho titoli
da big di Sanremo. Però ho un’ onorificenza del presidente
Horst Köhler: Ufficiale dell’Ordine al Merito della
Repubblica Federale di Germania, per aver portato il mio
lavoro in tutta Europa. Mi accontenterò.
Nota polemica.
Il Festival una volta aveva senso,
quando ero bambina era un sogno. Ci sembrava che alla radio
cantassero gli angeli. Poi venne la tv e caddero molte
illusioni: l’angelo Nilla Pizzi era una signorotta
bolognese, Carla Boni aveva i denti radi, Angelini
era un simpatico botolo. Meglio così, siamo caduti nella
realtà. Quella di oggi è solo televisiva, contano
presentatori, vallette, comici, giullari e, per ultime, le
canzoni.
Lei non appare spesso in Tv...
Lo credo dopo 5 anni di
governo Berlusconi.
Si ritiene un’epurata? Non
come i casi più eclatanti, ma le mie simpatie politiche sono
note. Ho anche scritto a Del Noce chiedendogli perché
non potevo essere invitata in certe trasmissioni. Tenga
presente che tre anni fa ho fatto un disco importante, secondo
me, con le canzoni della poetessa Alda Merini. Non sono
riuscita a portare un pezzo della Merini in
televisione.
Neanche su Raitre?
Neppure. In Tv passano sempre gli stessi: la Pausini,
quel napoletano, quel ragazzo un po’ pelato, quello che sta
con la Tatangelo? Ah ,sì, D’Alessio. Massimo
Ranieri, Lucio Dalla dopo che ha ammorbidito i
toni. E il bolognese che ha cantato almeno un milione di volte
"C’era un ragazzo che come me...".
E adesso che abbiamo un nuovo
governo...
Almeno si discute. Questa
cosa dei Pacs, per esempio, speriamo si concluda bene. Ma
dico, la libertà per cui ci siamo battuti deve passare per la
Chiesa? Chi è che decide cos’è una famiglia, quando si può
costituire, perché si deve sciogliere? Per me è il cittadino.
Lei sciolse la sua e fu molto
criticata. Parlò di quando lasciò suo marito Maurizio Corgnati
per Mario Piave.
Ebbero anche ragione a criticarmi. È
stata la più grande cavolata della mia vita. Ero giovane,
avevo 28 anni,fui attratta da un mio coetaneo.
Suo marito era più anziano di
lei? Maurizio aveva 22 anni
di più di me. Appena lo conobbi me ne innamorai. Stavo a
Torino da una mia zia materna e cominciai a frequentare la sua
casa e i suoi amici. Ci siamo sposati che avevo 21 anni, sei
mesi dopo il primo Festival.
Famiglia benestante torinese.
Era spaventata da quel nuovo ambiente?
Ne ero affascinata, incontravo
Fruttero e Lucentini, Marco Troppa. Le
passioni di Maurizio erano le letteratura, cinema , pittura.
Cominciai ad apprezzarle anch’io.
L’ha guidata Maurizio? Ha
fatto di più. Ho cominciato a studiare Inglese, poi
pianoforte. Ero felice, mi sarebbe piaciuto smettere di
cantare: volevo fare la moglie, stare con lui. Era il '61,
Maurizio mi disse che avrei potuto diradare, cominciare a
selezionare. Continuai a partecipare a Sanremo, perché
all’epoca l’impegno si limitava alle serate del Festival.
Anche durante gli anni del
Piccolo continuò ad andare al Festival?
Mi aveva chiamato Paolo Grassi
per debuttare al Piccolo con i Canti della Libertà,
uno spettacolo che Maurizio aveva pensato per me. Come
aveva pensato Le canzoni del Tabarin o Canzoni da
cortile, cose che progettava con la casa discografica per
non farmi fare sempre canzonette. Al Piccolo nacque il
primo Brecht e l’incontro con Strehler. Ma avevo
un accordo con la casa discografica: se volete vado a
Sanremo tutti gli anni però mi fate fare quello che
voglio. Feci molti dischi e dieci Festival consecutivi.
Strehler non era geloso della
sua scoperta? Pensava che la mia popolarità potesse far
bene a teatro.
E il teatro faceva bene alla
sua popolarità? No, perché toglievo tempo alla promozione.
E al pubblico popolare non interessava che io facessi teatro,
anzi. Sembravo quella con la puzza sotto il naso,
l’intellettuale per forza. Oltretutto cominciavo a pretendere
canzoni diverse, volevo raffinare il mio repertorio.
Al Festival e andata fino al
72 con "Tango Italiano", "Ricorda", "Un sorriso"… Intanto con
Strehler che cosa faceva?
Con Strehler attraversavamo il '68.
C’erano momenti che io stessa non capivo. Eravamo sempre in
assemblea, anche con gli attori. Dicevo "Ma che cavolo
facciamo, non facciamo mai le prove?".
Si poteva contraddire il
maestro?
Assumendosene il rischio, sì. Se un
attore non riusciva a fare quello che lui voleva, lo prendeva
una specie di furore, gli mostrava la parte, imprecava,
bestemmiava, offendeva. Adesso capisco che le sue prove erano
lezioni straordinarie, ma all’epoca ci fu un piccolo incidente
diplomatico.
Quale? Fu nel '72 a
Parigi. Ero l’unica italiana del cast de L'Opera da tre
soldi, recitavo in francese che non conoscevo, ma non
provavo mai: Giorgio era impegnato con gli altri,
esasperato perché non trovava quello che voleva per il ruolo
di Mecky Messer. Un giorno chiesi: "E io? Quando
provo?". Esplose. "Ma cosa vuoi che stia a perdere tempo con
te!. Una prova di fiducia, ma io me la presi. E quando venne
la Aspesi a intervistarmi, le dissi che lui era un
genio ma non era umano.
Quando lesse l’articolo?
Urlò uno "stronza" da far venir giù il
teatro. "Io ti ho dato di qua, io ti ho dato di là". Aveva
ragione mi ha dato delle possibilità immense.
Nel frattempo il matrimonio
era finito... Si, già da qualche anno. E come ho detto fu
un errore. Mia figlia Martina aveva cinque anni, oggi anche
lei dice che forse suo papà poteva fare di più per tenermi. Ma
è andata così.
In amore ha fatto soffrire
molto?
Ho fatto soffrire e ho sofferto. Come
tutti. Ho lasciato un uomo che non dovevo lasciare; sono stata
lasciata da un uomo che mi voleva lasciare e mi ha fatto
trovare "per caso" le prove del suo tradimento.
Forse lei ha ferito più cuori.
Si riferisce all’uomo che dicono si sia
perso per me. Ma non è vero. Un crollo viene da molto più
lontano, è una condizione complessa . Le vere ragioni sono
nella complessità di una vita molto sofferta, e molti sanno
come stanno davvero le cose. Ma non mi va di parlarne.
Come ha vissuto la sua
bellezza?
Alla mia età non è il caso di parlarne.
Diciamo solo che ero "diventata" bella. Un tempo era così la
bellezza arrivava con la maturità. Adesso ti devi sparare
tutte le cartucce a vent’anni. Io da ragazzina ero
bruttissima, magra come un chiodo. Fu un vantaggio però,
perché fu per questo che mi mandarono a scuola dalle
Canossiane, a Bassano del Grappa. Almeno il collegio mi
piaceva moltissimo, ero brava a suonare, a ricamare.
Cosa centrava il collegio con
la magrezza?
Ero filiforme, pallida, oggi sarei stata
un modello, ma i medici dicevano a mia madre che ero
denutrita. Neppure le vacanza sull’Appennino servivano: dopo
un mese ingrassavo al massimo di un etto. In collegio invece,
dove non potevo scegliere cosa mangiare, ingrassavo e tornavo
a casa irrobustita. Con quella prospettiva si decise
addirittura di fammi proseguire gli studi dopo la quinta
elementare. All’epoca non era usuale, i governi democristiani
non ci pensavano proprio a innalzare l’obbligo scolastico. Ma
non fu possibile.
Perché?
A causa di un incidente: il Leoncino di
mio padre che mi riportava a Bassano finì in un fosso. Eravamo
solo un po’ ammaccati, ma coperti di fango. Immerso nel fango
era anche il mio baule con la biancheria del collegio,
contrassegnato, vorrei sottolineare, dal numero 17. Mia madre
lo prese come un segno del destino e fine della carriera
scolastica. Poi papà ebbe dei problemi economici e ci
spostammo da Goro a Firenze. Mi alzavo alle quattro del
mattino, cucivo sottogonne a sette lire l’una. Ma la città non
era per noi. Presi in mano la situazione: "Qui non ce la
possiamo fare non possiamo amare questa città, non è
l’Emilia". Dissi ai miei. E riuscii a convincerli a
trasferirci a Bologna.
A Bologna cominciò a cantare
sul serio? Due giorni dopo l’arrivo, accompagnata da mia
zia Norma, andai da un certo Savino’s, impresario di
balere che aveva impreziosito il cognome con una "s"
anglosassone. Nel suo ufficio campeggiavano cartelloni con
donne procaci dai nomi esotici: Sara Simmons, Vanna
Veri, chiome biondi e curve, perfette per le balere.
"Signorina le vede le mie cantanti? Lei è proprio terribile!".
"Ho una bella voce, credo di potercela fare, mi dia
un’opportunità". "Domani sera, concorso di voci nuove in un
locale di Riccione. Premio: 20 mila lire".
Non guardarono il fisico ma la
voce.
Il giorno stesso Savino’s mi fece un
contratto per ottantamila lire al mese. Per noi era la
sopravvivenza.
Come l’avete messa col modello
Sara Simmons?
Savino’s a naso aveva una vaga
conoscenza di Juliette Gréco e dell’esistenzialismo:
decise che avrei portato pantaloni neri di velluto,
maglioncino nero, fascia in vita e foulard al collo. Con i
capelli corti potevo far ricordare la Hepburn e divenni
Sabrina. Naturalmente il pantalone lo cucimmo io e la
mamma. Per sembrare meno stecchino, sotto misi un paio di
mutande lunghe di lana leggermente imbottite dietro, e un
reggiseno imbottito per suggerire rotondità che non avevo.
E chi non ha mai barato.
Quand’è che divenne Milva? Nel '60, dopo aver vinto il
concorso voci nuove su 7600 concorrenti. Era un concorso della
Rai, portava di diritto a Sanremo. Lì divenni Milva.
E Savino’s?
Si arrabbio moltissimo. "Ma come, sei
conosciuta come Sabrina". Vagli a far capire che valeva
solo per l’Appennino. (...)
......
25.2.2005
-
IL GAZZETTINO
- INTERVISTA - In oltre quarant'anni di
carriera, la raffinatezza musicale che è sempre appartenuta a
Milva - in questo periodo di nuovo in tournée in Germania e
Svizzera - si è andata man mano affinando, e lei è diventata
una delle interpreti più lontane dal semplice consumismo
commerciale immediato. Dopo gli esordi alla fine degli anni
Cinquanta, la sua prima incisione discografica sancisce il
preludio di una lunga e luminosa vita artistica. È infatti con
la versione italiana di Milord - che appartiene al glorioso
patrimonio di Edith Piaf, simbolo dell'identità nazionale
francese - che la "pantera di Goro" rivela una precisa
tendenza. Durante la serie infinita di concerti sulla scena
internazionale - moltissimi quelli dedicati a Brecht,
Kurt Weill, Piazzolla, solo per fare alcuni nomi - parecchie volte
si è fatta accompagnare dall'Orchestra di Padova e del Veneto.
Con le sue 14 partecipazioni al Festival di Sanremo, detiene
il record di presenze femminili. Se le si chiede di parlare
del personaggio che più ha inciso nella sua vita, la
dichiarazione di devozione che fa nei confronti di Giorgio
Strehler - il suo unico e grande pigmalione fin dal 1965,
quando la cantante inizia a lavorare per il Piccolo di Milano
- è assoluta e toccante. "Posso dire con sicurezza" dice Milva
"che se oggi, dopo oltre 40 anni di carriera, sono ancora qui,
e sono ciò che sono, è grazie a lui. Il cento per cento di quello
che so, l'ho imparato da Strehler. È riuscito a tirar fuori da
me il meglio, senza mai impormi nulla. La sua grandezza era la
sua umiltà: non era mai convinto di avere in mano la cosa
migliore, subito. Quando, ad esempio, mi chiedeva di
interpretare una frase come io sentivo, anche dopo la
convinzione di aver trovato la perfezione, voleva la riprova.
Desiderava dare il meglio al suo pubblico. Io sogno
moltissimo: faccio sogni di ogni genere, da molti anni. Ma
quasi tutte le notti vedo Giorgio, sempre in situazioni
riguardanti il lavoro: lo sogno sul palcoscenico, mentre sale
o scende le scalette, cosa che lui faceva centinaia di volte
ogni giorno; oppure sento che mi tocca, come faceva durante
una prova. E allora mi pare di avvertire i suoi sfioramenti,
la sua presenza magica accanto a me, presenza unica,
straordinaria. Fin dal primo incontro con lui sono stata
convinta di essere di fronte ad un genio. Era un uomo di
spettacolo di una potenza inarrivabile. Per me, non ce ne sono
stati altri come lui. E per ora è insuperato. Ci sono bravi
registi all'estero, a Londra, in Francia Ma credo che mai
potrò rivedere in teatro la poesia sublime portata da
Strehler". Qual è il segreto per riuscire a prolungare nel
tempo il successo? "In tutti questi anni di attività, ho fatto
dei lunghi periodi di ricerca, perché ho voluto sperimentarmi
in campi diversi. Non ho fatto come certe
colleghe che, ad esempio, dopo aver interpretato per un
periodo canzoni della mala - anche grazie all'opera di
Giorgio
Strehler - si sono stancate e sono tornate alla canzone
leggera. O come altre che, in quarant'anni di mestiere, non
hanno mai cambiato genere. Io mi sarei stancata da morire. Già
negli anni Sessanta, quando ero all'apice della notorietà
grazie ai vari Sanremo, feci un patto con la Ricordi, la mia
casa discografica, per essere libera da impegni dopo il
Festival, in modo da potermi dedicare a ciò che mi piaceva, a
ciò che davvero mi faceva crescere. Per me, è stato un bene
provarmi in cose diverse, anche se non sono molte, tutto
sommato. Sono famosa in Europa per aver interpretato Brecht, Kurt Weill,
Astor Piazzolla, Luciano Berio. Ho fatto
ancora delle piccole cose con Battiato e Theodorakis".
L'ultimo suo disco ha i testi di una grande poetessa come Alda
Merini. "Ho deciso di interpretare queste canzoni dopo aver sentito
che un giovane autore aveva musicato due stupende poesie di
Alda. Erano talmente ben costruite, che ho voluto vedere cosa
sapesse fare Giovanni Nuti con dieci brani. Ha lavorato
bene, ma l'operazione è riuscita all'ottanta per cento. È difficile
arrivare a cento la prima volta, anche se lui ha un grande
talento. A volte basta poco per allontanare il successo. In
televisione, ad esempio, può essere un'espressione del volto
che non piace, una semplice smorfia. Per svoltare, invece,
basta un piccolo quid di fortuna, il grande incontro
straordinario della vita". Per un artista che non sia celebre
come Milva, è difficile affrontare il mondo musicale stando
lontano dalla canzone commerciale? "Dipende da cosa un
giovane, cantante o musicista, cerca nella vita. A me piace
molto l'impegno ma, per questo, bisogna dare molto di più. Io
ascolto molto i giovani e, tra i tanti, mi coinvolge Mauro
Pagani, anche se non è più agli inizi. Elisa, Giorgia
e la
Pausini sono ragazze che hanno delle potenzialità. Si scrivono
le proprie canzoni - cosa che io non ho mai fatto - ma non
sono abbastanza curiose. Tra tutte, mi sembra più portata
Elisa. Giorgia fa testi troppo banali: non si può continuare a
fare la copia della copia della copia. Adoro Cecilia Bartoli,
che per me è il più grande mezzo-soprano del mondo. Ma, nella
musica leggera, non ho ancora trovato qualcuno che mi esalti.
Mi diverte Zucchero, nella sua follia; non mi piace ascoltare
Ramazzotti, perché mi disturba il suo cantare di naso; Vasco
Rossi mi ricorda molto i miei esordi, quando dicevano che ero
un animale da palcoscenico. Però, non so come facciano i
ragazzini ad amarlo. Probabilmente, è perché lui si presenta
come uno di loro. È riuscito a creare una simbiosi coi
giovani, per le cose elementari che dice. I ragazzi di oggi
non sanno più maneggiare la lingua. Dopo dieci frasi non sanno
più che dire. Ecco perché si riconoscono in quelle canzoni.
Poi, lui ha la potenza dei watt che l'aiuta. Lo ricordo ai
suoi esordi, sul palco di Sanremo, quando cantava e aveva una
specie di perdita d'identità nello sguardo. Era interessante:
si capiva che c'era qualcosa, e infatti è riuscito ad arrivare
alle masse. E' intrigante che un uomo solo riesca a
coinvolgere folle di oltre centomila giovani, anche ora che è
oltre i cinquanta". Un messaggio per i giovani che vogliono far
musica. "Studiare, studiare, studiare. Solo con l'applicazione
si arriva ad ottenere qualcosa. E abbiano tanta umiltà
nell'avvicinarsi alle cose, e tanta pazienza. Solo così si può
sfruttare il proprio talento".
Giuliana Fantuz
25.10.2004
- L'Unità -
SONO MILVA LA ROSSA -
Milva è un torrente di parole e di ricordi e quasi non fai in
tempo a porle una domanda che già ti risponde con ampiezza di
nomi, date, titoli canzoni. E' felicissima, dopo ogni recital:
così ha voluto definire anche le serate dedicate alla canzone
francese, di cui ripropone la storia recente attraverso i
successi di Bécaud, Aznavour, Piaf e Brel. L'abbiamo
incontrata qualche tempo fa, una sera nel giardino di Villa Chigi ad Ariccia, per la stagione dell'Accademia degli
Sfaccendati. Una Milva felicissima, anche perché ogni sera
riesce a far cantare in coro a ottocento persone La vie ne
rose e francamente nessuno se l'aspettava con tutto l'inglese
che che c'è in giro una platea così ampia si ricordasse il
testo e la musica di una delle più belle canzoni francesi del
secolo appena trascorso. E invece è successo.
Allora, Milva, è come se chiudesse un cerchio. Si ricorda
quando ci siamo conosciuti a Sanremo nel '62? Lei allora
guardava a Parigi e alla Piaf...
E' vero. Il maestro Angelini aveva sentito Milord e mi disse
che quella era canzone adatta a me. Infatti la incisi...
E a Sanremo quell'anno cantò “Stanotte al Luna
Park”, la storia di una prostituta che vuol
redimersi, canzone dell'aria delicatamente francese.
Giusto. L'aveva scritta Carlo Alberto Rossi. Non era male,
tant'è vero che dopo avermi sentito, Bruno Coquatrix, il
mitico gestore del mitico Olympia, mi invitò a Parigi.
Insomma, dopo aver percorso tante altre strade, eccola
tornare alla canzone francese.
Non potevo non ritornarci. In fondo la mia vita e la mia
carriera sono fatte anche di queste canzoni, che sono
bellissime.
Torniamo al '62. Al suo fianco c'era allora Maurizio
Corgnati.
Grande e indimenticabile persona. Sa che le dico? Che se
tornassi indietro non mi separerei da lui. E' stato un errore,
Un grande errore.
Lui le fece fare un disco con le cosiddette "Canzoni da
cortile e da tabarin" che costituiva già un passo in avanti
rispetto a Sanremo.
E mi fece anche fare il disco e lo spettacolo dei Canti della
libertà, importantissimo...
Nel quale lei cantava la parodia dell' "Horstwessel
Lied" scritta da Brecht, dove Hitler veniva
descritto come un beccaio.
Bella, bellissima.
E "Bella Ciao"...
Sì sì... Ho visto che è tornata ad essere molto popolare anche
in televisione, un po' di tempo fa, con Michele
Santoro.
Poi lei ha conosciuto Giorgio Strehler e ha cominciato a
cantare il repertorio di Kurt Weill e Brecht.
Quello con Strehler è stato un altro incontro fondamentale
della mia vita, anche se duro.
Perché, era duro lavorare con Strehler?
Mamma mia! Però mi ha insegnato tutto e devo a lui se sono
quella che sono.
Ricordo una lezione che Strehler le dava per interpretare
"Ma mi".
Sì, era molto divertente vedere come interpretava lui la
canzone e come mi indicava le sfumature diverse da dare ad
ogni strofa. Però, da un certo punto in poi lui considerò come
chiuso il mio apprendistato. Mi disse: "Milva, adesso puoi
fare quello che vuoi, in scena devi decidere tu".
E dunque Strehler è stato il secondo uomo importante della
sua vita.
Sono stati in molti. C'è stato anche Piazzolla.
Fu lui a venire da lei...
Vero. Mi aveva visto in televisione e mi volle far cantare un
pezzo suo per una sigla televisiva. Da quel momento cominciò
la nostra storia. Musicale, s'intende. Ma a proposito di
uomini fondamentali, ce ne sono altri due nella mia vita di
artista: Luciano Berio e Italo Calvino, dei
quali ho interpretato La vera storia.
Recentemente lei ha incontrato invece una donna, la
poetessa Alda Merini, ed è nata una collaborazione.
Più che una collaborazione... Una grande amicizia. E' una donna è straordinaria. Le dirò che è anche molto gelosa
delle altre donne.
Quindi anche di lei.
No, di me no, perché sa che non le faccio concorrenza, perché
io ho chiuso con gli uomini... anche se ho un compagno, un
professore di lingua tedesca... Tornando ad Alda, lei è viva e
vivace... Insomma gli uomini non la lasciano indifferente e se
ci sono donne in giro, lei non gradisce.
Poco tempo fa lei ha voluto riaffermare di essere "la
rossa" originale rispetto a Lilli Gruber... Com'è questa
storia?
E' che la vera rossa sono io, non lei. Intendiamoci, sono
strafelice che lei abbia stravinto le elezioni battendo
Berlusconi, ma il titolo di rossa spetta a me...
Ma lei non era la "pantera di Goro"?
Quello ai tempi di Sanremo, quando Mina era "la tigre di
Cremona", la Zanicchi "l'aquila di Ligonchio" e Nada "il
pulcino di Gabbro".
Già, e Quasimodo scriveva che il Festival rinnovellava i
fasti degli antichi palii, come quello di Siena, con le
contrade che hanno nomi di animali.
E' vero. Ma da quando Jannacci ha fatto la canzone per me, io
sono Milva la rossa. Rossa nei capelli e nel cuore. Da sempre.
E a proposito. Quando buttiamo giù Berlusconi? Bertinotti
dice
che basta una spallata, ma io penso che ci voglia molto, molto
di più.
Leoncarlo Settimelli
16 .7.2004
- Corriere della sera -
I MIEI 65 ANNI DA RAGAZZA CURIOSA -
Con un brano appassionato di Mikroutsikos, "Volpe d'amore",
affascina le platee olimpiche... Sembra scritto per lei, per
Milva... Volpe d'amore, sì, ma non nel senso di astuta, io
non sono una furba in amore, semmai selvatica, che sfugge...
perché non vuol essere presa, preferisce la libertà.
Nel
senso di fulvo, come i suoi capelli... Qual è il segreto? Una
diffusa marca di cosmetica tricologica.
Un po' si schermisce,
un po' si guarda in un immaginario specchio: domani compie 65
anni. Non una ruga né un gonfiore sospetto, labbra prorompenti
("a fine anni '70 mi son fatta sistemare la bocca da un
dentista, era la prima volta", previene), fisico asciutto, usa
raramente gli occhiali, muove quella cascata rossa senza
dolori alla cervicale.
Natura, cultura o chirurgia per la sua
forma invidiabile? Chirurgia no, ma non sono contraria se fa
star meglio. Natura sì. Benigna. Mia madre Noemi ha 93 anni ed
è lucidissima.
Cultura, come coltivazione di se stessi? Tanta.
E poi non bere, poche sigarette, dormire, le solite cose.
Fisico a parte, lei ha una voce unica. Non l'ha mai odiata? Sì, perché a 7 anni già a Goro insistevano con mia madre di
farmi cantare, e lei minimizzava. E invece vinsi concorsi,
venne Sanremo, mi incollarono alle canzonette. Io però amo
tutta la musica popolare, dal blues al tango.
E proprio
l'altro ieri, a Perugia, nell'ambito di Umbria Jazz ha reso
omaggio ad Astor Piazzolla... Dopo tanti debutti, in 45 anni
di carriera, è stata una prima volta importante.
Sanremo: 14
partecipazioni, mai una vittoria. Perché? C'era chi
meritava i primi premi: Modugno. Ho vinto terzi e secondi
premi. Ad esempio nel '62 con "Tango italiano": ero in coppia
con Sergio Bruni.
Sempre nuove imprese artistiche, ma gli italiani le hanno voluto bene per
"La filanda". Non ha rinunciato alla
popolarità? La prima fu "Flamenco rock"... Se avessi fatto
solo canzoncine mi sarei stufata. E non mi ci vedo ora a
riprendere "La filanda". In 45 anni di carriera però non ho
rinunciato a nulla e ritrovo la popolarità ogni volta sul
palco.
Per anni è stata contrapposta a Mina. In tv siete
apparse insieme a "Milleluci". Che cosa vi diceste? E se vi
incontraste oggi, che cosa vi direste? Cantammo "Non
arrenderti uomo", cercai di parlarle, sembrava in un altro
mondo. Oggi le direi il dispiacere che ci ha dato nel
sottrarci la sua
presenza, le chiederei perché si è fermata nella ricerca che
la sua vocalità, la più interessante del nostro tempo, le
avrebbe permesso. E come ha fatto a rinunciare alla gioia
della scena. Com'era la ragazza Milva? Che cosa le è rimasto
di lei? Ero gracile. Conservo la curiosità e l'amore per il
disegno. Creavo vestiti che mia madre, sarta, realizzava, ma
era severa, piena di domande dentro, cui non sapeva
rispondere, per mancanza di cultura, e trasmetteva la sua
ansia a me e Luciana, mia sorella. Ce la portiamo addosso
ancora.
La psicanalisi dà spiegazione a questo...
Lo so:
faccio le cose perché mi approvino, mi è mancato il "brava" di
mia madre. Ma sono stufa. Voglio pensare a me. Con mia madre
ho invertito le parti: la vedo come una bambina e la amo. La
sua morte mi renderà triste non disperata.
Nei momenti di
depressione, ha mai desiderato morire? Verso fine anni
'90, si era spento un lungo amore, mi sentivo a terra, ma non
tentai il suicidio. Poi si reagisce, c'è chi ti aiuta. Sento
vicina mia figlia, tutta suo padre.
Capitolo uomini: amore e
sesso. Lei ha più dato o ricevuto? Ricevuto. Ero bambina
quando sposai Maurizio (Corgnati, il doppio dell'età di lei, ndr),
marito-padre. La passione la conobbi dopo. Mi buttai a
capofitto. Sbagliai altre volte nell'illusione che l'amore di
un uomo fosse così importante.
Quali sbagli non rifarebbe? Lasciare mio marito. Non rifarei la mia vita così. Si tratta
però di sbagli nel privato, nel lavoro sono contenta del mio
successo.
Enfatica, altezzosa, avara. In quale difetto si
riconosce? Nel primo, è fastidioso. Il secondo deriva dal mio
fisico, ma avara proprio no, sono generosa, anche con chi ha
bisogno. Brecht diceva "non si fanno migliori gli uomini con
la carità, ma con la tua moneta quest'uomo stanotte dormirà".
Quando è sola la sera in un albergo lussuoso dopo gli
applausi, è felice? Sì. Sarebbe bello condividere, ma c'è la
gioia di avercela fatta. Grazie a incontri con uomini
straordinari come Strehler che plasmò la mia forza in scena
(nessuna storia d'amore, non con me, ma lo sogno spesso). E
con lui scoprii Brecht.
Che cosa guarda in un uomo? La nuca,
i polsi, il sorriso.
La canzone che ama/che odia di più delle
sue? Molte non le ricordo, dunque non le odio. Amo molto "Ich
habe keine angst" di Vangelis e "Alexanderplatz" di Battiato.
La canzone che amerebbe cantare? "Margherita" di Cocciante, e
"In a wonderful world" di Armstrong. Mi piace Sting, degli
italiani Fiorella Mannoia.
Le attrici che ama di più? Kidman.
Monroe. Le italiane Mazzantini, Ferrari, Capua.
Gli attori? Marlon Brando. E Gian Maria Volonté.
Il film? Di Zinnemann,
"Uomini", con Brando, visto da bambina a Goro in bianco e
nero. Anche l'accoppiata Bellocchio/Castellitto.
Il libro? Tra i tanti, i tre di Elsa Morante.
Il colore? Il nero, ma
scelgo il rosso Valentino: è forza, sensualità.
L'uomo
politico? Berlinguer. Popolare ed elegante. D'Alema ha fatto
errori.
Il partito? Ora, l'Ulivo. Se si fa la coalizione
bisogna sostenerla. Non tirar fuori di nuovo i giocattoli:
margherita, triciclo... Perché va così spesso in Israele?
Sono di sinistra, ma non filopalestinese. So quel che hanno
sofferto gli ebrei. Israele è un Paese dove, anche se non si
condividono le scelte di Sharon, si può dirlo: c'è più libertà
d'espressione lì che in
Italia. In tv sicuramente.
Claudia Provvedini
|
|