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Rassegna Stampa 2004-2007

 

2.10.2007 - IL GIORNALE - MILVA RAPINATA IN CASA: DUE ORE DI TERRORE - (Milano) - Era appena rientrata dal Piccolo Teatro dopo le prove del concerto Milva canta Brecht che si sarebbe dovuto tenere oggi a Berlino. Stanchissima, era crollata dal sonno. Per venir svegliata di soprassalto, poco dopo, dalle luci delle torce elettriche di tre ladri. È cominciato così il sabato terribile di Milva, sorpresa e rapinata nella propria abitazione da tre malviventi. Sono da poco passate le 19 quando la cantante, da poco rientrata, si addormenta nella sua abitazione in zona Porta Venezia, in pieno centro a Milano. Improvvisamente, viene svegliata da due ladri che, calandosi dal piano superiore, si erano introdotti furtivi nell’appartamento attraverso una portafinestra: "Stai ferma e buona e non ti facciamo niente", intimano alla cantante. A cui fanno seguire lo scontato motivo dell’inattesa visita. "Fuori tutti i soldi e i gioielli - le urlano - e dicci anche dov’è la cassaforte". L’artista tenta di spiegare ai ladri di non possedere alcuna cassetta di sicurezza, ma di avere in casa cinquemila euro che aveva recentemente prelevato per il suo imminente viaggio a Berlino. E di non avere nessun problema a consegnarglieli. "Quando ho tentato di spiegare ai ladri di non avere una cassaforte - racconta Milva - loro hanno reagito in malo modo: per un attimo ho temuto il peggio. Ho provato a calmarli dicendo che mi dispiaceva, ma che potevo dargli i cinquemila euro che dovevo portarmi a Berlino". Ma per i malviventi non è abbastanza: strappano i fili del telefono e battono armadi e cassetti dell’appartamento alla ricerca di preziosi e gioielli: alla fine riescono a portar via più di settantamila euro tra denaro in contante e preziosi, tra cui due Eleuteri che la cantante aveva ricevuto durante la sua carriera. Finalmente soddisfatti del bottino racimolato, i due ladri - spronati dalla richiesta di un terzo malvivente, che per tutto il tempo aveva fatto da palo - abbandonano l’appartamento di Milva. Prima però la fanno stendere sul divano, le danno un colpo in testa e la minacciano: "Stai ferma e non guardare da dove usciamo". La paura è troppa per l’artista che non tenta nemmeno una minima reazione: i tre lasciano così indisturbati l’abitazione con il cospicuo bottino. Alla cantante non rimane che dare l’allarme e fornire un primo identikit dei tre malviventi: "Uno è sempre rimasto fuori dall’abitazione - racconta - e non ho potuto vederlo. Il più brusco dei due aveva una sciarpa che gli copriva il volto e sembrava essere uno slavo. L’altro invece parlava addirittura l’italiano: aveva un accento delle mie parti". Naturalmente, la rapina nell’abitazione della pantera di Goro solleva nuovi interrogativi sull’effettiva sicurezza del centro milanese. Non più tardi dello scorso mese di giugno, infatti, stessa sorte era toccata ad Adriano Galliani. In quel caso, i ladri si erano intrufolati nella sua abitazione al secondo piano di un palazzo in via Bigli - in zona Montenapoleone, a due passi dalla sede rossonera - e avevano portato via la cassaforte con gioielli e preziosi di famiglia. Quantomeno avevano risparmiato al vicepresidente del Milan lo spavento di trovarsi in casa ospiti indesiderati: l’appartamento era completamente vuoto e a dare l’allarme era stata la domestica. E con ogni probabilità, questa era la stessa speranza che avevano anche gli inattesi ospiti di Milva, che conclude: "Sono stufa. Andrò a vivere in albergo". Andrea Bianchini

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10.2.2007 - IO DONNA - INTERVISTA - "Ho un timpano perforato. No, non è otite, è stress". Milva ha appena recitato a Gorizia La Variante di Lüneburg spettacolo tratto dal libro del premio Strega Paolo Maurensig. Argomento spinoso, ma la cantante non ha mai seguito strade semplici: i testi di Brecht, Weill, Calvino,i tanghi di Piazzolla, le poesie della Merini, scelte complesse che l'hanno portata a un successo internazionale, star indiscussa nei teatri di Germania e Giappone. Impegni alternati a una presenza curiosamente assidua nel campo della musica leggera, compreso il suo massimo rito, il Festival di Sanremo, al quale la rossa ha partecipato per 14 volte, una in più del recordman Claudio Villa. E dal 27 febbraio torna in concorso al teatro Ariston con un testo scritto da Giorgio Faletti, The show must go on. "Sempre se sarò in grado di farlo, ho dei grossi problemi".
Stanchezza?
Non solo. Cose insospettabili a cinquant’anni arrivano a sessantasette.
Non nasconde l’età?
Serve? Mica posso tornare indietro.
Sembra che lo stress sia dovuto al Festival. Le dà fastidio tornare a San Remo? Certo che mi dà fastidio. Ma c’è stato tutto "Ma Milva di qua, ma Milva di là". I discografici, anche Faletti mi hanno voluta convincere. Lo sanno che non sto bene, significa che finisco Brecht, poi corro a Sanremo, non posso neanche dormire…
Insomma l’hanno convinta.
È che a questo disco ci tengo. Canto il mercoledì, poi giovedì e sabato perché il venerdì è la serata riservata ai big.
Lei non è un big?
È big solo chi ha venduto un certo numero di dischi. Avendo io cantato in Germania non ho titoli da big di Sanremo. Però ho un’ onorificenza del presidente Horst Köhler: Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania, per aver portato il mio lavoro in tutta Europa. Mi accontenterò.
Nota polemica.
Il Festival una volta aveva senso, quando ero bambina era un sogno. Ci sembrava che alla radio cantassero gli angeli. Poi venne la tv e caddero molte illusioni: l’angelo Nilla Pizzi era una signorotta bolognese, Carla Boni aveva i denti radi, Angelini era un simpatico botolo. Meglio così, siamo caduti nella realtà. Quella di oggi è solo televisiva, contano presentatori, vallette, comici, giullari e, per ultime, le canzoni.
Lei non appare spesso in Tv...
 Lo credo dopo 5 anni di governo Berlusconi.
Si ritiene un’epurata? Non come i casi più eclatanti, ma le mie simpatie politiche sono note. Ho anche scritto a Del Noce chiedendogli perché non potevo essere invitata in certe trasmissioni. Tenga presente che tre anni fa ho fatto un disco importante, secondo me, con le canzoni della poetessa Alda Merini. Non sono riuscita a portare un pezzo della Merini in televisione.
Neanche su Raitre? Neppure. In Tv passano sempre gli stessi: la Pausini, quel napoletano, quel ragazzo un po’ pelato, quello che sta con la Tatangelo? Ah ,sì, D’Alessio. Massimo Ranieri, Lucio Dalla dopo che ha ammorbidito i toni. E il bolognese che ha cantato almeno un milione di volte "C’era un ragazzo che come me...".
E adesso che abbiamo un nuovo governo...
 Almeno si discute. Questa cosa dei Pacs, per esempio, speriamo si concluda bene. Ma dico, la libertà per cui ci siamo battuti deve passare per la Chiesa? Chi è che decide cos’è una famiglia, quando si può costituire, perché si deve sciogliere? Per me è il cittadino.
Lei sciolse la sua e fu molto criticata. Parlò di quando lasciò suo marito Maurizio Corgnati per Mario Piave.
Ebbero anche ragione a criticarmi. È stata la più grande cavolata della mia vita. Ero giovane, avevo 28 anni,fui attratta da un mio coetaneo.
Suo marito era più anziano di lei? Maurizio aveva 22 anni di più di me. Appena lo conobbi me ne innamorai. Stavo a Torino da una mia zia materna e cominciai a frequentare la sua casa e i suoi amici. Ci siamo sposati che avevo 21 anni, sei mesi dopo il primo Festival.
Famiglia benestante torinese. Era spaventata da quel nuovo ambiente?
Ne ero affascinata, incontravo Fruttero e Lucentini, Marco Troppa. Le passioni di Maurizio erano le letteratura, cinema , pittura. Cominciai ad apprezzarle anch’io.
L’ha guidata Maurizio? Ha fatto di più. Ho cominciato a studiare Inglese, poi pianoforte. Ero felice, mi sarebbe piaciuto smettere di cantare: volevo fare la moglie, stare con lui. Era il '61, Maurizio mi disse che avrei potuto diradare, cominciare a selezionare. Continuai a partecipare a Sanremo, perché all’epoca l’impegno si limitava alle serate del Festival.
Anche durante gli anni del Piccolo continuò ad andare al Festival?
Mi aveva chiamato Paolo Grassi per debuttare al Piccolo con i Canti della Libertà, uno spettacolo che Maurizio aveva pensato per me. Come aveva pensato Le canzoni del Tabarin o Canzoni da cortile, cose che progettava con la casa discografica per non farmi fare sempre canzonette. Al Piccolo nacque il primo Brecht e l’incontro con Strehler. Ma avevo un accordo con la casa discografica: se volete vado a Sanremo tutti gli anni però mi fate fare quello che voglio. Feci molti dischi e dieci Festival consecutivi.
Strehler non era geloso della sua scoperta? Pensava che la mia popolarità potesse far bene a teatro.
E il teatro faceva bene alla sua popolarità? No, perché toglievo tempo alla promozione. E al pubblico popolare non interessava che io facessi teatro, anzi. Sembravo quella con la puzza sotto il naso, l’intellettuale per forza. Oltretutto cominciavo a pretendere canzoni diverse, volevo raffinare il mio repertorio.
Al Festival e andata fino al 72 con "Tango Italiano", "Ricorda", "Un sorriso"… Intanto con Strehler che cosa faceva?
Con Strehler attraversavamo il '68. C’erano momenti che io stessa non capivo. Eravamo sempre in assemblea, anche con gli attori. Dicevo "Ma che cavolo facciamo, non facciamo mai le prove?".
Si poteva contraddire il maestro?
Assumendosene il rischio, sì. Se un attore non riusciva a fare quello che lui voleva, lo prendeva una specie di furore, gli mostrava la parte, imprecava, bestemmiava, offendeva. Adesso capisco che le sue prove erano lezioni straordinarie, ma all’epoca ci fu un piccolo incidente diplomatico.
Quale? Fu nel '72 a Parigi. Ero l’unica italiana del cast de L'Opera da tre soldi, recitavo in francese che non conoscevo, ma non provavo mai: Giorgio era impegnato con gli altri, esasperato perché non trovava quello che voleva per il ruolo di Mecky Messer. Un giorno chiesi: "E io? Quando provo?". Esplose. "Ma cosa vuoi che stia a perdere tempo con te!. Una prova di fiducia, ma io me la presi. E quando venne la Aspesi a intervistarmi, le dissi che lui era un genio ma non era umano.
Quando lesse l’articolo?
Urlò uno "stronza" da far venir giù il teatro. "Io ti ho dato di qua, io ti ho dato di là". Aveva ragione mi ha dato delle possibilità immense.
Nel frattempo il matrimonio era finito... Si, già da qualche anno. E come ho detto fu un errore. Mia figlia Martina aveva cinque anni, oggi anche lei dice che forse suo papà poteva fare di più per tenermi. Ma è andata così.
In amore ha fatto soffrire molto?
Ho fatto soffrire e ho sofferto. Come tutti. Ho lasciato un uomo che non dovevo lasciare; sono stata lasciata da un uomo che mi voleva lasciare e mi ha fatto trovare "per caso" le prove del suo tradimento.
Forse lei ha ferito più cuori.
Si riferisce all’uomo che dicono si sia perso per me. Ma non è vero. Un crollo viene da molto più lontano, è una condizione complessa . Le vere ragioni sono nella complessità di una vita molto sofferta, e molti sanno come stanno davvero le cose. Ma non mi va di parlarne.
Come ha vissuto la sua bellezza?
Alla mia età non è il caso di parlarne. Diciamo solo che ero "diventata" bella. Un tempo era così la bellezza arrivava con la maturità. Adesso ti devi sparare tutte le cartucce a vent’anni. Io da ragazzina ero bruttissima, magra come un chiodo. Fu un vantaggio però, perché fu per questo che mi mandarono a scuola dalle Canossiane, a Bassano del Grappa. Almeno il collegio  mi piaceva moltissimo, ero brava a suonare, a ricamare.
Cosa centrava il collegio con la magrezza?
Ero filiforme, pallida, oggi sarei stata un modello, ma i medici dicevano a mia madre che ero denutrita. Neppure le vacanza sull’Appennino servivano: dopo un mese ingrassavo al massimo di un etto. In collegio invece, dove non potevo scegliere cosa mangiare, ingrassavo e tornavo a casa irrobustita. Con quella prospettiva si decise addirittura di fammi proseguire gli studi dopo la quinta elementare. All’epoca non era usuale, i governi democristiani non ci pensavano proprio a innalzare l’obbligo scolastico. Ma non fu possibile.
Perché?
A causa di un incidente: il Leoncino di mio padre che mi riportava a Bassano finì in un fosso. Eravamo solo un po’ ammaccati, ma coperti di fango. Immerso nel fango era anche il mio baule con la biancheria del collegio, contrassegnato, vorrei sottolineare, dal numero 17. Mia madre lo prese come un segno del destino e fine della carriera scolastica. Poi papà ebbe dei problemi economici e ci spostammo da Goro a Firenze. Mi alzavo alle quattro del mattino, cucivo sottogonne a sette lire l’una. Ma la città non era per noi. Presi in mano la situazione: "Qui non ce la possiamo fare non possiamo amare questa città, non è l’Emilia". Dissi ai miei. E riuscii a convincerli a trasferirci a Bologna.
A Bologna cominciò a cantare sul serio? Due giorni dopo l’arrivo, accompagnata da mia zia Norma, andai da un certo Savino’s, impresario di balere che aveva impreziosito il cognome con una "s" anglosassone. Nel suo ufficio campeggiavano cartelloni con donne procaci dai nomi esotici: Sara Simmons, Vanna Veri, chiome biondi e curve, perfette per le balere. "Signorina le vede le mie cantanti? Lei è proprio terribile!". "Ho una bella voce, credo di potercela fare, mi dia un’opportunità". "Domani sera, concorso di voci nuove in un locale di Riccione. Premio: 20 mila lire".
Non guardarono il fisico ma la voce.
Il giorno stesso Savino’s mi fece un contratto per ottantamila lire al mese. Per noi era la sopravvivenza.
Come l’avete messa col modello Sara Simmons?
Savino’s a naso aveva una vaga conoscenza di Juliette Gréco e dell’esistenzialismo: decise che avrei portato pantaloni neri di velluto, maglioncino nero, fascia in vita e foulard al collo. Con i capelli corti potevo far ricordare la Hepburn e divenni Sabrina. Naturalmente il pantalone lo cucimmo io e la mamma. Per sembrare meno stecchino, sotto misi un paio di mutande lunghe di lana leggermente imbottite dietro, e un reggiseno imbottito per suggerire rotondità che non avevo.
E chi non ha mai barato. Quand’è che divenne Milva? Nel '60, dopo aver vinto il concorso voci nuove su 7600 concorrenti. Era un concorso della Rai, portava di diritto a Sanremo. Lì divenni Milva.
E Savino’s? Si arrabbio moltissimo. "Ma come, sei conosciuta come Sabrina". Vagli a far capire che valeva solo per l’Appennino. (...)
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25.2.2005 - IL GAZZETTINO -  INTERVISTA - In oltre quarant'anni di carriera, la raffinatezza musicale che è sempre appartenuta a Milva - in questo periodo di nuovo in tournée in Germania e Svizzera - si è andata man mano affinando, e lei è diventata una delle interpreti più lontane dal semplice consumismo commerciale immediato. Dopo gli esordi alla fine degli anni Cinquanta, la sua prima incisione discografica sancisce il preludio di una lunga e luminosa vita artistica. È infatti con la versione italiana di Milord - che appartiene al glorioso patrimonio di Edith Piaf, simbolo dell'identità nazionale francese - che la "pantera di Goro" rivela una precisa tendenza. Durante la serie infinita di concerti sulla scena internazionale - moltissimi quelli dedicati a Brecht, Kurt Weill, Piazzolla, solo per fare alcuni nomi - parecchie volte si è fatta accompagnare dall'Orchestra di Padova e del Veneto. Con le sue 14 partecipazioni al Festival di Sanremo, detiene il record di presenze femminili. Se le si chiede di parlare del personaggio che più ha inciso nella sua vita, la dichiarazione di devozione che fa nei confronti di Giorgio Strehler - il suo unico e grande pigmalione fin dal 1965, quando la cantante inizia a lavorare per il Piccolo di Milano - è assoluta e toccante. "Posso dire con sicurezza" dice Milva "che se oggi, dopo oltre 40 anni di carriera, sono ancora qui, e sono ciò che sono, è grazie a lui. Il cento per cento di quello che so, l'ho imparato da Strehler. È riuscito a tirar fuori da me il meglio, senza mai impormi nulla. La sua grandezza era la sua umiltà: non era mai convinto di avere in mano la cosa migliore, subito. Quando, ad esempio, mi chiedeva di interpretare una frase come io sentivo, anche dopo la convinzione di aver trovato la perfezione, voleva la riprova. Desiderava dare il meglio al suo pubblico. Io sogno moltissimo: faccio sogni di ogni genere, da molti anni. Ma quasi tutte le notti vedo Giorgio, sempre in situazioni riguardanti il lavoro: lo sogno sul palcoscenico, mentre sale o scende le scalette, cosa che lui faceva centinaia di volte ogni giorno; oppure sento che mi tocca, come faceva durante una prova. E allora mi pare di avvertire i suoi sfioramenti, la sua presenza magica accanto a me, presenza unica, straordinaria. Fin dal primo incontro con lui sono stata convinta di essere di fronte ad un genio. Era un uomo di spettacolo di una potenza inarrivabile. Per me, non ce ne sono stati altri come lui. E per ora è insuperato. Ci sono bravi registi all'estero, a Londra, in Francia Ma credo che mai potrò rivedere in teatro la poesia sublime portata da Strehler". Qual è il segreto per riuscire a prolungare nel tempo il successo? "In tutti questi anni di attività, ho fatto dei lunghi periodi di ricerca, perché ho voluto sperimentarmi in campi diversi. Non ho fatto come certe colleghe che, ad esempio, dopo aver interpretato per un periodo canzoni della mala - anche grazie all'opera di Giorgio Strehler - si sono stancate e sono tornate alla canzone leggera. O come altre che, in quarant'anni di mestiere, non hanno mai cambiato genere. Io mi sarei stancata da morire. Già negli anni Sessanta, quando ero all'apice della notorietà grazie ai vari Sanremo, feci un patto con la Ricordi, la mia casa discografica, per essere libera da impegni dopo il Festival, in modo da potermi dedicare a ciò che mi piaceva, a ciò che davvero mi faceva crescere. Per me, è stato un bene provarmi in cose diverse, anche se non sono molte, tutto sommato. Sono famosa in Europa per aver interpretato Brecht, Kurt Weill, Astor Piazzolla, Luciano Berio. Ho fatto ancora delle piccole cose con Battiato e Theodorakis". L'ultimo suo disco ha i testi di una grande poetessa come Alda Merini. "Ho deciso di interpretare queste canzoni dopo aver sentito che un giovane autore aveva musicato due stupende poesie di Alda. Erano talmente ben costruite, che ho voluto vedere cosa sapesse fare Giovanni Nuti con dieci brani. Ha lavorato bene, ma l'operazione è riuscita all'ottanta per cento. È difficile arrivare a cento la prima volta, anche se lui ha un grande talento. A volte basta poco per allontanare il successo. In televisione, ad esempio, può essere un'espressione del volto che non piace, una semplice smorfia. Per svoltare, invece, basta un piccolo quid di fortuna, il grande incontro straordinario della vita". Per un artista che non sia celebre come Milva, è difficile affrontare il mondo musicale stando lontano dalla canzone commerciale? "Dipende da cosa un giovane, cantante o musicista, cerca nella vita. A me piace molto l'impegno ma, per questo, bisogna dare molto di più. Io ascolto molto i giovani e, tra i tanti, mi coinvolge Mauro Pagani, anche se non è più agli inizi. Elisa, Giorgia e la Pausini sono ragazze che hanno delle potenzialità. Si scrivono le proprie canzoni - cosa che io non ho mai fatto - ma non sono abbastanza curiose. Tra tutte, mi sembra più portata Elisa. Giorgia fa testi troppo banali: non si può continuare a fare la copia della copia della copia. Adoro Cecilia Bartoli, che per me è il più grande mezzo-soprano del mondo. Ma, nella musica leggera, non ho ancora trovato qualcuno che mi esalti. Mi diverte Zucchero, nella sua follia; non mi piace ascoltare Ramazzotti, perché mi disturba il suo cantare di naso; Vasco Rossi mi ricorda molto i miei esordi, quando dicevano che ero un animale da palcoscenico. Però, non so come facciano i ragazzini ad amarlo. Probabilmente, è perché lui si presenta come uno di loro. È riuscito a creare una simbiosi coi giovani, per le cose elementari che dice. I ragazzi di oggi non sanno più maneggiare la lingua. Dopo dieci frasi non sanno più che dire. Ecco perché si riconoscono in quelle canzoni. Poi, lui ha la potenza dei watt che l'aiuta. Lo ricordo ai suoi esordi, sul palco di Sanremo, quando cantava e aveva una specie di perdita d'identità nello sguardo. Era interessante: si capiva che c'era qualcosa, e infatti è riuscito ad arrivare alle masse. E' intrigante che un uomo solo riesca a coinvolgere folle di oltre centomila giovani, anche ora che è oltre i cinquanta". Un messaggio per i giovani che vogliono far musica. "Studiare, studiare, studiare. Solo con l'applicazione si arriva ad ottenere qualcosa. E abbiano tanta umiltà nell'avvicinarsi alle cose, e tanta pazienza. Solo così si può sfruttare il proprio talento". Giuliana Fantuz

 

25.10.2004 - L'Unità - SONO MILVA LA ROSSA - Milva è un torrente di parole e di ricordi e quasi non fai in tempo a porle una domanda che già ti risponde con ampiezza di nomi, date, titoli canzoni. E' felicissima, dopo ogni recital: così ha voluto definire anche le serate dedicate alla canzone francese, di cui ripropone la storia recente attraverso i successi di Bécaud, Aznavour, Piaf e Brel. L'abbiamo incontrata qualche tempo fa, una sera nel giardino di Villa Chigi ad Ariccia, per la stagione dell'Accademia degli Sfaccendati. Una Milva felicissima, anche perché ogni sera riesce a far cantare in coro a ottocento persone La vie ne rose e francamente nessuno se l'aspettava con tutto l'inglese che che c'è in giro una platea così ampia si ricordasse il testo e la musica di una delle più belle canzoni francesi del secolo appena trascorso. E invece è successo.
Allora, Milva, è come se chiudesse un cerchio. Si ricorda quando ci siamo conosciuti a Sanremo nel '62? Lei allora guardava a Parigi e alla Piaf... E' vero. Il maestro Angelini aveva sentito Milord e mi disse che quella era canzone adatta a me. Infatti la incisi...
E a Sanremo quell'anno cantò “Stanotte al Luna Park”, la storia di una prostituta che vuol redimersi, canzone dell'aria delicatamente francese. Giusto. L'aveva scritta Carlo Alberto Rossi. Non era male, tant'è vero che dopo avermi sentito, Bruno Coquatrix, il mitico gestore del mitico Olympia, mi invitò a Parigi.
Insomma, dopo aver percorso tante altre strade, eccola tornare alla canzone francese. Non potevo non ritornarci. In fondo la mia vita e la mia carriera sono fatte anche di queste canzoni, che sono bellissime.
Torniamo al '62. Al suo fianco c'era allora Maurizio Corgnati. Grande e indimenticabile persona. Sa che le dico? Che se tornassi indietro non mi separerei da lui. E' stato un errore, Un grande errore.
Lui le fece fare un disco con le cosiddette "Canzoni da cortile e da tabarin" che costituiva già un passo in avanti rispetto a Sanremo. E mi fece anche fare il disco e lo spettacolo dei Canti della libertà, importantissimo...
Nel quale lei cantava la parodia dell' "Horstwessel Lied" scritta da Brecht, dove Hitler veniva descritto come un beccaio. Bella, bellissima.
E "Bella Ciao"... Sì sì... Ho visto che è tornata ad essere molto popolare anche in televisione, un po' di tempo fa, con Michele Santoro.
Poi lei ha conosciuto Giorgio Strehler e ha cominciato a cantare il repertorio di Kurt Weill e Brecht. Quello con Strehler è stato un altro incontro fondamentale della mia vita, anche se duro.
Perché, era duro lavorare con Strehler? Mamma mia! Però mi ha insegnato tutto e devo a lui se sono quella che sono.
Ricordo una lezione che Strehler le dava per interpretare "Ma mi". Sì, era molto divertente vedere come interpretava lui la canzone e come mi indicava le sfumature diverse da dare ad ogni strofa. Però, da un certo punto in poi lui considerò come chiuso il mio apprendistato. Mi disse: "Milva, adesso puoi fare quello che vuoi, in scena devi decidere tu".
E dunque Strehler è stato il secondo uomo importante della sua vita. Sono stati in molti. C'è stato anche Piazzolla.
Fu lui a venire da lei... Vero. Mi aveva visto in televisione e mi volle far cantare un pezzo suo per una sigla televisiva. Da quel momento cominciò la nostra storia. Musicale, s'intende. Ma a proposito di uomini fondamentali, ce ne sono altri due nella mia vita di artista: Luciano Berio e Italo Calvino, dei quali ho interpretato La vera storia.
Recentemente lei ha incontrato invece una donna, la poetessa Alda Merini, ed è nata una collaborazione. Più che una collaborazione... Una grande amicizia. E' una donna è straordinaria. Le dirò che è anche molto gelosa delle altre donne.
Quindi anche di lei. No, di me no, perché sa che non le faccio concorrenza, perché io ho chiuso con gli uomini... anche se ho un compagno, un professore di lingua tedesca... Tornando ad Alda, lei è viva e vivace... Insomma gli uomini non la lasciano indifferente e se ci sono donne in giro, lei non gradisce.
Poco tempo fa lei ha voluto riaffermare di essere "la rossa" originale rispetto a Lilli Gruber... Com'è questa storia? E' che la vera rossa sono io, non lei. Intendiamoci, sono strafelice che lei abbia stravinto le elezioni battendo Berlusconi, ma il titolo di rossa spetta a me...
Ma lei non era la "pantera di Goro"? Quello ai tempi di Sanremo, quando Mina era "la tigre di Cremona", la Zanicchi "l'aquila di Ligonchio" e Nada "il pulcino di Gabbro".
Già, e Quasimodo scriveva che il Festival rinnovellava i fasti degli antichi palii, come quello di Siena, con le contrade che hanno nomi di animali. E' vero. Ma da quando Jannacci ha fatto la canzone per me, io sono Milva la rossa. Rossa nei capelli e nel cuore. Da sempre. E a proposito. Quando buttiamo giù Berlusconi? Bertinotti dice che basta una spallata, ma io penso che ci voglia molto, molto di più.
Leoncarlo Settimelli

 

16.7.2004 - Corriere della sera - I MIEI 65 ANNI DA RAGAZZA CURIOSA - Con un brano appassionato di Mikroutsikos, "Volpe d'amore", affascina le platee olimpiche... Sembra scritto per lei, per Milva... Volpe d'amore, sì, ma non nel senso di astuta, io  non sono una furba in amore, semmai selvatica, che sfugge... perché non vuol essere presa, preferisce la libertà.

Nel senso di fulvo, come i suoi capelli... Qual è il segreto? Una diffusa marca di cosmetica tricologica.

Un po' si schermisce, un po' si guarda in un immaginario specchio: domani compie 65 anni. Non una ruga né un gonfiore sospetto, labbra prorompenti ("a fine anni '70 mi son fatta sistemare la bocca da un dentista, era la prima volta", previene), fisico asciutto, usa raramente gli occhiali, muove quella cascata rossa senza dolori alla cervicale.

Natura, cultura o chirurgia per la sua forma invidiabile? Chirurgia no, ma non sono contraria se fa star meglio. Natura sì. Benigna. Mia madre Noemi ha 93 anni ed è lucidissima.

Cultura, come coltivazione di se stessi? Tanta. E poi non bere, poche sigarette, dormire, le solite cose.

Fisico a parte, lei ha una voce unica. Non l'ha mai odiata? Sì, perché a 7 anni già a Goro insistevano con mia madre di farmi cantare, e lei minimizzava. E invece vinsi concorsi, venne Sanremo, mi incollarono alle canzonette. Io però amo tutta la musica popolare, dal blues al tango.

E proprio l'altro ieri, a Perugia, nell'ambito di Umbria Jazz ha reso omaggio ad Astor Piazzolla... Dopo tanti debutti, in 45 anni di carriera, è stata una prima volta importante.

Sanremo: 14 partecipazioni, mai una vittoria. Perché? C'era chi meritava i primi premi: Modugno. Ho vinto terzi e secondi premi. Ad esempio nel '62 con "Tango italiano": ero in coppia con Sergio Bruni.

Sempre nuove imprese artistiche, ma gli italiani le hanno voluto bene per "La filanda". Non ha rinunciato alla popolarità? La prima fu "Flamenco rock"... Se avessi fatto solo canzoncine mi sarei stufata. E non mi ci vedo ora a riprendere "La filanda". In 45 anni di carriera però non ho rinunciato a nulla e ritrovo la popolarità ogni volta sul palco.

Per anni è stata contrapposta a Mina. In tv siete apparse insieme a "Milleluci". Che cosa vi diceste? E se vi incontraste oggi, che cosa vi direste? Cantammo "Non arrenderti uomo", cercai di parlarle, sembrava in un altro mondo. Oggi le direi il dispiacere che ci ha dato nel sottrarci la sua presenza, le chiederei perché si è fermata nella ricerca che la sua vocalità, la più interessante del nostro tempo, le avrebbe permesso. E come ha fatto a rinunciare alla gioia della scena. Com'era la ragazza Milva? Che cosa le è rimasto di lei? Ero gracile. Conservo la curiosità e l'amore per il disegno. Creavo vestiti che mia madre, sarta, realizzava, ma era severa, piena di domande dentro, cui non sapeva rispondere, per mancanza di cultura, e trasmetteva la sua ansia a me e Luciana, mia sorella. Ce la portiamo addosso ancora.

La psicanalisi dà spiegazione a questo... Lo so: faccio le cose perché mi approvino, mi è mancato il "brava" di mia madre. Ma sono stufa. Voglio pensare a me. Con mia madre ho invertito le parti: la vedo come una bambina e la amo. La sua morte mi renderà triste non disperata.

Nei momenti di depressione, ha mai  desiderato morire? Verso fine anni '90, si era spento un lungo amore, mi sentivo a terra, ma non tentai il suicidio. Poi si reagisce, c'è chi ti aiuta. Sento vicina mia figlia, tutta suo padre.

Capitolo uomini: amore e sesso. Lei ha più dato o ricevuto? Ricevuto. Ero bambina quando sposai Maurizio (Corgnati, il doppio dell'età di lei, ndr), marito-padre. La passione la conobbi dopo. Mi buttai a capofitto. Sbagliai altre volte nell'illusione che l'amore di un uomo fosse così importante.

Quali sbagli non rifarebbe? Lasciare mio marito. Non rifarei la mia vita così. Si tratta però di sbagli nel privato, nel lavoro sono contenta del mio successo.

Enfatica, altezzosa, avara. In quale difetto si riconosce? Nel primo, è fastidioso. Il secondo deriva dal mio fisico, ma avara proprio no, sono generosa, anche con chi ha bisogno. Brecht diceva "non si fanno migliori gli uomini con la carità, ma con la tua moneta quest'uomo stanotte dormirà".

Quando è sola la sera in un albergo lussuoso dopo gli applausi, è felice? Sì. Sarebbe bello condividere, ma c'è la gioia di avercela fatta. Grazie a incontri con uomini straordinari come Strehler che plasmò la mia forza in scena (nessuna storia d'amore, non con me, ma lo sogno spesso). E con lui scoprii Brecht.

Che cosa guarda in un uomo? La nuca, i polsi, il sorriso.

La canzone che ama/che odia di più delle sue? Molte non le ricordo, dunque non le odio. Amo molto "Ich habe keine angst" di Vangelis e "Alexanderplatz" di Battiato.

La canzone che amerebbe cantare? "Margherita" di Cocciante, e "In a wonderful world" di Armstrong. Mi piace Sting, degli italiani Fiorella Mannoia.

Le attrici che ama di più? Kidman. Monroe. Le italiane Mazzantini, Ferrari, Capua.

Gli attori? Marlon Brando. E Gian Maria Volonté.

Il film? Di Zinnemann, "Uomini", con Brando, visto da bambina a Goro in bianco e nero. Anche l'accoppiata Bellocchio/Castellitto.

Il libro? Tra i tanti, i tre di Elsa Morante.

Il colore? Il nero, ma scelgo il rosso Valentino: è forza, sensualità.

L'uomo politico? Berlinguer. Popolare ed elegante. D'Alema ha fatto errori.

Il partito? Ora, l'Ulivo. Se si fa la coalizione bisogna sostenerla. Non tirar fuori di nuovo i giocattoli: margherita, triciclo... Perché va così spesso in Israele? Sono di sinistra, ma non filopalestinese. So quel che hanno sofferto gli ebrei. Israele è un Paese dove, anche se non si condividono le scelte di Sharon, si può dirlo: c'è più libertà d'espressione lì che in Italia. In tv sicuramente.

Claudia Provvedini