In fondo alla Bussola, tra la fine della sala e
l'inizio del ristorante, ci sta un tavolo di scatenati.
Dieci-ragazzi-dieci governati e istruiti da un capo
combriccola indiscutibilmente leader e assolutamente
donna. Maria: che ne inventa sempre una nuova per
far ammattire i camerieri, per mettere in imbarazzo i
clienti dei tavoli vicini, per farmi talvolta perdere la
pazienza, tipo presentarsi vestita da spiaggia nella
serata "elegante" del bianco e nero ("Ma la mia
maglietta e i miei pantaloni sono di questo colore,
Sergio, non vede? Che cosa possiamo farci se
siamo poveri", mi provoca Maria che divorerei
dopo averla strozzata). Non sono poveri per niente.
Tutti figli della buona borghesia di Cremona e
sostanzialmente tutti ragazzi di rara simpatia, non
avessero il vizio di voler recitare il ruolo di
rompiballe ad ogni costo. Fanno parte del "colore" della
Bussola e, tutto sommato, meglio loro di tanti altri con
la puzzetta sotto il naso e la maleducazione sempre in
tasca. Con loro non si va oltre a Coca-Cola, aranciata,
latte-menta o gassosa con birra, però ci pensano i loro
genitori a tenere in piedi il bilancio con superlative
ordinazioni di champagne e, poi, non mi pare il caso di
sottilizzare troppo. In fin dei conti mi diverto pure
io, quando non esagerano, a bazzicarli. Specie a fine
serata. Sono sempre gli ultimi a levare le tende dopo
che l'orchestra ha riposto gli strumenti e invitato la
gente a rifarsi viva la sera successiva. E allora
finisce che li raggiungo al tavolo e da Carletto
faccio portare una cofanata di penne ai quattro
formaggi, sempre gradita dai ragazzi e anche dal
sottoscritto che a quell'ora è in perenne carenza di
cibo.
"Potrebbe chiedere ai Four Saints se ce la fanno
ancora a suonare un pezzetto? Volevo che lei
sentisse una cosa, Sergio. Cioè Maria. Ha
una bella voce, mi creda. Chissà che non le possa
interessare per un eventuale spettacolo. Io, intanto, mi
piazzerei alla batteria, se i ragazzi sono d'accordo".
Ettore non mi convince e io crollo dal sonno. E'
stata una serata faticosa e sinceramente ho pochissima
voglia di "giocare" al talent-scout che tenta di
scoprire "voci nuove". Non ho neppure il tempo per
abbozzare una qualsiasi risposta, per cercare una scusa
plausibile che lei è già davanti al microfono, sul
palco. Gli amici in pedana a fare un tifo da stadio: "Maria!
Maria!".
I Four Saints rimettono in funzione l'impianto
per gli strumenti e hanno la faccia di quelli che pure
si divertono: beati.
Maria non canta, urla. La sua voce raggiunge toni
da far rabbrividire e, a pensarci bene, mi sembra più
una matta che non un'aspirante vedette. Il pianista
malese, da parte sua, ci dà dentro come pochi e il
complesso va dietro a lei come può, adattandosi cioè al
ritmo da inferno dantesco. La Bussola, ormai così vuota,
si riempie di suoni e di voci che sono strilli: come se
all'interno del locale transitasse in quel momento un
uragano caraibico. Maria finisce sudata fradicia,
ma felice. E poi mi guarda con espressione tra il
divertito, l'interrogativo e il preoccupato. Lo sapevo
che non ero in vena, che non dovevo lasciarmi
coinvolgere dal gioco di questi ragazzi di Cremona.
"Sentimi bene, se vuoi un consiglio torna a studiare e
lascia perdere con il canto e con la musica. Urlando a
questo modo non credo che andrai molto lontano. Anzi,
penso che non andrai proprio da nessuna parte. E adesso,
ragazzi, si chiude baracca e si fila tutti a nanna. Ci
vediamo domani, come sempre. Inutile che vi supplichi di
fare poco casino". Sono piuttosto duro, me ne rendo
conto. Ma ho anche detto le cose che ho in testa. Il
coro "Maria! Maria!" si trasforma, intanto in
quello di "Focaccine! Focaccine!", il che sta a
significare che per quel gruppo di mattocchi non è
ancora finita. Sciamano via alla moda di
La voglia matta, il film di Salce che
dimostra quanto difficili siano da governare questi
giovani. Maria sta in coda alla fila e, prima di
uscire definitivamente dalla Bussola, mi lancia
un'occhiata che non ha bisogno di interpretazioni. Ci
faremo un sacco di risate, tra qualche anno, ricordando
quell'avvenimento, quella sera e quella mia "bocciatura"
artistica per la più grande cantante italiana dell'epoca
contemporanea.
Roma è ormai diventata la mia seconda città. A
Milano ho moglie e figli, nella capitale gli amici e la
gente giusta: quelli che mi consentono, durante i mesi
invernali non dedicati alle tournée, di riempire i silos
dello spettacolo che poi svuoterò in estate riversando
tutto il prodotto dentro la Bussola. David Matalon
è uno di questi miei amici. Impresario musicale e
scopritore di talenti, vive dalle dieci di sera fino
alle sette del mattino. A volte mi viene di pensarlo
come il Conte Dracula che appena, dal cielo, vien
giù una bava di luce lui deve correre a rifugiarsi nella
camera di qualche albergo. Glielo dico e lui risponde
che non ho torto: "Certo, son come Dracula.
Soltanto che non succhio il sangue alle mie vittime, ma
altre cose: doni artistici, naturali, che fiuto al primo
impatto. Raramente sbaglio. E questa sera ti concederò
l'ennesima dimostrazione. Si chiama Baby Gate. Il
nome non mi dice proprio nulla, semmai un poco mi
preoccupa per questa ricerca ostentata di americanismo,
talvolta da quattro soldi. "Ha diciotto anni e canta
tutte le sere in quel localino che sta vicino al
Quirinale. Preparati a farle un contratto per la
prossima estate", continua
David. Ma non mi bastano le sue parole, le sue
assicurazioni anche se so che lui vede lontano e che
bidoni non me ne ha mai tirati. Ora voglio proprio
sentirla, questa Baby Gate. Non mi viene un
accidente per un pelo. Ma quella non è Maria?
Cristo Santo, allora il mio consiglio di riprendere in
mano i libri della scuola e di lasciare perdere con la
musica lo ha buttato in strada... Un anno e mezzo appena
è passato da quella serata in Bussola, ma ora lei non si
limita soltanto ad urlare dentro un microfono. Maria
canta per davvero, pure se i toni della sua voce sono
sempre altissimi e se le sue non sono certo melodie da
ballo alla mattonella. "Scusa, Matalon, non
vorrei prendere lucciole per lanterne. Ma quella non è
una ragazza di Cremona che si chiama Maria Mazzini?
Forse mi sbaglio, confondo con un'altra che le
somiglia...". "Sbagli per niente. Si chiama proprio
così. L'ho ingaggiata da poco. E mi pare che se la stia
cavando niente male. A fine serata andiamo tutti a
mangiare un boccone alla "Buca" così le potrai parlare.
Non credo sfigurerebbe dentro la tua Bussola. Certo non
come numero di prima attrazione, eppure...". La guardo e
la riguardo. E' davvero scatenata e le sue braccia di
sana ragazza cremonese ruotano a mulinello nell'aria
seguendo il ritmo indiavolato. Che si nasconda in quelle
urla, però ora ben modulate, il futuro della musica
italiana? Non ho mai chiuso la porta in faccia a nessuna
novità, credo nelle rivoluzioni artistiche così come
credo nei ritorni ciclici delle mode e delle influenze
del passato sul presente. Tanto vale parlare con questa
Baby Gate: e per prima cosa dovrò chiederle
scusa. Ero proprio stanco quella sera!
NON HO MAI PERSO LA
BUSSOLA
- SERGIO BERNARDINI
GARZANTI EDITORE
(1987) - Prima parte
Anticonformista ed eccentrica, Mina è celebre
per le apparizioni fulminee, i periodi di ritiro, i
ritorni folgoranti. Ma Mina è sempre stata così
come la conosciamo? Prima di diventare famosa, prima di
essere
Mina, cosa faceva nella vita? Quando ha iniziato
a cantare, e come? "Ciao, sono Mina, mi fai
cantare?" È così che Renzo Donzelli, chitarrista
degli Happy Boys, si è imbattuto nella giovane
sconosciuta che, nel giro di pochi anni, sarebbe
diventata la Tigre di Cremona. Era il 1958,
e gli Happy Boys, in bilico tra la canzone
popolare italiana e la nascita del rock'n'roll
- figlio del mito americano - imperversavano per i
locali e le balere della Bassa padana. È forse inutile
sottolineare quanto la grinta, il fascino e
l'imprevedibilità di Mina abbiano dato al gruppo;
è invece fondamentale - ed estremamente curioso -
scoprire quanto questi ragazzi (i fratelli Nino e
Renzo Donzelli, Giorgio, Micio e
Fausto) abbiano aiutato a inventare e promuovere il
personaggio di Mina, sorprendente e sempre fuori
dagli schemi, così come ci appare oggi. Tato Crotti
e Giovanni Bassi, con un'indagine sul campo,
hanno scavato nel periodo meno noto della vita di
Mina Anna Mazzini e, grazie alla testimonianza di
amici di vecchia data e colleghi, ci raccontano gli
esordi, il carattere, le vicende più bizzarre e il
legame con Cremona.
MINA PRIMA DI MINA - TATO CROTTI/GIOVANNI BASSI
RIZZOLI EDITORE
(2007)
Il fenomeno musicale della ragazza di Cremona, nello
stanco panorama della canzone italiana, ha portato
indubbiamente una ventata di aria fresca. Il suo modo di
"urlare" è stato un duro scossone al dilagante
sentimentalismo facile, a base di "corde della mia
chitarra". Una specie di antidoto a certe sdolcinature,
alle mamme sole, alle barche che se ne vanno. "Ogni urlo
pareva un calcio a qualcosa che andava in frantumi",
scrive Giulio Nascimbeni. Va bene che nel '58 ci
aveva già pensato Domenico Modugno a
rivoluzionare la nostra canzone tradizionale. In coppia
con l'esordiente Johnny Dorelli vinse l'ottavo
Festival di Sanremo con il brano Nel blu dipinto
di blu, che diventò un clamoroso successo
internazionale. Negli Stati Uniti Volare eguagliò
la popolarità del mitico 'O sole mio. I cantanti
della vecchia guardia invece seguono con una certa
diffidenza la giovane collega, che qualcuno ha
cominciato a soprannominare la Tigre di Cremona.
"Odio chi mi ha affibbiato questa etichetta, che non
riesco a staccarmi di dosso", disse un giorno con rabbia
Mina, senza sapere che l'aveva battezzata così, non
pensando certo di infastidirla, la sua grande amica e
ammiratrice Natalia Aspesi. Erano gli anni della
"caramellaia" Tonina Torrielli, della
Nilla Pizzi che cantava "avvinta come l'edera".
Probabilmente a loro, che di gavetta ne avevano fatta
tanta, dava fastidio questa principiante figlia di papà,
che, sotto la tutela della mamma, si conquistava senza
fatica la televisione e i migliori locali della
penisola. Mina continua a considerare la
professione come un divertimento, nel senso che non le
costa fatica alcuna. Non fa mai pesare o, nulla a
nessuno. Arriva puntuale, si prepara, ma neanche tanto,
si piazza davanti al microfono, canta, e se ne va sempre
di buon umore. Un'allegria che riesce a trasmettere
anche in famiglia. "Quando mia figlia è in casa",
afferma papà Mino, "ci scombussola la vita tanto
è frenetica, ma ci riempie di una grande gioia".
MINA/Storia di un mito raccontata da Nino
Romano
RUSCONI EDITORE (1986)
Muore in fretta la scatenata "ragazza
all'americana" e subito nasce Mina: la mia
nipotina, unica e splendida nel suo genere. A volte
sorella, a volte persino madre, sempre amica. Per me e
per tutti coloro ai quali lei vuole bene. Perché non ci
sono tante Mina in una: lei non si sdoppia e non
si adatta alle situazioni, a seconda di come gira il
vento. Mina e basta, prendere o lasciare, ascolta
tutti e fa quello che ha già deciso prima di sentirli
parlare, di sentirli distribuire consigli. E' una forza
della natura che convoglia nella sua voce tutte le sue
doti umane, cioè un bagaglio di emozioni, di sensazioni
e di realtà che ti rapiscono e che ti portano via,
lontano, su un altro pianeta: il mondo di
Mina, senza trucchi e senza inganni. Una sola
parola d'ordine: essere sempre se stessa, mai tradire
gli amici. Questa è la Mina donna, madre,
compagna. Quella che imparo a conoscere e ad amare di un
affetto profondo proprio mentre lei mi dimostra, come
artista, di rappresentare non soltanto una pietra
miliare per la mia carriera, per la mia Bussola, ma
addirittura il carburante-super senza il quale il tempio
della musica popolare italiana non sarebbe stato
completo come, invece, fu.
Un percorso lungo una vita, comunque due carriere:
la sua e la mia. E come tutte le strade della vita che,
alla fine, portano comunque a qualcosa di positivo,
anch'essa lastricata di difficoltà, di trabocchetti, di
ostacoli all'apparenza insormontabili. Avendo tra le mani
una bomba è sempre complicato muoversi con scioltezza:
esiste ogni volta il timore che un tuo movimento
sbagliato, anche soltanto un'interpretazione del cammino
espressa in modo non corretto possa provocare una
deflagrazione gigantesca. E Mina è una vera e
propria bomba, al di là di ogni facile sillogismo che il
suo nome di battaglia potrebbe suggerire. Un ordigno che
può esplodere quando meno te l'aspetti proprio perché non
c'è nulla di studiato, di premeditato nel suo
atteggiamento di donna, prima, e di grande artista, dopo.
Il più delle volte incolpevole di quello che
disgraziatamente viene ad accadere intorno a lei. Uno
spettacolo che va in fumo. Un cantante che abbandona la
scena. Un re che va fuori di testa e rischia di commettere
incredibili sciocchezze. Un artista che strappa il
contratto. Un marito geloso. Una fuga sentimentale. Tutte
situazioni non promosse da lei direttamente, ma che
avvengono in virtù della sua esistenza e del suo modo di
comportarsi troppo genuinamente: una splendida
sentimentale-anarchica che se ne frega delle apparenze,
delle convenzioni e che pur di tirare dritta per la strada
prefissata non tiene conto di quello che può provocare con
i suoi atteggiamenti. Ma non soltanto, come ho già detto,
anche con il suo semplice modo di esistere.
Non è colpa sua se, ad esempio, Nicola Arigliano,
la sera che precede uno spettacolo con in cartellone lui,
Alighiero Noschese e la stessa Mina, mi si
presenta davanti in ufficio e mi strappa davanti agli
occhi il suo contratto. "Io non sapevo che avrei dovuto
cantare insieme con quella là. Io faccio musica per
davvero, io non urlo e basta. Preferisco pagare la penale.
Tanti saluti e arrivederci". La verità non è quella di
Nicola. E' certo che lui fa dell'ottimo jazz e che
potrebbe permettersi una carriera davvero molto importante
se decidesse di abbandonare una certa presunzione
artistica. Ma in quel momento, se decide di agire in
questo modo balzano non è perché rifiuta l'inquinamento
della sua professionalità con altre forme di spettacolo
più o meno eclatanti. In fondo c'è soltanto paura. Quella
determinata dal fatto di aver capito che lui, Nicola
Arigliano, rischia di toppare la serata perché messo a
confronto con un astro nascente come Mina che, per
esibirsi, prende come compenso appena duecentomila lire ma
che già richiama dentro la Bussola un pubblico destinato
soltanto a lei, alla Tigre di Cremona, come la
definiscono facendola andare su tutte le furie perché lo
pseudonimo non le piace affatto. Peccato per Arigliano
che, come dice il presentatore, "non può cantare per un
improvviso malore, peraltro di poco conto": già la "prima
Mina" vuol dire locale zeppo e gente appassionata
sotto il palco. E certe occasioni, seppure raccolte per
caso, non dovrebbero venir buttate al vento.
Comunque, Nicola non sarà il primo e neppure
l'ultimo a gettare la spugna a quel modo. Tante
promesse dovrò fare a Patty Pravo, a Rita Pavone,
persino alla grande Ornella Vanoni e a tante altre
vedettes ancora, maschietti compresi: "vi assicuro che una
settimana prima e una settimana dopo i vostro spettacolo
Mina non canterà alla Bussola". So che questo
atteggiamento potrebbe apparire come un capriccio,
addirittura una follia di artisti viziati. Però non è
così. La presenza di Mina in Versilia, infatti,
provoca situazioni del tutto inattese e comunque molto
particolari nel pubblico. Un suo spettacolo non dura una
sera soltanto: di lei si continua a parlare anche
dopo e per molti giorni, così come di lei si era detto
molto tempo prima che arrivasse. Ecco, la preoccupazione
degli altri divi non è legata ad un possibile confronto
artistico o al timore di sentirsi inferiori rispetto al
mostro sacro della canzone. Semmai una questione di
feeling che viene a mancare in sala e, conseguentemente,
sul palcoscenico: la gente con le orecchie puntate verso
la star di turno, ma con nella testa ancora le note avute
in dono da Mina. Ecco perché c'è un pizzico di
imbarazzo, ma molta ostinazione da parte di chi pretende
la "clausola anti-Mina" prima di firmare un
contratto. E per certi versi li capisco, così mi sforzo di
soddisfare le loro esigenze nei limiti dell'umano
possibile.
E lei, la grande vedette? Se ne frega anche
di questo. Oddio, forse un poco la stimola il fatto di
essere temuta come concorrente fuori le righe, come
pericolo pubblico numero uno nel mondo dello spettacolo.
Eppure non se ne fa un vanto, anzi: "Perché, Sergio, non
organizzi una tournée di sole donne? Potrebbe venir fuori
un successo davvero clamoroso", dice questo senza malizia,
come sempre. Non la sfiora neppure l'idea che le "altre"
la temano, comunque provino un certo imbarazzo e
sospettino profonde delusioni provocate da scontatissimi
confronti. E' difficile costringere Mina
all'assimilazione di concetti come questo che
prevedrebbero una filosofia di vita assolutamente diversa
dalla sua. Lei non ammette lo sgarbo, il dispetto, il
gesto maleducato, soprattutto quando questi tipi di
espressione vanno a colpire in basso, gente debole,
indifesa. Riesce persino a litigare con Elio Gigante,
l'uomo della sua vita professionale, il grande maestro di
tutti noi, il personaggio che più ha dato al mondo dello
spettacolo. Lei lo chiama "big" e l'appellativo si adatta
a pennello a quell'uomo dall'aspetto del duro incallito, a
tanta gente antipatico per via dei suoi modi spicci,
eppure vero come un diamante di Amsterdam in una vetrina
di
Tiffany.
Mina ci litiga e lo manda anche a quel paese senza
troppi complimenti perché l'impresario se l'è presa un po'
troppo calda con un elemento del complesso che accompagna
la cantante durante il suo show. Il chitarrista-basso non
sta bene quel giorno e le note, dallo strumento, non
escono pulite come dovrebbero. Gigante e Mina
sanno, tutti e due, che alla base di qualche "stecca" non
ci sta la cattiva volontà. Ma Elio, il duro
appunto, ha precise idee sul concetto di professionismo e
così il chitarrista si becca una bella multa. Almeno così
dovrebbe andare se non intervenisse Mina: "Big, se
non torni sui tuoi passi io questa sera non canto e lo
spettacolo lo fai tu, va bene? Certe ingiustizie non le
posso sopportare". Viene fuori un discreto casino, tipico
di due caratteri abbastanza simili che si trovano a
confronto su una banalità. Gigante urla che non gli
importa un accidente di quello che farà lei e che "di
cantanti come te ne trovo finché voglio" (ma sa che non è
vero). Mina risponde che la pensa esattamente allo
stesso modo e che "non faticherò certo a trovare un
manager più in gamba e meno orso di te" (ma anche lei sa
che non è vero). Si scannano per mezz'ora buona e alla
fine la morale è unica: il chitarrista non pagherà nessuna
multa, Mina entrerà in scena più brava e applaudita
che mai. Elio Gigante sarà sempre più convinto che
quella sua magnifica creatura sarà in grado di regalargli
un numero incredibile di soddisfazioni ancora maggiori di
quelle attuali.
NON HO MAI PERSO LA
BUSSOLA
- SERGIO BERNARDINI
GARZANTI
EDITORE
(1987) - Seconda parte
Fra i tanti brani portati al successo da
Mina, ce n'è uno, Grande grande grande,
che rivela una storia curiosa che mette in risalto il
carattere della cantante. Dimostra anche quanto la
fortuna possa decidere del destino di una canzone. I due
autori, Tony Renis (noto più come cantante che
come compositore) e il paroliere Alberto Testa,
tenevano nel cassetto da qualche anno questo brano.
L'avevano proposto a più editori e a più cantanti, tra
cui Iva Zanicchi,
Ornella Vanoni, Patty Pravo, Orietta
Berti. Nessuno si decideva a interpretarlo. Promesse
tante, ma nulla di veramente concreto. Accadono spesso,
e più di quel che si creda, situazioni di questo tipo
nel mondo della canzone.
Un pomeriggio Testa incontra Mina in
televisione. Le dice spudoratamente: "Ho scritto di
recente una bellissima cosa su misura per te. Quando hai
un momento, vieni a sentirla". La cantante, incuriosita,
non perde tempo. Il giorno dopo va a trovare il
paroliere nel suo studio, in
Galleria del Corso. "Fammi ascoltare questo
capolavoro che hai scritto per me", dice Mina,
che ha mangiato la foglia. Momento di panico da parte di
Testa. Ha riscritto il testo tre o quattro volte e
così, su due piedi, non sa cosa proporle. Chiama in
aiuto al telefono
Tony Renis, che dopo poco si precipita nello
studio tutto trafelato. Abbraccia Mina.
"Sorellina bella, sorellina fantastica", complimenti che
fanno parte del suo solito cliché e che infastidiscono
Mina.
Con grande meraviglia di Testa, Renis si
mette al pianoforte e propone il brano con le parole
della prima stesura, quella che avevano deciso di
bocciare. Al momento non ha soluzioni alternative: non
ricorda, o non sa dove sia andato a finire il testo
ritenuto valido, quello definitivo. Mina ha
straordinarie intuizioni: fiuta la validità del pezzo e
accetta di farlo. Dice Alberto Testa: "Mina
è talmente brava che potrebbe interpretare persino
l'elenco telefonico".
La storia di questa canzone ha un seguito. Grande
grande grande finisce in mano a un direttore
d'orchestra, che deve preparare la base musicale. Quando
è pronta Mina l'ascolta, ma non è convinta. Si
rivolge a un altro musicista, ma neanche questo riesce a
soddisfarla: forse non capisce quello che lei vuole.
Mina crede nella validità del brano, ma pretende
qualcosa di speciale. Si ricorda di avere tra i suoi
orchestrali un giovane promettente, Pino Presti.
Gli telefona: "Te la senti di preparare una cosa per
me?". Presti
sta per partire per le vacanze, ha già pronte le
valigie. Si mette subito al lavoro. A Mina piace
l'arrangiamento e incide il disco, col successo che
tutti sappiamo. Presti ha un premio: diventa il
suo direttore d'orchestra. Questa storia dimostra anche
un'altra cosa: come Mina sappia tramutare in oro
tutto quello che passa per la sua voce.
MINA/MITO E MISTERO - NINO ROMANO
SPERLING & KUPFER EDITORI
(1996)
Alla difesa dei deboli fa da contrappunto una certa,
naturale, ritrosia rispetto all'accettazione dei
potenti. Mina è una "vip" che non ama frequentare
gli altri "vip". Al tavolo dei potenti non va a sedersi
proprio mai, non per una forma di snobismo
all'incontrario, ma proprio perché il suo io più intimo
rifiuta la logica del "lei non sa chi sono io..." con
tutto quello che segue e con tutto ciò che comporta un
simile discorso. E dire che c'è chi farebbe carte false
pur di ingraziarsela, di conquistarla e, si vede,
persino amarla.
Il corteggiatore più ostinato è, senza dubbio
alcuno, re Faruk. Se ripasso mentalmente tutti i
recital di Mina alla mia Bussola non me ne viene
in mente uno solo scorporato dalla fotografia del
sovrano, in prima fila, ad applaudire e ad attendere un
segnale che mai sarebbe arrivato da parte della
cantante. I miei camerieri, in tutta la loro carriera,
non hanno mai portato rose in quantità industriale come
a quei tempi. Il camerino di Mina, prima dello
spettacolo, è una vera e propria serra: difficile
persino starci dentro senza provare un senso di
stordimento, di soffocamento. Rose di ogni qualità e di
ogni colore per lei. E sempre il solito biglietto di
invito: "A dopo lo spettacolo, al mio tavolo", firmato
re Faruk. Io tento un bel po' di volte di
convincerla: "che tu vada a bere almeno una coppa di
champagne, non ci vedo nulla di male in tutto questo". E
lei, puntuale: "Sergio, cosa vuoi che ne sappia io di re
e di sovrani. Non saprei proprio cosa dire, anzi mi
verrebbe anche da ridere. Ti farei fare una figuraccia.
Lasciamo perdere, va'". Così, dopo il solito trionfo
decretato da un pubblico addirittura incantato dalla sua
voce e dal suo modo di esibirsi, finisce con Mina
al tavolo dello scopone in compagnia di giovani che lo
smoking non sanno neppure cosa sia e con re Faruk,
che, sempre più perplesso, continua a coccolarsi da
lontano l'oggetto (non più segreto) dei suoi desideri,
meditando su quale mai potrebbe essere la prossima mossa
per vincere tanta ostinatezza. E io ripenso, con
terrore, all'arrivo di qualche altro furgoncino carico
di rose e mi gira sempre più la testa.
La vogliono come ospite ai matrimoni dei rampolli
"bene". Oppure alle feste private nelle ville di Forte
dei Marmi. Avere Mina è un onore o, forse,
soltanto la possibilità di farsi belli, in seguito, con
una situazione parecchio chic. Delusioni a gogò per
tutti. Lei non dice mai di no. Però non dice neppure sì.
Comunque non si presenta e basta, rendendo vano e anche
un poco ridicolo il solito "pissi-pissi" tipo: "ti
assicuro cara che, questa sera, Mina verrà
veramente da noi, sarà una sorpresona per tutti.
Vedrai".
Lei ama altri tipi di sorprese. Nella chiesetta
di Focette, alle nove del mattino, si sposa la figlia
del mio cuoco, quello che aiuta Carletto Pirovano
a tenere alto il nome della Bussola-ristorante. Le nove
del mattino per Mina sono come le due di notte
per una persona normale che è andata a letto poco prima
della mezzanotte. Eppure è lei quella che arriva, in
jeans e maglietta, l'aria un poco stonata, ma con un
sorriso grande così: un bacio alla sposa, un altro bacio
allo sposo e una bella fotografia di gruppo lontano dai
paparazzi professionisti che pagherebbero di tasca loro
per riprendere la scena. Ecco le sorprese che ama lei.
Sempre nella stessa chiesa di Focette questa volta c'è
un battesimo. E' nato un figlio a Ciompi Romitelli,
uno tra i miei più validi collaboratori di sala. Soliti
jeans e solita maglietta con dentro la solita Mina
dagli occhi felici: farà la madrina del piccolo.
Ciompi glielo aveva chiesto in un attimo di follia
notturna del dopolavoro e lei aveva risposto che sarebbe
stata felicissima. Ma poi l'argomento non era più stato
toccato e lo stesso Ciompi non si illudeva
troppo. Non sapeva, lui, che Mina mantiene sempre
le promesse: purché non si tratti di "vip".
Grande nelle sue gioie, grande nei suoi dolori,
irriducibile nelle sue scelte anche in quelle più
difficili e maggiormente affannose. Non è un'eroina, ma
soltanto una donna consapevole del proprio ruolo e mai
minimamente disposta a cedere un solo millimetro dello
spazio conquistato e che ritiene suo per diritto di
battaglia vinta.
Ride come una matta quando mi confessa di essere
incinta. Partorirà Massimiliano nella clinica
Mangiagalli di Milano e sarà la medesima levatrice che
già aveva aiutato mia moglie durante la gravidanza ad
assisterla: la signora Abatini. Vorrei rivederla
un giorno. Credo che anche Mina abbia questo
desiderio. I media la divorano, dopo averla fatta a
brandelli, per questa sua storia con Corrado Pani.
Lei tira dritto e ride: "Sai, Sergio, credo che riuscirò
ad essere una buona mamma. E mio fratello Alfredo
sarà uno zio splendido. Alleveremo noi due la creatura.
Quando io sarò in giro per lavoro baderanno mio fratello
e mia madre a farlo star bene, a fargli capire quant'è
bella la vita e quanto merita di essere vissuta". No, la
vita spesso non è per niente bella. Alfredo non
curerà proprio nessun bebè. Non credo di aver mai visto,
in tutta la mia esistenza, una persona soffrire a quel
modo. Muore il caro Alfredo, detto Geronimo,
in un incidente stradale. In ogni lacrima, delle tante,
che versa Mina c'è l'effetto dirompente di un
mondo che va a pezzi. Uno tra gli affetti a lei più cari
si dissolve come la neve al sole: un dramma che si
porterà per sempre dentro, la mia grande amica. Neppure
minimamente paragonabile alla crisi, profonda anche
quella, provocata dal dissesto finanziario che vede suo
padre come vittima e che prelude ad un tentativo di
suicidio fortunatamente fallito. E' a quel punto,
comunque, che Mina recupera o assimila ex novo un
concetto di denaro completamente diverso. Uno
spettacolo, un altro ancora. Una tournée, e poi subito
un'altra: "Devo aiutare mio padre, devo mandare i soldi
a casa". Il ritmo diventa persino ossessivo. Ma lei è
fatta a questo modo: deve vivere le cose nella loro
pienezza, fino in fondo, assorbire sia il bene che il
male per sentirsi viva, produttiva, un essere vivente
con uno scopo preciso.
Ma neppure il bisogno di quattrini, per fortuna
di breve durata, l'acceca al punto di renderla diversa
da quello che è. Il suo schierarsi sempre dalla parte
dei non potenti, comunque il suo desiderio mai nascosto
di voler giocare sempre e comunque il ruolo della
chioccia a difesa dei suoi pulcini, viene esemplificato
da particolari assai minimi, ma non per questo meno
significativi. Capita, ad esempio, che in un recital a
Modica, in Sicilia, insieme con Gaber, per cause
di forza maggiore lo spettacolo non si possa fare. Il
contratto parla chiaro. I due artisti potranno godere
egualmente della loro paga concordata, mentre gli
orchestrali dovranno rinunciare al loro giornaliero. A
Mina la cosa non garba e decide subito di
rinunciare ai quattrini: "Loro guadagnano molto meno di
noi. Non potrei mai prendere questi soldi, stasera,
sapendo che gli altri rimarranno al verde". Il bello è
che convince anche Giorgio Gaber a comportarsi
nello stesso modo, pure se il cantante milanese ha
qualche dubbio al proposito. A fine tournée, gli
orchestrali fanno ai due famosi colleghi un regalo
bellissimo spendendo, tra l'altro, molto più di quanto
avevano guadagnato quella famosa sera. Una forma di
solidarietà, nel mondo dello spettacolo, che raramente
ho visto realizzarsi, ma che Mina ha sempre
frequentato con assoluta dignità e non certo per amore
di esibizionismo. Cose che fanno bene al cuore, che
permettono di non sentirti solo in un mondo di lupi
affamati, che ti consentono di tirare avanti in barba a
tutti gli ostacoli da superare. Ma anche un marchio di
fabbrica assai raro. Il marchio Mina Mazzini,
appunto. Che il suo desiderio di assoluta autonomia
talvolta sconfini nella follia o, comunque, nello
nello stravolgimento di certi valori è fuori
discussione. Però anche nei suoi colpi di testa Mina
riesce a mantenere integro il rispetto per le cose
altrui e salva la sua innata classe.
Io non posso immaginare, ad esempio, che a Terni
una sera la combini grossa. A cena, prima dello
spettacolo, ci stanno alcuni amici miei. Tra questi c'è
Zampa, il giornalista, e altre persone che non
conosco. Mina è con me. Zampa fa le
presentazioni. "Signora, questo ragazzo dall'aria del
bebè, ma con l'esperienza dell'uomo vissuto è
Virgilio Crocco". Piacere! Piacere mio! Conoscendola
a fondo dovrei saper interpretare quel suo sguardo da
grandi occasioni. Ma, evidentemente, sono distratto.
Quindici giorni dopo siamo a Torino, per il recital in
programma la sera successiva. Mina si avvicina
con uno strano sorriso sulle labbra e poi mi abbraccia e
comincia a fare le fusa. "Non ci casco, bella mia. Cosa
stai per chiedermi? Guarda di non battere cassa perché
non è proprio il caso". "Vado a sposarmi, Sergio. Vado a
sposarmi. Però non devi dirlo a nessuno. Virgilio
mi aspetta e io sono felice come mai nella mia vita".
Non so più cosa dire e il mio imbarazzo si trasforma in
una grande fregatura: perché lei mi salta addosso e mi
bacia come si fa con il padre che ha deciso di esaudire
un enorme desiderio della figlia. "Sapevo che avresti
capito. Ci vediamo sabato prossimo, al Petruzzelli
di Bari. Ci sarò, contaci. E adesso smettila di fare
quella faccia. Sapessi come sei buffo!". Questa non la
vedo più per un mese e io sono inguaiato, penso. Eppure
dovrei conoscerla. Il sabato successivo, infatti,
Mina è lì, puntuale come un cucù. "Ti ho detto che
canto e non mancherò la promessa". Il solito successo e,
in platea, un uomo felice come lei ad applaudirla.
Ora non c'è e mi manca. Mi manca lei come
persona, come amica voglio dire. Mi mancano le sue
manie, tipo non mettersi a dormire in una camera
d'albergo se non dopo aver rovistato persino sotto il
letto. Mi mancano le sue bugie ("Canto solo per denaro")
e le sue verità ("Forza, Sergio, rifacciamo il culo a
tutti. Vedrai che roba!"). Non so se, un giorno, tornerà
a cantare in pubblico: negli ultimi tempi da ogni
concerto usciva distrutta, quasi inebetita. ma so che se
dovesse ritentare un'avventura del genere non si
comporterà come Frank Sinatra il quale aveva
stragiurato di realizzare soltanto con me una sua
eventuale tournée italiana. Lei non appartiene a nessuna
Famiglia. Ed è per questo che, quando sento suonare il
telefono, voglio illudermi che sia la volta buona.
NON HO MAI PERSO LA
BUSSOLA
- SERGIO BERNARDINI
GARZANTI
EDITORE
(1987) - Terza e ultima parte
Mina e il cinema: un
appuntamento mancato - Nel decennio compreso tra gli
anni Sessanta e Settanta, era una pratica abituale
trasferire i cantanti di successo sul grande schermo
dove, più o meno opportunamente inseriti in una
sceneggiatura senza troppe pretese, coglievano
un'ulteriore occasione per manifestare le loro doti
canore interpretando i pezzi di successo nel bel mezzo
di una dichiarazione d'amore oppure camminando per la
strada. Questa moda del film musicale - ma non certo nel
senso di musical - riuscì a coinvolgere parecchi
interpreti allora di punta, da Rita Pavone a
Gianni Morandi, da Al Bano a Caterina
Caselli, ma, inutile dirlo, nonostante si divertisse
molto durante la lavorazione, Mina non fu mai
entusiasta di realizzarli rifiutando molte proposte. Non
riuscì, comunque, a sottrarsi a questa consuetudine del
film canoro finendo di malavoglia in una decina di
pellicole commerciali, quasi tutte realizzate nello
stesso anno: una partecipazione a un film girato in
Germania dal titolo
Europa di notte con Colin Hicks, fratello
di
Tommy Steele, e i Platters;
Appuntamento a Ischia con Domenico Modugno e
Antonella Lualdi (1960);
Madri pericolose con Delia Scala e
Riccardo Garrone (1960);
Urlatori alla sbarra con Adriano Celentano
e
Joe Sentieri (1960); I teddy boys della
canzone con
Teddy Reno e Delia Scala (1960);
Sanremo la grande sfida con
Domenico Modugno e Teddy Reno (1960);
Io bacio... tu baci con Umberto Orsini,
Gianni Meccia e
Adriano Celentano (1961); Mina... fuori la
guardia con
Arturo Testa; Appuntamento in riviera con
Tony Renis
e Francesco Mulè (1962); Canzoni nel mondo
con
Dean Martin e Peppino Di Capri (1963);
Per amore... per magia... con
Gianni Morandi, Sandra Milo e Rossano
Brazzi (1967). In quel periodo era comunque una
convenzione acquisita con il pubblico che i suoi
beniamini comparissero prima o poi al cinema a
riproporre i loro successi.
Nel caso di
Mina, il suo rifiuto a continuare a proporsi in
film di questo tipo non fu nemmeno legato alla
peculiarità commerciale di queste pellicole, ma al fatto
di non ritenersi affatto una valida attrice al punto da
rifiutare, con la sua consueta coerenza, offerte ben più
allettanti da parte di registi importantissimi come
Federico Fellini e
Luchino Visconti. Unica stella del mondo canoro a
essere interpellata da tali mostri sacri, lei disse
tranquillamente di no. Lo stesso Falqui ricorda
come fosse difficile convincerla persino a girare le
semplici scenette recitate che lui spesso inseriva nei
suoi varietà e la delusione di aver dovuto rinunciare a
veri e propri musical nei quali Mina sarebbe
stata strepitosa: - Dovevo fare una Vedova
allegra di Lehar e volevo assolutamente
Mina
come interprete principale - racconta il regista -
ma non ci fu niente da fare perché lei diceva che
avrebbe dovuto recitare... "Ma che recitare?" le
rispondevo io "La Vedova allegra è tutta cantata,
non devi recitare nulla, basta che tu scendi le scale
vestita di nero con una piuma qui e sei Anna Glavari!".
"No, no, io canto, io faccio Mina, non posso fare
la signora Glavari!" rispondeva lei
cocciutissima. "Ma che c'entra? Anche quando fai uno
sketch con Tino Scotti entri in un personaggio...
fai la spalla di Tino Scotti, non
Mina...". La vedova allegra, poi, è
musicale al 98%, anche perché, essendo le operette in
genere molto stupide, con una musica splendida come
quella di Lehar, diventano una gran cosa. "Dovrai
dire sì e no dieci frasi", le dissi e alla fine riuscii
a convincerla a fare una prova e niente più, fu
irremovibile.... Tutti la volevano al cinema, ma lei non
acconsentì mai perché aveva paura. Così come non accettò
mai di andare a esibirsi in America e non tanto per la
paura dell'aereo, perché allora si prendeva anche la
nave, ma perché lei era convinta di non essere così
speciale: "Vado lì e ce ne sono cinquemila come me
mentre qui sono unica", diceva, e un po' aveva ragione.
In America c'era Ella Fitzgerald, qui no.
Comunque, al di là del recitare,
Mina non ha mai amato molto muoversi dall'Italia.
In Germania andava e va ancora fortissimo. Ci sono
teatri enormi, con le scale mobili che Milva, che
non è Mina, ha riempito completamente. C'è da
chiedersi Mina cosa avrebbe fatto... Non c'è mai
voluta andare. -
Il grande Totò,
invece, unica voce dissonante nel coro di chi voleva a
tutti i costi Mina sul grande schermo, osò dire
che con la recitazione non c'entrava proprio niente...
DIVINA
MINA - DORA GIANNETTI
DALAI
EDITORE
(1998)
ARTICOLI
La Repubblica 1985/1990 -
Il genio della Tigre di Cremona -
I miei 50 anni con Mina -
Il glamour in bianco e nero della Tigre
-
Al mio segnale scatenate l'inferno -
Inni con anima
LE MIE RECENSIONI
Amanti di valore -
Frutta e verdura -
Caramella -
Facile -
Piccolino -
Selfie -
Gli anni Rai (dvd) -
Maeba -
Mina-Celentano Amami - Amami
-
Mina-Celentano - LE MIGLIORI -
Fotogrammi da un canzoniere -
Volevo scriverti da tanto -
Mina Fossati
ALTRE RECENSIONI...
N.° 0 -
Finalmente ho conosciuto il conte Dracula
-
Sorelle Lumière
-
Rane supreme -
Lochness -
Caterpillar
-
Catene -
Bula Bula
GALLERIA FOTOGRAFICA DEDICATA
MINA Portfolio
MINA
in ALTRE GALLERIE FOTOGRAFICHE
Cosa vi siete messi in testa?
Copertine iconiche * Prima parte
Tele Visioni|Cento fotogrammi in
disordine sparso
Incontri ravvicinati e affetti speciali
Smoke gets in your eyes
Anni Sessanta e dintorni
Voci Divine Live
Silenzio in sala
Monocromie