MINA PAGINA INDEX AGGIORNATA AL 22.7.2021

 

 

 

MINA Simply the Best

 

Per favore, lasciatemi nell'ombra Resta sempre lì questo libro, copertina rosso-Adelphi, sul tavolo che ospita le mie abituali letture. Raccoglie alcune interviste a Carlo Emilio Gadda, oltre al mio pensiero che esprime un diritto assoluto: essere altrove, lontano da dove scorre la visibilità, in disparte rispetto alla luce accecante del subbuglio dell'esserci. Ne parla, in modo tecnico, anche Filippo D'Arino, nel suo recente "Manuale di sparizione - La sfida dell'invisibilità nella società del controllo". Nel calderone del business è entrato anche il legittimo desiderio di sparire. Siti internettiani offrono il kit del perfetto scomparso, dalle carte d'identità a quelle di credito e ai conti bancari offshore. Metodi e tecniche per darsela a gambe senza lasciare tracce, per non farsi riacciuffare mai più. Per sfuggire al controllo di uno Stato braccia lunghe e occhi penetranti, antropomorficamente invasivo. Ma la questione non attiene alla tecnica dell'autosparizione, né tantomeno ai chilometri da percorrere. Già Seneca si chiedeva: "A che giova attraversare i mari e andare di città in città? Se vuoi sfuggire dai mali che ti angustiano, non devi andare in un altro luogo, ma devi essere un altro uomo". Rivolgendosi a quei suoi contemporanei che, annoiati dalla vita banale di Roma, si dirigevano nella selvaggia Lucania o verso il clima mite di Taranto, li ammoniva: "Questo vagare qua e là senza meta non ti darà alcun vantaggio, poiché porti con te le tue passioni e i tuoi vizi ti seguono. I mali che fuggi sono in te". Il giardino delle delizie, circondato dalla siepe d'alloro, è qui vicino. Una sedia di vimini o una vecchia sdraio sono confini, già ampi, per il bisogno di sparire. Da lì, il massimo della distanza è il raggio d'azione della mia mano che si allunga fino a un vecchio Dante o a una recente riedizione di Borges. E la fuga diventa totale. Proibita l'agitazione, legittimo e adorato il diritto di annoiarsi. Un'ombra che si insinua dalle fessure delle persiane, un silenzio immobile per ritirarsi in se stessi. Anzi, per mettersi in salvo anche da se stessi e guardare a quell'altrove che vive in certe pagine e si distende in certa musica. Dove non sono straniere, ma anzi benvenute, le persone care che condividono la scelta di essere di più, nella riduzione dell'esserci, di far esplodere l'essenziale, nella lotta al virus della visibilità presenzialista. Dall'angolo più nascosto, dalla sedia di vimini, è più facile vedere che tutto, anche l'universo, si espande. Senza bisogno di fare un passo. Mina

 

LA STAMPA - 21.5.2006 - Illustrazione Gianni Ronco

 

Non ho mai posseduto una cassaforte, né l'avrò. Eppure saprei cosa metterci dentro, al riparo, ben custodita. Una speranza enorme e sincera al punto che, quotidianamente, la potrei curare e coccolare come se si trattasse di un bebè. Per essere maggiormente preciso e fedele alla situazione, dovrei chiamarla illusione, non speranza. Ma so che il confine tra l'una cosa e l'altra è talmente vago, talmente indecifrabile... e allora voglio che continui a esistere come speranza, come sogno realizzabile: almeno per una volta ancora. Basterebbe una telefonata. Magari fatta nelle ore più impossibili della notte, cioè in linea con il personaggio. Un paio di squilli appena, così tanto per distogliere la mia attenzione dalla progressiva e sempre più marcata insonnia attuale, e, dall'altro capo del filo, una voce pronta a suggerirmi un antico messaggio in codice: "Forza, Sergio, rifacciamo il culo a tutti!". Soltanto una persona potrebbe dirmi una cosa del genere, ringiovanendomi di parecchie stagioni e ridandomi il coraggio e la forza per sentirmi nuovamente come un toro scatenato. Quella persona dovrebbe essere Mina Mazzini. Ma sarebbe come pretendere di sedersi davanti al tavolo della roulette per vedere il numero zero uscire dieci volte di fila. Anzi, più facile che si attui questo secondo fenomeno che non il primo. Però io voglio puntare egualmente e non mi stancherò mai di farlo, di aspettare, di crederci e, quindi, di sognare e di sperare anche se di mezzo ci sta sempre quella maledetta parolina: illusione.

In fondo alla Bussola, tra la fine della sala e l'inizio del ristorante, ci sta un tavolo di scatenati. Dieci-ragazzi-dieci governati e istruiti da un capo combriccola indiscutibilmente leader e assolutamente donna. Maria: che ne inventa sempre una nuova per far ammattire i camerieri, per mettere in imbarazzo i clienti dei tavoli vicini, per farmi talvolta perdere la pazienza, tipo presentarsi vestita da spiaggia nella serata "elegante" del bianco e nero ("Ma la mia maglietta e i miei pantaloni sono di questo colore, Sergio, non vede? Che cosa possiamo farci se siamo poveri", mi provoca Maria che divorerei dopo averla strozzata). Non sono poveri per niente. Tutti figli della buona borghesia di Cremona e sostanzialmente tutti ragazzi di rara simpatia, non avessero il vizio di voler recitare il ruolo di rompiballe ad ogni costo. Fanno parte del "colore" della Bussola e, tutto sommato, meglio loro di tanti altri con la puzzetta sotto il naso e la maleducazione sempre in tasca. Con loro non si va oltre a Coca-Cola, aranciata, latte-menta o gassosa con birra, però ci pensano i loro genitori a tenere in piedi il bilancio con superlative ordinazioni di champagne e, poi, non mi pare il caso di sottilizzare troppo. In fin dei conti mi diverto pure io, quando non esagerano, a bazzicarli. Specie a fine serata. Sono sempre gli ultimi a levare le tende dopo che l'orchestra ha riposto gli strumenti e invitato la gente a rifarsi viva la sera successiva. E allora finisce che li raggiungo al tavolo e da Carletto faccio portare una cofanata di penne ai quattro formaggi, sempre gradita dai ragazzi e anche dal sottoscritto che a quell'ora è in perenne carenza di cibo.

"Potrebbe chiedere ai Four Saints se ce la fanno ancora a suonare un pezzetto? Volevo che lei sentisse una cosa, Sergio. Cioè Maria. Ha una bella voce, mi creda. Chissà che non le possa interessare per un eventuale spettacolo. Io, intanto, mi piazzerei alla batteria, se i ragazzi sono d'accordo". Ettore non mi convince e io crollo dal sonno. E' stata una serata faticosa e sinceramente ho pochissima voglia di "giocare" al talent-scout che tenta di scoprire "voci nuove". Non ho neppure il tempo per abbozzare una qualsiasi risposta, per cercare una scusa plausibile che lei è già davanti al microfono, sul palco. Gli amici in pedana a fare un tifo da stadio: "Maria! Maria!".

 

 

I Four Saints rimettono in funzione l'impianto per gli strumenti e hanno la faccia di quelli che pure si divertono: beati. Maria non canta, urla. La sua voce raggiunge toni da far rabbrividire e, a pensarci bene, mi sembra più una matta che non un'aspirante vedette. Il pianista malese, da parte sua, ci dà dentro come pochi e il complesso va dietro a lei come può, adattandosi cioè al ritmo da inferno dantesco. La Bussola, ormai così vuota, si riempie di suoni e di voci che sono strilli: come se all'interno del locale transitasse in quel momento un uragano caraibico. Maria finisce sudata fradicia, ma felice. E poi mi guarda con espressione tra il divertito, l'interrogativo e il preoccupato. Lo sapevo che non ero in vena, che non dovevo lasciarmi coinvolgere dal gioco di questi ragazzi di Cremona. "Sentimi bene, se vuoi un consiglio torna a studiare e lascia perdere con il canto e con la musica. Urlando a questo modo non credo che andrai molto lontano. Anzi, penso che non andrai proprio da nessuna parte. E adesso, ragazzi, si chiude baracca e si fila tutti a nanna. Ci vediamo domani, come sempre. Inutile che vi supplichi di fare poco casino". Sono piuttosto duro, me ne rendo conto. Ma ho anche detto le cose che ho in testa. Il coro "Maria! Maria!" si trasforma, intanto in quello di "Focaccine! Focaccine!", il che sta a significare che per quel gruppo di mattocchi non è ancora finita. Sciamano via alla moda di La voglia matta, il film di Salce che dimostra quanto difficili siano da governare questi giovani. Maria sta in coda alla fila e, prima di uscire definitivamente dalla Bussola, mi lancia un'occhiata che non ha bisogno di interpretazioni. Ci faremo un sacco di risate, tra qualche anno, ricordando quell'avvenimento, quella sera e quella mia "bocciatura" artistica per la più grande cantante italiana dell'epoca contemporanea.

Roma è ormai diventata la mia seconda città. A Milano ho moglie e figli, nella capitale gli amici e la gente giusta: quelli che mi consentono, durante i mesi invernali non dedicati alle tournée, di riempire i silos dello spettacolo che poi svuoterò in estate riversando tutto il prodotto dentro la Bussola. David Matalon è uno di questi miei amici. Impresario musicale e scopritore di talenti, vive dalle dieci di sera fino alle sette del mattino. A volte mi viene di pensarlo come il Conte Dracula che appena, dal cielo, vien giù una bava di luce lui deve correre a rifugiarsi nella camera di qualche albergo. Glielo dico e lui risponde che non ho torto: "Certo, son come Dracula. Soltanto che non succhio il sangue alle mie vittime, ma altre cose: doni artistici, naturali, che fiuto al primo impatto. Raramente sbaglio. E questa sera ti concederò l'ennesima dimostrazione. Si chiama Baby Gate. Il nome non mi dice proprio nulla, semmai un poco mi preoccupa per questa ricerca ostentata di americanismo, talvolta da quattro soldi. "Ha diciotto anni e canta tutte le sere in quel localino che sta vicino al Quirinale. Preparati a farle un contratto per la prossima estate", continua David. Ma non mi bastano le sue parole, le sue assicurazioni anche se so che lui vede lontano e che bidoni non me ne ha mai tirati. Ora voglio proprio sentirla, questa Baby Gate. Non mi viene un accidente per un pelo. Ma quella non è Maria? Cristo Santo, allora il mio consiglio di riprendere in mano i libri della scuola e di lasciare perdere con la musica lo ha buttato in strada... Un anno e mezzo appena è passato da quella serata in Bussola, ma ora lei non si limita soltanto ad urlare dentro un microfono. Maria canta per davvero, pure se i toni della sua voce sono sempre altissimi e se le sue non sono certo melodie da ballo alla mattonella. "Scusa, Matalon, non vorrei prendere lucciole per lanterne. Ma quella non è una ragazza di Cremona che si chiama Maria Mazzini? Forse mi sbaglio, confondo con un'altra che le somiglia...". "Sbagli per niente. Si chiama proprio così. L'ho ingaggiata da poco. E mi pare che se la stia cavando niente male. A fine serata andiamo tutti a mangiare un boccone alla "Buca" così le potrai parlare. Non credo sfigurerebbe dentro la tua Bussola. Certo non come numero di prima attrazione, eppure...". La guardo e la riguardo. E' davvero scatenata e le sue braccia di sana ragazza cremonese ruotano a mulinello nell'aria seguendo il ritmo indiavolato. Che si nasconda in quelle urla, però ora ben modulate, il futuro della musica italiana? Non ho mai chiuso la porta in faccia a nessuna novità, credo nelle rivoluzioni artistiche così come credo nei ritorni ciclici delle mode e delle influenze del passato sul presente. Tanto vale parlare con questa Baby Gate: e per prima cosa dovrò chiederle scusa. Ero proprio stanco quella sera!

 

NON HO MAI PERSO LA BUSSOLA - SERGIO BERNARDINI

GARZANTI EDITORE (1987) - Prima parte

 

 

 

 

Anticonformista ed eccentrica, Mina è celebre per le apparizioni fulminee, i periodi di ritiro, i ritorni folgoranti. Ma Mina è sempre stata così come la conosciamo? Prima di diventare famosa, prima di essere Mina, cosa faceva nella vita? Quando ha iniziato a cantare, e come? "Ciao, sono Mina, mi fai cantare?" È così che Renzo Donzelli, chitarrista degli Happy Boys, si è imbattuto nella giovane sconosciuta che, nel giro di pochi anni, sarebbe diventata la Tigre di Cremona. Era il 1958, e gli Happy Boys, in bilico tra la canzone popolare italiana e la nascita del rock'n'roll - figlio del mito americano - imperversavano per i locali e le balere della Bassa padana. È forse inutile sottolineare quanto la grinta, il fascino e l'imprevedibilità di Mina abbiano dato al gruppo; è invece fondamentale - ed estremamente curioso - scoprire quanto questi ragazzi (i fratelli Nino e Renzo Donzelli, Giorgio, Micio e Fausto) abbiano aiutato a inventare e promuovere il personaggio di Mina, sorprendente e sempre fuori dagli schemi, così come ci appare oggi. Tato Crotti e Giovanni Bassi, con un'indagine sul campo, hanno scavato nel periodo meno noto della vita di Mina Anna Mazzini e, grazie alla testimonianza di amici di vecchia data e colleghi, ci raccontano gli esordi, il carattere, le vicende più bizzarre e il legame con Cremona.

 

MINA PRIMA DI MINA - TATO CROTTI/GIOVANNI BASSI

RIZZOLI EDITORE (2007)

 

 

 

 

Il fenomeno musicale della ragazza di Cremona, nello stanco panorama della canzone italiana, ha portato indubbiamente una ventata di aria fresca. Il suo modo di "urlare" è stato un duro scossone al dilagante sentimentalismo facile, a base di "corde della mia chitarra". Una specie di antidoto a certe sdolcinature, alle mamme sole, alle barche che se ne vanno. "Ogni urlo pareva un calcio a qualcosa che andava in frantumi", scrive Giulio Nascimbeni. Va bene che nel '58 ci aveva già pensato Domenico Modugno a rivoluzionare la nostra canzone tradizionale. In coppia con l'esordiente Johnny Dorelli vinse l'ottavo Festival di Sanremo con il brano Nel blu dipinto di blu, che diventò un clamoroso successo internazionale. Negli Stati Uniti Volare eguagliò la popolarità del mitico 'O sole mio. I cantanti della vecchia guardia invece seguono con una certa diffidenza la giovane collega, che qualcuno ha cominciato a soprannominare la Tigre di Cremona. "Odio chi mi ha affibbiato questa etichetta, che non riesco a staccarmi di dosso", disse un giorno con rabbia Mina, senza sapere che l'aveva battezzata così, non pensando certo di infastidirla, la sua grande amica e ammiratrice Natalia Aspesi. Erano gli anni della "caramellaia" Tonina Torrielli, della Nilla Pizzi che cantava "avvinta come l'edera". Probabilmente a loro, che di gavetta ne avevano fatta tanta, dava fastidio questa principiante figlia di papà, che, sotto la tutela della mamma, si conquistava senza fatica la televisione e i migliori locali della penisola. Mina continua a considerare la professione come un divertimento, nel senso che non le costa fatica alcuna. Non fa mai pesare o, nulla a nessuno. Arriva puntuale, si prepara, ma neanche tanto, si piazza davanti al microfono, canta, e se ne va sempre di buon umore. Un'allegria che riesce a trasmettere anche in famiglia. "Quando mia figlia è in casa", afferma papà Mino, "ci scombussola la vita tanto è frenetica, ma ci riempie di una grande gioia".

 

MINA/Storia di un mito raccontata da Nino Romano

RUSCONI EDITORE (1986)

 

 

 

 

Muore in fretta la scatenata "ragazza all'americana" e subito nasce Mina: la mia nipotina, unica e splendida nel suo genere. A volte sorella, a volte persino madre, sempre amica. Per me e per tutti coloro ai quali lei vuole bene. Perché non ci sono tante Mina in una: lei non si sdoppia e non si adatta alle situazioni, a seconda di come gira il vento. Mina e basta, prendere o lasciare, ascolta tutti e fa quello che ha già deciso prima di sentirli parlare, di sentirli distribuire consigli. E' una forza della natura che convoglia nella sua voce tutte le sue doti umane, cioè un bagaglio di emozioni, di sensazioni e di realtà che ti rapiscono e che ti portano via, lontano, su un altro pianeta: il mondo di Mina, senza trucchi e senza inganni. Una sola parola d'ordine: essere sempre se stessa, mai tradire gli amici. Questa è la Mina donna, madre, compagna. Quella che imparo a conoscere e ad amare di un affetto profondo proprio mentre lei mi dimostra, come artista, di rappresentare non soltanto una pietra miliare per la mia carriera, per la mia Bussola, ma addirittura il carburante-super senza il quale il tempio della musica popolare italiana non sarebbe stato completo come, invece, fu.

Un percorso lungo una vita, comunque due carriere: la sua e la mia. E come tutte le strade della vita che, alla fine, portano comunque a qualcosa di positivo, anch'essa lastricata di difficoltà, di trabocchetti, di ostacoli all'apparenza insormontabili. Avendo tra le mani una bomba è sempre complicato muoversi con scioltezza: esiste ogni volta il timore che un tuo movimento sbagliato, anche soltanto un'interpretazione del cammino espressa in modo non corretto possa provocare una deflagrazione gigantesca. E Mina è una vera e propria bomba, al di là di ogni facile sillogismo che il suo nome di battaglia potrebbe suggerire. Un ordigno che può esplodere quando meno te l'aspetti proprio perché non c'è nulla di studiato, di premeditato nel suo atteggiamento di donna, prima, e di grande artista, dopo. Il più delle volte incolpevole di quello che disgraziatamente viene ad accadere intorno a lei. Uno spettacolo che va in fumo. Un cantante che abbandona la scena. Un re che va fuori di testa e rischia di commettere incredibili sciocchezze. Un artista che strappa il contratto. Un marito geloso. Una fuga sentimentale. Tutte situazioni non promosse da lei direttamente, ma che avvengono in virtù della sua esistenza e del suo modo di comportarsi troppo genuinamente: una splendida sentimentale-anarchica che se ne frega delle apparenze, delle convenzioni e che pur di tirare dritta per la strada prefissata non tiene conto di quello che può provocare con i suoi atteggiamenti. Ma non soltanto, come ho già detto, anche con il suo semplice modo di esistere.

Non è colpa sua se, ad esempio, Nicola Arigliano, la sera che precede uno spettacolo con in cartellone lui, Alighiero Noschese e la stessa Mina, mi si presenta davanti in ufficio e mi strappa davanti agli occhi il suo contratto. "Io non sapevo che avrei dovuto cantare insieme con quella là. Io faccio musica per davvero, io non urlo e basta. Preferisco pagare la penale. Tanti saluti e arrivederci". La verità non è quella di Nicola. E' certo che lui fa dell'ottimo jazz e che potrebbe permettersi una carriera davvero molto importante se decidesse di abbandonare una certa presunzione artistica. Ma in quel momento, se decide di agire in questo modo balzano non è perché rifiuta l'inquinamento della sua professionalità con altre forme di spettacolo più o meno eclatanti. In fondo c'è soltanto paura. Quella determinata dal fatto di aver capito che lui, Nicola Arigliano, rischia di toppare la serata perché messo a confronto con un astro nascente come Mina che, per esibirsi, prende come compenso appena duecentomila lire ma che già richiama dentro la Bussola un pubblico destinato soltanto a lei, alla Tigre di Cremona, come la definiscono facendola andare su tutte le furie perché lo pseudonimo non le piace affatto. Peccato per Arigliano che, come dice il presentatore, "non può cantare per un improvviso malore, peraltro di poco conto": già la "prima Mina" vuol dire locale zeppo e gente appassionata sotto il palco. E certe occasioni, seppure raccolte per caso, non dovrebbero venir buttate al vento.

 

 

Comunque, Nicola non sarà il primo e neppure l'ultimo a gettare la spugna a quel modo. Tante promesse dovrò fare a Patty Pravo, a Rita Pavone, persino alla grande Ornella Vanoni e a tante altre vedettes ancora, maschietti compresi: "vi assicuro che una settimana prima e una settimana dopo i vostro spettacolo Mina non canterà alla Bussola". So che questo atteggiamento potrebbe apparire come un capriccio, addirittura una follia di artisti viziati. Però non è così. La presenza di Mina in Versilia, infatti, provoca situazioni del tutto inattese e comunque molto particolari nel pubblico. Un suo spettacolo non dura una sera soltanto: di lei  si continua a parlare anche dopo e per molti giorni, così come di lei si era detto molto tempo prima che arrivasse. Ecco, la preoccupazione degli altri divi non è legata ad un possibile confronto artistico o al timore di sentirsi inferiori rispetto al mostro sacro della canzone. Semmai una questione di feeling che viene a mancare in sala e, conseguentemente, sul palcoscenico: la gente con le orecchie puntate verso la star di turno, ma con nella testa ancora le note avute in dono da Mina. Ecco perché c'è un pizzico di imbarazzo, ma molta ostinazione da parte di chi pretende la "clausola anti-Mina" prima di firmare un contratto. E per certi versi li capisco, così mi sforzo di soddisfare le loro esigenze nei limiti dell'umano possibile.

E lei, la grande vedette? Se ne frega anche di questo. Oddio, forse un poco la stimola il fatto di essere temuta come concorrente fuori le righe, come pericolo pubblico numero uno nel mondo dello spettacolo. Eppure non se ne fa un vanto, anzi: "Perché, Sergio, non organizzi una tournée di sole donne? Potrebbe venir fuori un successo davvero clamoroso", dice questo senza malizia, come sempre. Non la sfiora neppure l'idea che le "altre" la temano, comunque provino un certo imbarazzo e sospettino profonde delusioni provocate da scontatissimi confronti. E' difficile costringere Mina all'assimilazione di concetti come questo che prevedrebbero una filosofia di vita assolutamente diversa dalla sua. Lei non ammette lo sgarbo, il dispetto, il gesto maleducato, soprattutto quando questi tipi di espressione vanno a colpire in basso, gente debole, indifesa. Riesce persino a litigare con Elio Gigante, l'uomo della sua vita professionale, il grande maestro di tutti noi, il personaggio che più ha dato al mondo dello spettacolo. Lei lo chiama "big" e l'appellativo si adatta a pennello a quell'uomo dall'aspetto del duro incallito, a tanta gente antipatico per via dei suoi modi spicci, eppure vero come un diamante di Amsterdam in una vetrina di Tiffany.

Mina ci litiga e lo manda anche a quel paese senza troppi complimenti perché l'impresario se l'è presa un po' troppo calda con un elemento del complesso che accompagna la cantante durante il suo show. Il chitarrista-basso non sta bene quel giorno e le note, dallo strumento, non escono pulite come dovrebbero. Gigante e Mina sanno, tutti e due, che alla base di qualche "stecca" non ci sta la cattiva volontà. Ma Elio, il duro appunto, ha precise idee sul concetto di professionismo e così il chitarrista si becca una bella multa. Almeno così dovrebbe andare se non intervenisse Mina: "Big, se non torni sui tuoi passi io questa sera non canto e lo spettacolo lo fai tu, va bene? Certe ingiustizie non le posso sopportare". Viene fuori un discreto casino, tipico di due caratteri abbastanza simili che si trovano a confronto su una banalità. Gigante urla che non gli importa un accidente di quello che farà lei e che "di cantanti come te ne trovo finché voglio" (ma sa che non è vero). Mina risponde che la pensa esattamente allo stesso modo e che "non faticherò certo a trovare un manager più in gamba e meno orso di te" (ma anche lei sa che non è vero). Si scannano per mezz'ora buona e alla fine la morale è unica: il chitarrista non pagherà nessuna multa, Mina entrerà in scena più brava e applaudita che mai. Elio Gigante sarà sempre più convinto che quella sua magnifica creatura sarà in grado di regalargli un numero incredibile di soddisfazioni ancora maggiori di quelle attuali.

 

NON HO MAI PERSO LA BUSSOLA - SERGIO BERNARDINI

GARZANTI EDITORE (1987) - Seconda parte

 

 

 

 

Fra i tanti brani portati al successo da Mina, ce n'è uno, Grande grande grande, che rivela una storia curiosa che mette in risalto il carattere della cantante. Dimostra anche quanto la fortuna possa decidere del destino di una canzone. I due autori, Tony Renis (noto più come cantante che come compositore) e il paroliere Alberto Testa, tenevano nel cassetto da qualche anno questo brano. L'avevano proposto a più editori e a più cantanti, tra cui Iva Zanicchi, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Orietta Berti. Nessuno si decideva a interpretarlo. Promesse tante, ma nulla di veramente concreto. Accadono spesso, e più di quel che si creda, situazioni di questo tipo nel mondo della canzone.  Un pomeriggio Testa incontra Mina in televisione. Le dice spudoratamente: "Ho scritto di recente una bellissima cosa su misura per te. Quando hai un momento, vieni a sentirla". La cantante, incuriosita, non perde tempo. Il giorno dopo va a trovare il paroliere nel suo studio, in Galleria del Corso. "Fammi ascoltare questo capolavoro che hai scritto per me", dice Mina, che ha mangiato la foglia. Momento di panico da parte di Testa. Ha riscritto il testo tre o quattro volte e così, su due piedi, non sa cosa proporle. Chiama in aiuto al telefono Tony Renis, che dopo poco si precipita nello studio tutto trafelato. Abbraccia Mina. "Sorellina bella, sorellina fantastica", complimenti che fanno parte del suo solito cliché e che infastidiscono Mina.

Con grande meraviglia di Testa, Renis si mette al pianoforte e propone il brano con le parole della prima stesura, quella che avevano deciso di bocciare. Al momento non ha soluzioni alternative: non ricorda, o non sa dove sia andato a finire il testo ritenuto valido, quello definitivo. Mina ha straordinarie intuizioni: fiuta la validità del pezzo e accetta di farlo. Dice Alberto Testa: "Mina è talmente brava che potrebbe interpretare persino l'elenco telefonico".

La storia di questa canzone ha un seguito. Grande grande grande finisce in mano a un direttore d'orchestra, che deve preparare la base musicale. Quando è pronta Mina l'ascolta, ma non è convinta. Si rivolge a un altro musicista, ma neanche questo riesce a soddisfarla: forse non capisce quello che lei vuole. Mina crede nella validità del brano, ma pretende qualcosa di speciale. Si ricorda di avere tra i suoi orchestrali un giovane promettente, Pino Presti. Gli telefona: "Te la senti di preparare una cosa per me?". Presti sta per partire per le vacanze, ha già pronte le valigie. Si mette subito al lavoro. A Mina piace l'arrangiamento e incide il disco, col successo che tutti sappiamo. Presti ha un premio: diventa il suo direttore d'orchestra. Questa storia dimostra anche un'altra cosa: come Mina sappia tramutare in oro tutto quello che passa per la sua voce.

 

MINA/MITO E MISTERO - NINO ROMANO

SPERLING & KUPFER EDITORI (1996)

 

 

 

 

Alla difesa dei deboli fa da contrappunto una certa, naturale, ritrosia rispetto all'accettazione dei potenti. Mina è una "vip" che non ama frequentare gli altri "vip". Al tavolo dei potenti non va a sedersi proprio mai, non per una forma di snobismo all'incontrario, ma proprio perché il suo io più intimo rifiuta la logica del "lei non sa chi sono io..." con tutto quello che segue e con tutto ciò che comporta un simile discorso. E dire che c'è chi farebbe carte false pur di ingraziarsela, di conquistarla e, si vede, persino amarla.

Il corteggiatore più ostinato è, senza dubbio alcuno, re Faruk. Se ripasso mentalmente tutti i recital di Mina alla mia Bussola non me ne viene in mente uno solo scorporato dalla fotografia del sovrano, in prima fila, ad applaudire e ad attendere un segnale che mai sarebbe arrivato  da parte della cantante. I miei camerieri, in tutta la loro carriera, non hanno mai portato rose in quantità industriale come a quei tempi. Il camerino di Mina, prima dello spettacolo, è una vera e propria serra: difficile persino starci dentro senza provare un senso di stordimento, di soffocamento. Rose di ogni qualità e di ogni colore per lei. E sempre il solito biglietto di invito: "A dopo lo spettacolo, al mio tavolo", firmato re Faruk. Io tento un bel po' di volte di convincerla: "che tu vada a bere almeno una coppa di champagne, non ci vedo nulla di male in tutto questo". E lei, puntuale: "Sergio, cosa vuoi che ne sappia io di re e di sovrani. Non saprei proprio cosa dire, anzi mi verrebbe anche da ridere. Ti farei fare una figuraccia. Lasciamo perdere, va'". Così, dopo il solito trionfo decretato da un pubblico addirittura incantato dalla sua voce e dal suo modo di esibirsi, finisce con Mina al tavolo dello scopone in compagnia di giovani che lo smoking non sanno neppure cosa sia e con re Faruk, che, sempre più perplesso, continua a coccolarsi da lontano l'oggetto (non più segreto) dei suoi desideri, meditando su quale mai potrebbe essere la prossima mossa per vincere tanta ostinatezza. E io ripenso, con terrore, all'arrivo di qualche altro furgoncino carico di rose e mi gira sempre più la testa.

La vogliono come ospite ai matrimoni dei rampolli "bene". Oppure alle feste private nelle ville di Forte dei Marmi. Avere Mina è un onore o, forse, soltanto la possibilità di farsi belli, in seguito, con una situazione parecchio chic. Delusioni a gogò per tutti. Lei non dice mai di no. Però non dice neppure sì. Comunque non si presenta e basta, rendendo vano e anche un poco ridicolo il solito "pissi-pissi" tipo: "ti assicuro cara che, questa sera, Mina verrà veramente da noi, sarà una sorpresona per tutti. Vedrai".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lei ama altri tipi di sorprese. Nella chiesetta di Focette, alle nove del mattino, si sposa la figlia del mio cuoco, quello che aiuta Carletto Pirovano a tenere alto il nome della Bussola-ristorante. Le nove del mattino per Mina sono come le due di notte per una persona normale che è andata a letto poco prima della mezzanotte. Eppure è lei quella che arriva, in jeans e maglietta, l'aria un poco stonata, ma con un sorriso grande così: un bacio alla sposa, un altro bacio allo sposo e una bella fotografia di gruppo lontano dai paparazzi professionisti che pagherebbero di tasca loro per riprendere la scena. Ecco le sorprese che ama lei. Sempre nella stessa chiesa di Focette questa volta c'è un battesimo. E' nato un figlio a Ciompi Romitelli, uno tra i miei più validi collaboratori di sala. Soliti jeans e solita maglietta con dentro la solita Mina dagli occhi felici: farà la madrina del piccolo. Ciompi glielo aveva chiesto in un attimo di follia notturna del dopolavoro e lei aveva risposto che sarebbe stata felicissima. Ma poi l'argomento non era più stato toccato e lo stesso Ciompi non si illudeva troppo. Non sapeva, lui, che Mina mantiene sempre le promesse: purché non si tratti di "vip".

Grande nelle sue gioie, grande nei suoi dolori, irriducibile nelle sue scelte anche in quelle più difficili e maggiormente affannose. Non è un'eroina, ma soltanto una donna consapevole del proprio ruolo e mai minimamente disposta a cedere un solo millimetro dello spazio conquistato e che ritiene suo per diritto di battaglia vinta.

Ride come una matta quando mi confessa di essere incinta. Partorirà Massimiliano nella clinica Mangiagalli di Milano e sarà la medesima levatrice che già aveva aiutato mia moglie durante la gravidanza ad assisterla: la signora Abatini. Vorrei rivederla un giorno. Credo che anche Mina abbia questo desiderio. I media la divorano, dopo averla fatta a brandelli, per questa sua storia con Corrado Pani. Lei tira dritto e ride: "Sai, Sergio, credo che riuscirò ad essere una buona mamma. E mio fratello Alfredo sarà uno zio splendido. Alleveremo noi due la creatura. Quando io sarò in giro per lavoro baderanno mio fratello e mia madre a farlo star bene, a fargli capire quant'è bella la vita e quanto merita di essere vissuta". No, la vita spesso non è per niente bella. Alfredo non curerà proprio nessun bebè. Non credo di aver mai visto, in tutta la mia esistenza, una persona soffrire a quel modo. Muore il caro Alfredo, detto Geronimo, in un incidente stradale. In ogni lacrima, delle tante, che versa Mina c'è l'effetto dirompente di un mondo che va a pezzi. Uno tra gli affetti a lei più cari si dissolve come la neve al sole: un dramma che si porterà per sempre dentro, la mia grande amica. Neppure minimamente paragonabile alla crisi, profonda anche quella, provocata dal dissesto finanziario che vede suo padre come vittima e che prelude ad un tentativo di suicidio fortunatamente fallito. E' a quel punto, comunque, che Mina recupera o assimila ex novo un concetto di denaro completamente diverso. Uno spettacolo, un altro ancora. Una tournée, e poi subito un'altra: "Devo aiutare mio padre, devo mandare i soldi a casa". Il ritmo diventa persino ossessivo. Ma lei è fatta a questo modo: deve vivere le cose nella loro pienezza, fino in fondo, assorbire sia il bene che il male per sentirsi viva, produttiva, un essere vivente con uno scopo preciso.

 

 

Ma neppure il bisogno di quattrini, per fortuna di breve durata, l'acceca al punto di renderla diversa da quello che è. Il suo schierarsi sempre dalla parte dei non potenti, comunque il suo desiderio mai nascosto di voler giocare sempre e comunque il ruolo della chioccia a difesa dei suoi pulcini, viene esemplificato da particolari assai minimi, ma non per questo meno significativi. Capita, ad esempio, che in un recital a Modica, in Sicilia, insieme con Gaber, per cause di forza maggiore lo spettacolo non si possa fare. Il contratto parla chiaro. I due artisti potranno godere egualmente della loro paga concordata, mentre gli orchestrali dovranno rinunciare al loro giornaliero. A Mina la cosa non garba e decide subito di rinunciare ai quattrini: "Loro guadagnano molto meno di noi. Non potrei mai prendere questi soldi, stasera, sapendo che gli altri rimarranno al verde". Il bello è che convince anche Giorgio Gaber a comportarsi nello stesso modo, pure se il cantante milanese ha qualche dubbio al proposito. A fine tournée, gli orchestrali fanno ai due famosi colleghi un regalo bellissimo spendendo, tra l'altro, molto più di quanto avevano guadagnato quella famosa sera. Una forma di solidarietà, nel mondo dello spettacolo, che raramente ho visto realizzarsi, ma che Mina ha sempre frequentato con assoluta dignità e non certo per amore di esibizionismo. Cose che fanno bene al cuore, che permettono di non sentirti solo in un mondo di lupi affamati, che ti consentono di tirare avanti in barba a tutti gli ostacoli da superare. Ma anche un marchio di fabbrica assai raro. Il marchio Mina Mazzini, appunto. Che il suo desiderio di assoluta autonomia talvolta sconfini  nella follia o, comunque, nello nello stravolgimento di certi valori è fuori discussione. Però anche nei suoi colpi di testa Mina riesce a mantenere integro il rispetto per le cose altrui e salva la sua innata classe.

Io non posso immaginare, ad esempio, che a Terni una sera la combini grossa. A cena, prima dello spettacolo, ci stanno alcuni amici miei. Tra questi c'è Zampa, il giornalista, e altre persone che non conosco. Mina è con me. Zampa fa le presentazioni. "Signora, questo ragazzo dall'aria del bebè, ma con l'esperienza dell'uomo vissuto è Virgilio Crocco". Piacere! Piacere mio! Conoscendola a fondo dovrei saper interpretare quel suo sguardo da grandi occasioni. Ma, evidentemente, sono distratto. Quindici giorni dopo siamo a Torino, per il recital in programma la sera successiva. Mina si avvicina con uno strano sorriso sulle labbra e poi mi abbraccia e comincia a fare le fusa. "Non ci casco, bella mia. Cosa stai per chiedermi? Guarda di non battere cassa perché non è proprio il caso". "Vado a sposarmi, Sergio. Vado a sposarmi. Però non devi dirlo a nessuno. Virgilio mi aspetta e io sono felice come mai nella mia vita". Non so più cosa dire e il mio imbarazzo si trasforma in una grande fregatura: perché lei mi salta addosso e mi bacia come si fa con il padre che ha deciso di esaudire un enorme desiderio della figlia. "Sapevo che avresti capito. Ci vediamo sabato prossimo, al Petruzzelli di Bari. Ci sarò, contaci. E adesso smettila di fare quella faccia. Sapessi come sei buffo!". Questa non la vedo più per un mese e io sono inguaiato, penso. Eppure dovrei conoscerla. Il sabato successivo, infatti, Mina è lì, puntuale come un cucù. "Ti ho detto che canto e non mancherò la promessa". Il solito successo e, in platea, un uomo felice come lei ad applaudirla.

Ora non c'è e mi manca. Mi manca lei come persona, come amica voglio dire. Mi mancano le sue manie, tipo non mettersi a dormire in una camera d'albergo se non dopo aver rovistato persino sotto il letto. Mi mancano le sue bugie ("Canto solo per denaro") e le sue verità ("Forza, Sergio, rifacciamo il culo a tutti. Vedrai che roba!"). Non so se, un giorno, tornerà a cantare in pubblico: negli ultimi tempi da ogni concerto usciva distrutta, quasi inebetita. ma so che se dovesse ritentare un'avventura del genere non si comporterà come Frank Sinatra il quale aveva stragiurato di realizzare soltanto con me una sua eventuale tournée italiana. Lei non appartiene a nessuna Famiglia. Ed è per questo che, quando sento suonare il telefono, voglio illudermi che sia la volta buona.

 

NON HO MAI PERSO LA BUSSOLA - SERGIO BERNARDINI

GARZANTI EDITORE (1987) - Terza e ultima parte

 

 

 

 

Mina e il cinema: un appuntamento mancato - Nel decennio compreso tra gli anni Sessanta e Settanta, era una pratica abituale trasferire i cantanti di successo sul grande schermo dove, più o meno opportunamente inseriti in una sceneggiatura senza troppe pretese, coglievano un'ulteriore occasione per manifestare le loro doti canore interpretando i pezzi di successo nel bel mezzo di una dichiarazione d'amore oppure camminando per la strada. Questa moda del film musicale - ma non certo nel senso di musical - riuscì a coinvolgere parecchi interpreti allora di punta, da Rita Pavone a Gianni Morandi, da Al Bano a Caterina Caselli, ma, inutile dirlo, nonostante si divertisse molto durante la lavorazione, Mina non fu mai entusiasta di realizzarli rifiutando molte proposte. Non riuscì, comunque, a sottrarsi a questa consuetudine del film canoro finendo di malavoglia in una decina di pellicole commerciali, quasi tutte realizzate nello stesso anno: una partecipazione a un film girato in Germania dal titolo Europa di notte con Colin Hicks, fratello di Tommy Steele, e i Platters; Appuntamento a Ischia con Domenico Modugno e Antonella Lualdi (1960); Madri pericolose con Delia Scala e Riccardo Garrone (1960); Urlatori alla sbarra con Adriano Celentano e Joe Sentieri (1960); I teddy boys della canzone con Teddy Reno e Delia Scala (1960); Sanremo la grande sfida con Domenico Modugno e Teddy Reno (1960); Io bacio... tu baci con Umberto Orsini, Gianni Meccia e Adriano Celentano (1961); Mina... fuori la guardia con Arturo Testa; Appuntamento in riviera con Tony Renis e Francesco Mulè (1962); Canzoni nel mondo con Dean Martin e Peppino Di Capri (1963); Per amore... per magia... con Gianni Morandi, Sandra Milo e Rossano Brazzi (1967). In quel periodo era comunque una convenzione acquisita con il pubblico che i suoi beniamini comparissero prima o poi al cinema a riproporre i loro successi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel caso di Mina, il suo rifiuto a continuare a proporsi in film di questo tipo non fu nemmeno legato alla peculiarità commerciale di queste pellicole, ma al fatto di non ritenersi affatto una valida attrice al punto da rifiutare, con la sua consueta coerenza, offerte ben più allettanti da parte di registi importantissimi come Federico Fellini e Luchino Visconti. Unica stella del mondo canoro a essere interpellata da tali mostri sacri, lei disse tranquillamente di no. Lo stesso Falqui ricorda come fosse difficile convincerla persino a girare le semplici scenette recitate che lui spesso inseriva nei suoi varietà e la delusione di aver dovuto rinunciare a veri e propri musical nei quali Mina sarebbe stata strepitosa: - Dovevo fare una Vedova allegra di Lehar e volevo assolutamente Mina come interprete principale - racconta il regista - ma non ci fu niente da fare perché lei diceva che avrebbe dovuto recitare... "Ma che recitare?" le rispondevo io "La Vedova allegra è tutta cantata, non devi recitare nulla, basta che tu scendi le scale vestita di nero con una piuma qui e sei Anna Glavari!". "No, no, io canto, io faccio Mina, non posso fare la signora Glavari!" rispondeva lei cocciutissima. "Ma che c'entra? Anche quando fai uno sketch con Tino Scotti entri in un personaggio... fai la spalla di Tino Scotti, non Mina...". La vedova allegra, poi, è musicale al 98%, anche perché, essendo le operette in genere molto stupide, con una musica splendida come quella di Lehar, diventano una gran cosa. "Dovrai dire sì e no dieci frasi", le dissi e alla fine riuscii a convincerla a fare una prova e niente più, fu irremovibile.... Tutti la volevano al cinema, ma lei non acconsentì mai perché aveva paura. Così come non accettò mai di andare a esibirsi in America e non tanto per la paura dell'aereo, perché allora si prendeva anche la nave, ma perché lei era convinta di non essere così speciale: "Vado lì e ce ne sono cinquemila come me mentre qui sono unica", diceva, e un po' aveva ragione. In America c'era Ella Fitzgerald, qui no. Comunque, al di là del recitare, Mina non ha mai amato molto muoversi dall'Italia. In Germania andava e va ancora fortissimo. Ci sono teatri enormi, con le scale mobili che Milva, che non è Mina, ha riempito completamente. C'è da chiedersi Mina cosa avrebbe fatto... Non c'è mai voluta andare. -

Il grande Totò, invece, unica voce dissonante nel coro di chi voleva a tutti i costi Mina sul grande schermo, osò dire che con la recitazione non c'entrava proprio niente...

 

DIVINA MINA - DORA GIANNETTI

DALAI EDITORE (1998)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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