Musica, un diluvio di musica. Come una marea
montante che si trascina dietro volti e nomi. Anzitutto il suo
di valchiria bionda che incantava chiunque e veniva dal nulla:
un nulla così nero che non siamo certi nemmeno se fosse nata
nel 1938 a Colonia (o nel 1943 a Budapest). Il padre morto in
un lager, la madre con lei nella zona più povera di Berlino
devastata dalla guerra. Nemmeno il nome è più che un
soprannome. Si chiamava in verità Christa Paffgen, "Nico" le
rimase addosso come lascito di un ex amante che si chiamava
così. Era bellissima. Sedicenne a Parigi fu pupilla della
mitica Coco Chanel. Posava per le riviste più prestigiose,
anticipò - con un sovrappiù di charme - le stagioni delle top
model. Federico Fellini volle che apparisse ne La dolce
vita, in Italia Alain Delon s'innamorò di lei; ne
nacque un figlio, Christian Aaron. Delon non volle saperne,
troncò i rapporti, non l'avrebbe mai riconosciuto benché la
somiglianza tra i due fosse notevole. In una sorta di benevolo
contrappasso, a occuparsi del bambino, ad allevarlo e
adottarlo, sarebbe stata la madre dell'attore francese: e così
si sarebbe chiamato Ari Boulogne, dal nome del secondo marito
di lei.
Musica, musica dura. E ancora nessuno avrebbe
immaginato quanta avrebbe saputo produrne la valchiria bionda.
Che a quel punto, siamo negli sconvolgenti anni Sessanta, volò
a New York. Il tempo di sbarcare e già studiava all'Actors
Studio insieme a Marilyn Monroe. Diventò poi una delle muse
ispiratrici di Andy Warhol in quella Factory che è stata culla
e tempio della Pop Art e del rock. Fu Warhol a imporla voce
solista dei Velvet Underground, come una stella piovuta dal
cielo. Gli altri cercarono di scrollarsela di dosso:
pensavano, all'inizio, che fosse la solita bambola senza
cervello.
E invece. Accadde che il disco The Velvet
Underground & Nico, uscì nel 1967 e diventò una pietra miliare
del rock. Se ne accorsero tutti: anche Lou Reed, gelosissimo
leader del gruppo, e John Cale, che fu suo amante come tanti,
ma anche suo mentore duraturo. Ci sono, nel suo letto e nel
suo portfolio, subito Bob Dylan (le dedica I'll Keep it
With Mine) e più tardi Jim Morrison, il bello e dannato
leader dei Doors. Quanto alla qualità innovativa di quella
musica, lasciamo la parola a Brian Eno: "Solo duemila persone
comprarono 'Velvet Underground & Nico', ma finirono tutti per
fondare un gruppo".
Altro che bellona senza testa. Fu Nico a
lasciarsi alle spalle l'ingombrante Warhol e i tumultuosi
Velvet. Aveva altri programmi: riprese l'attività di mannequin
e imboccò una strada musicale che le potesse consentire di
sfruttare al meglio le sue enormi qualità vocali e il suo
timbro rauco, inconfondibile. In sodalizio col fedele Cale,
che l'accompagnava con la sua magica viola, sfornò una serie
di album da solista di cui molta musica punk degli anni
Settanta sarebbe stata figlia e nipote. Musica dark, da
accapponare la pelle, da messe nere e ceri fumiganti. Ma che
musica: così era Nico.
Un'altra stagione era alle porte. Negli
anni Settanta divenne l'icona della sovversione, cantò in
memoria del terrorista tedesco Andreas Baader, dissacrò con un
concerto la cattedrale di Reims, premette forte
sull'acceleratore dell'oscurità (ha ragione Gabriele Lunati a
intitolare Bussando alle porte del buio la sua bella biografia
di Nico, appena pubblicata da Stampa Alternativa). Frattanto
si era intrecciata la relazione col regista underground
Philippe Garrel che la diresse nel 1972 in La cicatrice
interiore. Questo e altri film celebrarono un'era di
solitudini creative, dedite agli eccessi quasi per compensare
l'insignificanza di tutto. Nico e Philippe furono amanti,
soci, partner sulla scena. Fu in quel periodo che Nico venne
raggiunta da Ari, il figlio che non aveva allevato: eppure
l'amava, e intitolò L'amour n'oublie jamais il libro che lui
avrebbe pubblicato nell'estate del 1988.
A quel punto però Nico non c'era più. Se n'era
andata un mese prima a modo suo, misteriosamente. A soli
cinquant'anni, quel che non erano riusciti a fare la droga e
l'alcool lo fece a quanto pare una caduta dalla bicicletta. Ma
nemmeno di questo siamo sicuri. Solo della musica.
Giuseppe Romano - CHI - 2006