Nina Simone si distingue come sempre, anche quando le viene
chiesto, come in questo caso, di rivisitare alcuni standards
della musica pop-rock, e come sempre è particolarissima, sia in veste di interprete che di musicista, sia
quando i testi delle canzoni affrontano tematiche sociali, sia
quando parlano d'amore. Tra pennellate blues, soul e ritmiche jazz, si assiste spesso ad una brillante
sperimentazione, base di una cifra stilistica unica e
irripetibile che Nina ha impresso in quasi tutte le sue
produzioni.
Dopo il flop commerciale dell'album precedente
(eppure parliamo dello splendido Nina Simone and Piano) ecco
il "riscatto economico" frutto delle buone vendite di questo nuovo
lavoro, che però arriva in un periodo non particolarmente felice
della vita dell'artista, ancora ostaggio dei suoi problemi esistenziali.
L'album si apre con un adattamento di "Suzanne" di Leonard Cohen.
Una superba cover che ha solo bisogno di essere ascoltata, non
ci sono parole per descriverne la bellezza e la valenza emotiva; le uniche
parole da ricordare (che il poeta ha saputo far brillare di luce propria)
sono quelle del testo...
Il secondo pezzo è "Turn! Turn! Turn!" di Pete Seeger, brano costruito quasi
interamente su testi sacri, fondamentalmente un inno alla pace,
ripreso nel tempo da molti altri artisti.
Segue l'ardimentosa e scatenata ballata gospel "Revolution" (divisa in due parti) scritta dalla
cantante insieme a Weldon Irvine Jr. - Secondo quanto riportato nella biografia di David
Brun-Lambert, Nina disse alla sua amica londinese Sylvia Hampton:
"Questa canzone parla di rivoluzione, non solo del colore della
pelle, ma di tutto! Parla delle barriere che devono essere
distrutte. L'ora è giunta! Le persone sono soffocate dalla loro
quotidianità, dall'età, dalla loro vita sessuale, dai soldi che
hanno... Il senso di ogni cosa è stravolto. Abbiamo bisogno di
una rivoluzione per uscirne e tornare verso Dio. Tu sai fino a
che punto siamo persi, è triste" - Nina diceva queste cose
nel 1969! Questa è chiaroveggenza, patrimonio di pochi,
soprattutto di alcuni grandi artisti che riescono a vedere
attraverso i muri, oltre le apparenze, percependo in largo
anticipo quello che sta per accadere, mentre il resto del mondo
sembra occuparsi di altro...
La facciata A si chiude con la title track "To love somebody",
notissima song dei fratelli Barry e Robin Gibb,
portata al successo dal famoso gruppo a cui appartenevano, ovvero i
mitici Bee Gees. La versione di Nina Simone non si
allontana molto dall'ambito pop in cui è stata concepita e anche
se ben riuscita brilla poco al cospetto degli altri brani del disco.
Delle quattro canzoni presenti sul lato B, tre sono di Bob Dylan
("I
Shall Be Released",
"Just Like Tom Thumb's Blues"
e
"The Times They Are a-Changin'") e una ancora
dei fratelli Gibb ("I Can't See Nobody"). La rilettura di
quest'ultimo brano non mi sembra particolarmente efficace, ma
anche l'originale, secondo me, non è da annoverare tra le perle
della produzione dei Bee Gees. Riguardo Bob Dylan,
invece, se non altro siamo in presenza di testi importanti, ma
non sarò certo io oggi, nel 2017, ad avere la pretesa di
illustrare le tematiche e le svariate interpretazioni a cui da
sempre si son prestate le
parole delle sue canzoni. Di questi tre pezzi posso solo dire che
li preferisco nella versione di Nina Simone che con la
sua voce profonda e i nuovi arrangiamenti riesce a sublimare la
genialità dei testi, provocando un
cortocircuito emotivo ad alta tensione. Confesso che la voce
monocorde e tediosa del "menestrello del rock" non mi è mai
piaciuta.