Lo straordinario pellegrinaggio attraverso i tortuosi sentieri
della discografia di Nina Simone fa tappa a
BALTIMORE, titolo di un album variegato e ondivago, capace
di attraversare
indenne i confini del pop, cavalcando onde anomale di jazz
e soul tra sprazzi di folk e gospel. Unico denominatore
comune a "proteggere" la grandezza e l'unicità dell'artista da
brani non sempre esaltanti è la VOCE, indispensabile
soffio vitale capace di animare gran parte dell'opera con
interpretazioni paragonabili per picchi di intensità agli
standard qualitativi raggiunti con ben altre songs.
Originariamente pubblicato in vinile e molti anni dopo anche
in svariate versioni CD (alcune rarissime), BALTIMORE fu
accolto positivamente dai critici musicali e apprezzato da un
pubblico non formato esclusivamente dagli estimatori di Nina.
Anzi, una parte di quest'ultimi non si esaltò particolarmente
nel sentire una Simone troppo nei ranghi, troppo pop e alle
prese con qualche brano minore. Anche l'artista non fu
completamente soddisfatta di questo lavoro: dichiarò che le
venne imposta una sorta di linea guida che a suo dire non le
avrebbe consentito di mettere in discussione la parte
musicale. Furono gioie e dolori per il produttore Creed Taylor
che fu costretto a discutere animatamente con Nina per farle
cambiare idea il giorno in cui a Bruxelles, nel lontano 1978,
sembrò ferma nella decisione di abbandonare gli studi di
registrazione.
Chi volesse davvero scoprire l'essenza e le peculiarità
di questa grande artista non dovrebbe certo iniziare da BALTIMORE.
Lo spirito di Nina, il suo "mistero profondo" sono da cercare
altrove... Nonostante tutto non riesco a considerare un errore
il fatto che una fuoriclasse e una musicista eccelsa come lei
abbia qualche volta voluto (o dovuto) confrontarsi con
composizioni e sonorità meno particolari e sofisticate, solo
apparentemente vicine ai generi d'appartenenza e decisamente
più orientate verso la musica "leggera". Questo potrebbe
rappresentare un'apertura, un atto di umiltà nei confronti
di un pubblico più vasto e meno esigente. Forse perché per me
la voce e l'interpretazione, insieme ai testi, sono gli
elementi più importanti di una canzone: tutti insieme hanno un
peso specifico maggiore rispetto alla musica, anche se sono
consapevole del fatto che un arrangiamento sbagliato possa
cambiare radicalmente il destino di un brano.
Prima di passare alle singole tracce è doveroso premettere che
questo album gode di un'eccelsa orchestrazione, molto curata e
sempre in perfetta sintonia con la voce di Nina e con i cori.
1 * BALTIMORE (Randy Newman)
Una ballad dai ritmi giamaicani, fresca e gradevole anche se
un po' ripetitiva. Ascoltata oggi può apparire musicalmente
sorpassata, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di un
brano inciso più di quarant'anni fa. Parla di Baltimora, città
americana sull'Atlantico in cui vivere pare difficile e
complicato. Il sogno è di riuscire a fuggire, magari
rifugiandosi in campagna, per cercare di salvare e proteggere i
propri affetti.
2 * EVERYTHING MUST CHANGE (Benard Ighner)
Il pezzo più profondo e toccante di tutto
l'album. Sublime l'intensità interpretativa di Nina nell'affrontare un
testo così importante che
riprende le tematiche esistenziali di AVEC LE TEMPS di Leo
Ferrè, ovvero il mistero della vita, il tempo che passa e che
trasforma inesorabilmente ogni cosa.
3 * THE FAMILY (John Hurley - Ronnie Wilkins)
Un quadretto bucolico appeso al contrario da cui colano
pennellate di colori cupi: disavventure famigliari a cui solo
Dio potrà (forse) porre fine. Il testo fa un po' a pugni con
il ritmo funky-beat dell'arrangiamento ma, strano a dirsi, il
risultato finale è convincente.
4 * MY FATHER (Judy Collins)
Ecco spiccare un altro brano in questo singolare album. La
canzone narra la storia di una promessa paterna non mantenuta
a causa di circostanze avverse... Il desiderio di una bambina
sembra destinato a rimanere un sogno, ma poi il sogno diventa
realtà, molti anni dopo, insieme ad una nuova famiglia. Una
poesia in musica che pare la trama di un
film intenso e malinconico.
5 *
MUSIC FOR LOVERS (Bart Howard)
C'è una musica che sentono solo gli innamorati, è da cercare
in un sospiro, nel silenzio della notte, nella
melodia delle parole, nella sinfonia del canto degli
uccelli... Quando tutti (non solo gli innamorati) riusciranno
a sentire questa musica, il mondo sarà un posto migliore.
Un'utopia bella e buona dove di reale c'è solo il pianoforte
di Nina che suona maledettamente bene, purtroppo al servizio di una canzone decisamente
non nelle corde dell'artista.
6 * RICH GIRL (Daryl Hall)
Qui Nina naviga nel pop degli Hall & Oates e ricorda un po' l'Albatros di
Baudelaire quando non vola, ché sulla terra con le ali da
gigante fatica a camminare. Questa canzone è un vestito
troppo stretto nel quale l'artista non può trovarsi
completamente a proprio agio e quindi è costretta a
muoversi cercando solo di non fare brutta figura: riesce a
portare a casa il pezzo ma RICH GIRL rimane comunque un brano
più
adatto ad altre voci.
7 *
THAT'S ALL I WANT FROM YOU (Fritz Rotter)
Tre minuti per sottolineare con parole semplici quanto poco
basterebbe dare e ricevere per stare bene insieme. Una canzone
carica di buone intenzioni che sembrerebbe far crollare con un
soffio, proprio davanti ai nostri occhi, il complicato
castello di carte innalzato sulle difficoltà e le
contraddizioni che ogni amore comporta. Magari fosse
sufficiente una dichiarazione d'intenti così pura e
delicata. Però è bello sognare.
8 *
FORGET (Rocky Coluccio - David Matthews)
"Dimentica gli errori che ho commesso, i sogni che ho infranto
e le lotte che abbiamo fatto tra queste quattro mura... Ma
ricordati di non scordare me quando riuscirai a dimenticare
tutte queste cose". Questo è il senso della canzone, breve e
malinconica ma grondante di tenerezza.
9 * BALM IN GILEAD (tradizionale)
Una ninna nanna dolcissima e delicata con effetti rilassanti,
come il balsamo di Gilead (appunto!). La potrei ascoltare
tutte le sere.
10 * IF YOU PRAY RIGHT - Heaven Belongs To You (tradizionale)
Annoverata tra i canti gospel tradizionali, risulta alla fine
essere il brano meno efficace di tutto l'album (anche nell'interpretazione).
30 MARZO 2016
Ultima modifica 25.2.2020