Che brava ragazza, tutta droga,
sesso e rock'n'roll
Luce e
buio: tra questi due poli oscilla Patty Pravo, al secolo
Nicoletta Strambelli, nata a Venezia il 9 aprile 1948, venuta
alla ribalta al Piper di Roma nel 1966, trionfante con la sua
voce artificiosa in canzoni aggressive e seducenti ("Ragazzo
triste", "La bambola", "Tripoli 1969", "Pazza idea", "Pensiero
stupendo"), in testa alle classifiche per 15 anni,
improvvisamente dimenticata, in volontario esilio da 4 anni a
San Francisco, sulla mitica costa del sound più sofisticato,
adesso in prossimità di un rilancio che, come tutti i ritorni,
potrebbe sbalordire o cancellare per sempre anche il ricordo
di un passato splendore. Adesso, con lo sguardo retrospettivo
a una carriera che ha compiuto il suo primo ciclo, e che sta
per affrontarne un secondo, come se dovessimo fare la
conoscenza di una persona completamente nuova, cominciamo da
una certezza: che Patty Pravo, in tutti questi anni, è stata
sempre "over", oltre. Oltre, con il successo afferrato per
caso e tenuto con salda protervia, senza cedimenti, fino
all'altro ieri. Oltre, con il denaro (ha guadagnato, sembra,
più di 10 miliardi) sperperato con allegra e torbida
incoscienza, tanto da rasentare più volte il lastrico. Oltre,
con il sesso praticato con golosa libertà. Oltre, con la
droga, anzi con tutte le droghe possibili. Oltre, con il
pudore, tanto da farsi fotografare prima integralmente nuda
nella sofisticata allusività di Penthouse, e poi,
ancora completamente nuda, senza più ambiguità, su rotocalchi
di bassa pornografia. Eppure tutto le pare ancora nuovo:
"Nasco adesso", esordisce. "Finora è stato solo tirocinio.
Adesso so perché esisto. So cosa voglio fare".
Un tirocinio, però, che ti ha reso famosa... A me non è
passato mai per la testa di volere diventare famosa. Lo sono
diventata perché ho fortuna e talento, ma non ho fatto niente
per esserlo.
Però hai fatto di tutto per accreditare un'immagine
maledetta del tuo personaggio. Nei primi anni Settanta
persone come me erano maledette solo perché erano libere.
Libere sessualmente, libere mentalmente. In più giovani,
ricche e famose. Le ragazze non scopavano allora, nessuna
diceva quel che faceva. E se scopavano si nascondevano.
Perfino le gambe nascondevano. E io, invece, portavo le
minigonne. Droga, omosessualità, triangoli d'amore: ho fatto
tutto anni prima degli altri, quando queste cose non erano
ancora delle mode, quando esprimevano semplicemente un
temperamento più libero e accelerato degli altri. Eppure non
sono diventata né una drogata, né una omosessuale, né una
donna corrotta. Ho avuto una vita estremamente brillante, e
uso la parola brillante per dire che ho avuto una vita che
brilla, una vita pura.
Puoi raccontarci la storia di questa vita? Te la
racconto a fumetti: "Lei venne alla luce in una splendida
città costruita sull'acqua. Ebbe una meravigliosa infanzia in
casa dei nonni paterni, perché i suoi genitori erano troppo
giovani e troppo belli per avere voglia di avere subito una
figlia tra i piedi. I nonni erano persone incantate e le
insegnarono la libertà, accettando qualsiasi sua stravaganza.
A quattro anni cominciò a muovere le dita sulla tastiera di un
pianoforte, ma invece di esercitarsi con le scale pretese di
suonare subito "La primavera" di Stravinskij. Aveva due lunghe
trecce che era solita schiarire prima con la camomilla, poi
con l'acqua ossigenata. Studentessa al Conservatorio, si
rifiutò di fare educazione fisica con le ragazze perché erano
sporche e non facevano altro che alludere alla loro
femminilità. Per l'ora di ginnastica, si fece assegnare a una
classe di soli maschi. Conobbe persone meravigliose, amici dei
suoi nonni, come l'attore Cesco Baseggio, il patriarca di
Venezia Roncalli, e Peggy Guggenheim, che non le insegnò,
purtroppo, il segreto dell'accumulazione del capitale. Tutti i
giorni incontrava il poeta Ezra Pound alla Giudecca e
passeggiavano per lunghe ore in silenzio, perché Pound a
quell'epoca aveva smesso di parlare".
Questo è il tuo fumetto. Ma la vita? Il sesso, per
esempio?
Il sesso non è mai stato un problema per me. E' uno dei
vantaggi che ho avuto dal crescere con dei nonni come i miei.
Non mi hanno mai detto la fatidica frase: "Questo non lo devi
fare perché è male". Mi hanno solo avvertita: "Attenta, perché
puoi rimanere incinta". Così ricordo la mia "prima volta":
aveva nevicato, Il campiello sotto casa era un bianco intatto.
Scesi appena sveglia perché avevo voglia di lasciare le mie
orme su quel candore. Ma non andai a scuola. Andai a scopare
nella villa di uno più grande di me. Avevo 14 anni.
E quando sei tornata a casa l'hai raccontato ai
nonni?
Certo. Eravamo a tavola. Il nonno ha continuato a mangiare
senza spostarsi di un millimetro, anche perché oltre la nonna
aveva due concubine, e ha commentato la novità in modo
favorevole: "Questa ragazza ha proprio il sangue di famiglia".
La nonna è rimasta più traumatizzata ma non ha detto e fatto
niente. C'era poco da fare, e poi parliamoci chiaro: una
scopata ben fatta non era meglio che andare a far ginnastica
con quelle disgustose ragazze che parlavano soltanto di
mestruazioni? Ah, che bei tempi quelli per il sesso!
Ma come? Non hai appena detto che, invece,
erano tempi duri? Sì, ma poi sono arrivate persone come me che hanno
cambiato il mondo, il mondo dell'eros s'intende. Persone che
hanno rivelato i desideri acquattati in ognuno, e hanno
insegnato ad esprimerli. Anche a livello di massa, a partire
da quel momento, si è fatto meglio l'amore. Adesso, invece,
tutti ne parlano e nessuno lo fa. Oppure, tutti lo fanno ma
con poco gusto.
Vuoi spiegare, da esperta, cosa è successo? In questo
momento il sesso è in crisi. Non nel senso di scopare, perché
tutti ormai scopano. Ma non c'è più piacere, non c'è
l'attrazione che è indispensabile per fare bene l'amore. La
maggior parte delle persone oggi scopa davanti alla
televisione accesa. E davanti a quel video ti sdrai, diventi
indifferente alla cosa che stai facendo, e l'attrazione, il
magnetismo finiscono per averli solo i suoni e le immagini che
escono dall'elettrodomestico.
In questo mondo di tecnologia, può sopravvivere
l'amore?
In una fase come questa, secondo me, è diventato molto
difficile dare vita ad una intensità di emozioni, di stimoli,
di fantasie nel rapporto con l'altro sesso, come è accaduto in
un passato anche abbastanza recente. L'altro sesso se ne è
accorto e in più ha gli stessi problemi: denaro, potere,
affermazione personale. Insomma, la carriera. Risultato: tempo
da dedicare all'amore zero, e da qui pessime scopate. Sarà per
questo, sarà perché dentro di me resistono valori arcaici, ma
io continuo a pensare che il lavoro di madre sia, in fin dei
conti, il più bello, il più rispettoso, il più importante fra
tutti i lavori femminili. E che, nella società, l'unica cosa
che rimarrà indistruttibile, tra le varie macerie delle
cosiddette evoluzioni, è la famiglia.
Molto edificante. Ma finora la tua vita, se
non sbaglio,
non si è attenuta a questi principi severi. E' la verità,
perché non mi piace restare fuori da nessuna esperienza, né
dalla più stravagante, né dalla più normale. Alla grettezza
del mio ambiente ho dovuto opporre la vita. Penso che non ci
sia niente di più squallido, di più orrendo, della fauna che
popola la musica leggera italiana, anche comparandola a
mignotte, miliardari, famiglie reali, leader politici e
trafficanti di droga.
Una volta si diceva che non si dovrebbe sputare nel piatto... Chi non c'è stato in mezzo non lo può sapere.
Gli addetti ai lavori sono persone, salvo poche eccezioni, di
una indegnità totale. Parlo, prima di tutto, di indegnità
professionale. Una massa di falliti che non sapendo fare altro
si improvvisano esperti. Gente che va avanti a forza di
chiacchiere e non fa il lavoro seriamente: dall'agente
all'organizzatore, dal produttore al direttore artistico, che
di artistico non ha nulla. Per non parlare della cultura
musicale: quello che ne sa di più ha, alle spalle, una qualche
sala danzante o un'orchestrina di terz'ordine.
Ma quelli che tu chiami squallidi personaggi hanno fatto di
te la diva del rock italiano. L'industria italiana del
disco è un'industria molto giovane, 30 anni di vita o poco
più, senza tradizioni, senza strutture. Chi produce un disco
in Italia pensa di mettere sul mercato un oggetto d'arte. Ma,
invece, si tratta soltanto di una saponetta. Saponette
volgari, saponette di lusso, saponette indistruttibili. Il
compito dei discografici dovrebbe essere, quindi, quello di
produrre, vendere ed esportare saponette, senza proiettarci
sopra la loro grettezza, la loro miopia, la loro ipocrisia.
Fuori dalla metafora, che cosa gliene importa a un
discografico della vita privata di un cantante? Invece, è
proprio lì che inzuppano il pane. Gli ultimi cinque anni della
mia carriera sono stati incredibili.
Cosa ti hanno fatto esattamente? Per loro l'ideale
sarebbe stato che Patty Pravo, dopo 15 anni di splendida
carriera, fosse morta. L'alone funebre (rughe, depravazione,
miseria, malattie incurabili) in cui hanno tentato di
avvolgermi come in un sudario è un'offesa che non dimentico e
non perdono. Un'altra, più fragile di me, si sarebbe uccisa.
Con Mina, e la sua grassezza, hanno fatto la stessa cosa. E
ora tentano di farlo con due professioniste serie come
Loredana Bertè e Donatella Rettore. Quando 4 anni fa, già nel
pieno della campagna denigratoria, uno di loro, nel bel mezzo
di un accordo contrattuale, mi ha chiesto per garanzia di
mostrargli il braccio per controllare se era liscio o bucato,
ho capito che la misura era colma e li ho piantati in asso.
Via, negli Stati Uniti, in un paese grande, libero e in cui se
qualcuno si azzarda a fare insinuazioni del genere dopo non
più di quattro settimane deve sborsare miliardi di danni.
Tu, però, in questi 15 anni non ti sei
risparmiata nessun tipo di provocazione. E va bene. Cominciamo dalla droga.
Vogliamo capirlo che a metà degli anni Sessanta la droga era
più che altro un gioco? Entravi nei salotti e c'erano montagne
di coca pura. Dall' Oriente tornavano gli amici con pani di
hashish, marijuana o con le palline d'oppio. Dalle Americhe
altri amici arrivavano con gli allucinogeni, chimici e no. Si
cazzeggiava versando agli ignari punch all' Lsd, offrendo
torte drogate, tirando a più non posso. Era la scoperta di
qualcosa che prima sul mercato non c'era, così come, dopo la
guerra, un'intera generazione ha scoperto il whisky facendo
strage di cellule epatiche.
Secondo te, quindi, la droga al suo apparire
in Italia non ha fatto scandalo? Mi ricordo che una sera a Roma andai
con Anita Pallemberg, allora compagna di Keith Richard, uno
dei Rolling Stones, e Donyale Luna (morta) alla farmacia di
San Silvestro per comprare una bomboletta di ossigeno a testa.
Poi ci mettemmo a passeggiare su e giù per il Corso,
mascherine al naso, respirando l'ossigeno. L'ossigeno ti fa
andare su di giri. La gente si fermava sbalordita a vedere un
terzetto del genere, ma nessuno dallo stupore passò
all'insulto. Non eravamo altro che tre esibizioniste un po'
strambe, a spasso per la città. Tutto qui. Nessuno scandalo.
Un'altra volta uscimmo dal Piper per andare a una festa da
Gato Barbieri che, in quel periodo, aveva affittato una villa
fuori Roma. Partì una carovana di macchine di tutte le
cilindrate (Rolls-Royce, Ferrari, fino alla Topolino) stipate
di gente "fatta". La macchina di testa imboccò a un certo
punto un viottolo cieco. Le altre tranquille dietro; e la
carovana imbottigliata si bloccò in mezzo alla campagna.
Nessuno era in grado di innestare la retromarcia. Ci
accampammo nel buio. Dentro e fuori le macchine c'era chi
continuava a "farsi", chi scopava, chi cantava, chi dormiva.
Qualcuno piangeva. Di felicità, però. L'irragionevole,
irresponsabile, idiota felicità di sentirsi giovani ed eterni.
Com'era il mondo allora? Se penso a quegli anni mi
sembra che il mio tempo non sia stato scandito dai giorni e
dalle notti, ma piuttosto dai concerti e dai party. In tutte
le parti del mondo, gente normale e star di fama
internazionale si incrociavano tra barattoloni di cocaina e di
eroina, taniche di alcool, montagne di musica, e un oceano d'
amore. Sono gli anni in cui ho incontrato i miei più cari
amici: Mario Schifano, Mick Jagger, David Bowie, Keith
Richard, Jimi Hendrix, Anita Pallemberg, Donyale Luna e tanti
altri. Molti sono morti.
Ti sei mai innamorata di qualcuno di loro? Mario è un
fratello amato, l'unica persona a cui ho chiesto una volta
centomila lire senza vergognarmi, perché tra me e lui c'è una
parità assoluta. Non ho mai scopato con David anche perché,
quando lo conobbi a Roma, era qui con moglie e figlio, e a me
non piace particolarmente scopare uno davanti alla moglie e al
figlio. E non ho scopato né con Keith, né con Mick. Erano
incontri creativi, tutti noi facevamo musica, e il momento del
sesso non è mai scattato. Magari, poi, la prima volta che li
incontro a un party finiamo in bagno e facciamo tutto. Non si
può mai dire.
Droga e musica, dal jazz al rock, sono legate
in un modo che sembra indissolubile. Perché? Io non penso che la
droga possa tirare fuori genialità, perché la genialità o c'è
o non c'è. Penso invece che ci siano musiche come il jazz,
come il rock, dove si usa molto l'istinto. E la droga, a
volte, può aiutare l'istinto. La cosa vera è che fare musica
di questo tipo stravolge, e fa vivere una vita survoltata. E'
difficile essere inseriti nella società, perché la tua realtà
è fuori, in quel tipo di musica.
Se incontri un uomo che ti piace,
e sei già innamorata di un altro, che succede? Io sono stata innamorata, ho amato,
e sono stata amata tantissime volte. E questa è già una cosa
miracolosa. In alcuni casi sono stata veramente trascinata in
una passione d'amore e, per qualche breve periodo, ho avuto la
straordinaria sensazione di essere completamente presa dalla
persona amata. Però, proprio in quel colmo di beatitudine,
come se la pienezza portasse altra pienezza, ho avuto la
sensazione che la felicità d'amore fosse come un lunghissimo
corridoio: si apre una porta e subito dopo ce n'è un'altra. La
spalanchi, ed eccone un'altra ancora, all'infinito.
Un uomo solo, insomma,
non ti basta? Non è una
questione di quantità. E' questione di varietà. A me piace
stare con due, tre uomini. Anzi, penso che l'idea dell' harem mi
si addica. Questa mia disponibilità crea talvolta degli
equivoci, e perché la situazione sia perfetta occorre una
giusta intesa con il partner. Un episodio assurdo è quello che
mi è capitato con i due Paul. Stavo incidendo un disco a
Londra nel 1975, Paul Martinez faceva parte del complesso come
suonatore di basso. Paul Jeffery dava una mano alla consolle e
quando era necessario integrava il complesso suonando la
chitarra. Mi piacevano tutti e due, e facevo l'amore con tutti
e due. Ma l'attrazione vera, da capogiro, ce l'avevo solo con
Paul Martinez. Finita la registrazione sono tornata in Italia.
Dopo qualche giorno avevo già voglia di Paul Martinez. Penso:
"Sarebbe bello andare con lui a Bali". Un attimo dopo squilla
il telefono: "Hallo, Nicoletta, Paul speaking...". Lo
interrompo entusiasta: "Ti andrebbe di venire a Bali con me?".
"Of course", dice lui. Dopo qualche ora Paul si presenta alla
mia porta, tutto vestito di bianco. Solo che era Paul Jeffery.
Per equivoco entrava trionfalmente nella mia vita. E ci
rimase, poi, per cinque anni, mica soltanto per quindici
giorni... In quei cinque anni naturalmente ho trovato il modo
di rivedere anche Paul Martinez, e ricordo un viaggio in
automobile, una sfolgorante Mercedes, da Verona a Roma, tutta
autostrada e tutto amore. Nella Mercedes eravamo in tre. Paul
Jeffery davanti, alla guida, Paul Martinez e io dietro,
stretti in una scopata senza fine. Quando arrivammo al casello
di Roma avevamo ancora addosso gli abbaglianti di un camion
che, incollato alle spalle, non ci aveva mollato un istante
durante tutto il viaggio. Paul Jeffery aveva guidato con
grande cautela per non disturbarci.
Ma questo modo d'agire non ti pare un poco
esibizionistico?
Può anche essere. Ma io non credo. Qualche giorno fa, a
Milano, mi è capitato di fare l'amore per strada, appoggiata a
un'automobile rossa, sotto la casa di un mio amico, il
cantante Ivan Cattaneo. Non mi sono sentita esibizionista
neppure un po'. E sai perché? Ero dentro un'onda musicale.
Avevo cominciato a fare musica con Ivan fin dal pomeriggio.
Poi è arrivato un altro amico, bello, giovane, simpatico, ma
che di musica non sa nulla. E' un industriale. Non avevamo mai
fatto l'amore prima, e ne avevamo una voglia furiosa tutti e
due. Così siamo scesi in strada. Poi, sono tornata su e ho
continuato a fare musica con Ivan fino all'alba. Io sono una
persona geniale, e il mio equilibrio rasenta la follia, perché
è un equilibrio perfetto. Tendere alla perfezione, avvicinarsi
al punto limite, al punto di rottura delle cose, è un rischio
tremendo. Io ho accettato di correrlo non per una scelta
mentale, ma perché sono nata così.
E quando senti di rasentare la follia? Sempre. Perché,
secondo me, i veri umani, quelli che pagano per tutti, sono
gli schizofrenici. La società li isola, li castiga, li
frustra... Tra loro e me c'è, però, una differenza piccola ma
decisiva: che loro sono degli schizofrenici che stanno dentro,
e io sono una schizofrenica lasciata fuori.
LUDOVICA RIPA DI MEANA
L'Europeo - 1983
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