Addio a Giuni Russo outsider della canzone

 

15 settembre 2004 - MILANO - Se n' è andata l' outsider della musica italiana, che con la sua voce potente era capace di passare dal successo di classifica alla sperimentazione più sofisticata. Giuseppa Romeo, in arte Giuni Russo, è morta ieri a Milano dopo lunga malattia, affrontata con coraggio - e lavorando fino all' ultimo - dopo una vita troppo breve sempre a cavallo fra pop, musica colta e jazz. Era una delle cantanti preferite da Franco Battiato, che l' ha sempre aiutata e sostenuta. Il suo ultimo desiderio, che sarà esaudito, è stato quello di essere sepolta tra le Carmelitane Scalze, al cimitero Maggiore di Milano; i funerali si svolgeranno oggi alle 14.45 proprio nel monastero dell' Ordine, in via Marcantonio Colonna. Giuni Russo aveva appena compiuto 51 anni: era nata a Palermo il 10 settembre 1953 da una famiglia di appassionati di musica lirica e fin da giovanissima aveva studiato canto e composizione. Si fece conoscere nel '67 vincendo il Festival di Castrocaro, ma i discografici diffidavano delle sue doti: brava - dicevano - ma lontana dai canoni estetici che secondo loro erano indispensabili per sfondare. Così lei si «rifugiò» nel jazz e nel 1975 pubblicò un album (oggi molto ricercato dai collezionisti) intitolato «Love Is a Woman» in cui spiccava il singolo «Milk of Paradise». La vera svolta arrivò solo cinque anni dopo, dall' incontro con Franco Battiato che l' aiutò a pubblicare (1981) un album raffinatissimo intitolato «Energie»; vi parteciparono Giusto Pio e Alberto Radius e il brano che meglio valorizzava le doti di Giuni era intitolato «Una vipera sarò». I suoi gorgheggi, i suoi virtuosismi colpirono la critica, ma non furono ancora sufficienti a farla apprezzare dal grande pubblico. Il successo popolare era però solo dietro l'angolo; l'anno successivo infatti Giuni Russo lanciò un vero tormentone da hit parade: «Un' estate al mare», brano disimpegnato il cui crescendo, in acuto (ombrelloni, oni-oni) ricordano tutti ancora oggi. Ma Giuni Russo era sempre alla ricerca di una musica meno convenzionale e più virtuosa. Le successive incisioni, fra cui «Vox» (1983), «Mediterranea» ('84), «Giuni» ('86)e «Album» ('87) confermarono un' artista in continuo divenire, molto versatile e rigorosa, capace però di comunicare anche col grande pubblico con successi quali «Good good bye», «Sere d' agosto», «Limonata cha cha», «Mediterranea», «Alghero», senza rinunciare a uno sperimentalismo vocale e strumentale del tutto anomalo nel panorama italiano. Le chiedevano sempre canzoni «effimere», ma lei si annoiava, finendo spesso per litigare con discografici e impresari. Nel 1988 arrivò una svolta ancora più colta con l' album «A casa di Ida Rubinstein», in cui Giuni eseguiva, con piglio sperimentale, arie e romanze liriche di Bellini, Donizetti e Verdi, confermando la naturale vocazione alle contaminazioni musicali d'avanguardia. Negli anni seguenti esplorò altri territori musicali: dalla world music arabeggiante di «Amala» ('92) al cabaret petroliniano di «Se fossi più simpatica sarei meno antipatica» ('94). Intanto Giuni Russo collaborava con scrittori e poeti, studiava antichi testi sacri, componeva nuove canzoni, cantava versi di Borges (a fianco di Giorgio Albertazzi nello spettacolo di musica e poesia contemporanea «Verba Tango», nel 1997). Nel 2003, quando i segni del male sono già evidenti, Giuni Russo partecipa al Festival di Sanremo con «Morirò d' amore», scritto con la fedele e inseparabile compagna d' arte e di vita Maria Antonietta Sisini: una sorta di commovente romanza-lied con arrangiamenti di Franco Battiato e Roberto Colombo. Giuni Russo aveva un carattere difficile e spigoloso, spesso a disagio in uno star system che premiava più le curve e il look del talento. Ma aveva tenuto duro fino all' ultimo. Sapeva da tempo che la fine era vicina e voleva assicurare un futuro stabile alla sua amica Maria Antonietta. Così cercava di far cantare a Pavarotti una canzone ricca d' enfasi scritta per lui. Ma non ha fatto in tempo a vedere realizzato questo sogno. Il suo repertorio recente è una sorta di testamento spirituale. Come «Il Carmelo di Echt» una composizione di Juri Camisasca ispirata alla vita e alla morte di Edith Stein (ebrea tedesca, monaca carmelitana deportata e morta ad Auschwitz), pervasa da una irreale serenità ma al tempo stesso segnata da una forte drammaticità. O la sua rilettura di «Ciao amore (ciao)» di Tenco. Uno dei suoi ultimi exploit è stato al Festival del Cinema muto di Pordenone il 18 ottobre 2003, dove creò in diretta durante la proiezione una colonna sonora per il film di Roberto Leone Roberti, padre del grande regista Sergio Leone, «Napoli che canta».

 

Mario Luzzatto Fegiz - CORRIERE DELLA SERA