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La fatica di essere un simbolo
di Carmelo Serafin
Ci sono persone
che Dio sceglie per poter portare avanti il suo progetto di
salvezza, anche attraverso il compimento della sua
giustizia
nella quotidianità umana. E subito in dote dà loro un
calvario. Il dolore, che è il navigare nella sofferenza senza
nome, distingue una persona, da un vivente.
Eunice, nasce con addosso la grazia e il peso del
talento. Talento
evangelico, che la parabola mette sui carboni ardenti della
responsabilità individuale. E
lei veste questa sua responsabilità profetica, diventando il
simbolo della bellezza femminile africana, culla della
storia dell'uomo.
Della cultura egiziana che incontra biblicamente quella
ebraica, si nutre la sua eleganza scenica. Del mistero di una
sfinge, assente e siderale, il suo distacco dalla teatralità
folcloristica. E' una delle prime figure di colore, che
azzera il costume e fa diventare l' abbigliamento etnico
nero, un linguaggio universale che verrà poi ampiamente
saccheggiato da tutta l'Alta Moda sia francese che italiana.
Me
la ricordo già con problemi esistenziali a Parigi, nel
fulgore del suo orgoglio di appartenenza, era una
dea.
Scomoda.
Mississippi Goddam è subito un canto di protesta, che
interpreta musicalmente, ad un livello di qualità altissimo,
perchè la signora è musicalmente coltissima... Mica
canta per non andare a lavorare, vero?!? Ma per incarico
celeste. Del brano viene vietata la radiodiffusione , perchè
il suo messaggio collima con la protesta
della gente di colore, che contraria alla guerra in Vietnam,
lotta parimenti per i diritti civili. C'è nel suo canto la
consapevolezza che la democrazia americana diventerà
schiava
del denaro e dei signori della guerra.! 11 settembre. Lei a
qualcuno disse: "Mi avevi incaricato di dirglielo...". La
sua è una voce che contiene la profezia.
In
un intervista alla radio francese l'ho sentita dire che lei
adorava Bach... Ecco perchè il suo tecnicismo anche come
pianista sfocia nel sublime e creativamente seduce l'intelligenza di chi l'ascolta.
Poi sottolineava come fosse
diventata una cantante da concerto, fulminando il
giornalista, confessando in maniera
canzonatoria: "Ho cominciato a cantare perchè la mia
famiglia aveva fame, e anch'io".
La
canzone che più la identifica è Four Women, guardarla e
ammirarla su Youtube, è uno dei tributi più alti che
la civiltà musicale abbia potuto esprimere sul tema della "liberazione
della donna", che sa comunque rimare regina incontrastata del
proprio sé. Femminismo
della misura e dell'originalità estetica della donna, seme
di bellezza, non femminismo aggressivo e volgare, frutto del
denudamento generale. Se le donne avessero seguito il
suo esempio, le strade sarebbero piene di regine, non di
straccione sgraziate con la faccia da mongole.
Stile da sacerdotessa che conosce i segreti delle piramidi,
o l'allegria leggera e sottilmente provocatoria del Nilo
Blu, di Nilla Pizzi, e non il gusto da battona, che impera e
fa aumentare la diversità.
My way, Ne me quitte pas e tante altre cover
la dicono lunga, con quelle pause alla Sarah Vaughan,
della sua capacità di annientare le versioni originali,
perché dopo averle assistite nella morte della loro faccia
più commerciale, sa riportarle in vita come risorte,
rigenerate, nuove! Canzoni che diventano preghiere laiche
quando nel vento profetico della sua interpretazione
riescono a toccare il cielo.
Quattro donne che sono l 'incarnazione della sua
essenza
femminile. Raccontata su un ritmo fisicamente viaggiante, che
conosce il fiato della voce divina e della fatica di
vivere. Quando
lei dice "my name is Peaches" rinnova il suo testamento
spirituale. E quando si alza dal pianoforte alla fine del pezzo
registrato, la regina Nefertari le fa un baffo.
Che è la distanza che molti maschi prendono dalle donne,
che credendosi emancipate diventano la brutta copia e
il peggio delle tare culturali e fisiche maschili. Oggi la capitale
immaginaria di molti insoddisfatti per mancanza di successo,
è tornata Babilonia. Nina Simone, è l' incontro della purezza del Nilo che va
verso il Mediterraneo, che porta con sé la nostalgia di non
aver conosciuto le nevi del Kilimangiaro.
Ma
lei non sarebbe stata nessuno, se non ci fossero state,
Maria Anderson, Aretha Franklin e Miriam Makeba.
Tutte e tre grandi signore del palcoscenico musicale, ma forse
quella che più ha influenzato Eunice, è stato l 'esempio
di Maria Anderson, la prima nera a far capire che le
donne di colore avevano nella loro voce l'esatto peso
specifico per interpretare le eroine del melodramma europeo
(Salomè,
Sansone e Dalila, Aida, Isotta,
Carmen, Rosina, Fiordiligi, Manon
Lescaut, Boheme, Norma, etc. etc.). Senza la voce nera
il melodramma sarebbe
morto e obsoleto. Maria Callas, greco/americana cambia lo
stile di lettura tronfio e volgare dei cantanti lirici
europei e tramite tutte le sfumature del canto della civiltà
nera, lo rende moderno. Nina Simone fa lo stesso con il jazz,
i suoi gridolini selvatici, e i suoi sussurri mentre mima
danzando Siffronia, una della quattro women, è l' urlo più
alto che la sua anima ci abbia lasciato in testamento. L'Africa
è la madre di tutta la civiltà occidentale. Il suo continuo degrado e
i bagni di sangue sono un' accusa vivente
del fallimento della democrazia. Oggi che conosco molte cose
dell'Africa, e che da miei amici laici che hanno un a casa
in Kenia ho sentito parlare dell'odio razziale che impera
fra i vari gruppi etnici di appartenenza keniota, capisco il
senso di smarrimento di Eunice, quando all
'intervistatore parigino che le chiedeva se fosse
soddisfatta di essere una bandiera, lei rispondeva
con un velo di emozione: "No, la mia inquietudine sta
nel aver capito che l'odio razziale è la cancrena anche
della mia gente".
Adesso Nina Simone, ritornata Eunice dal 2003,
avendo lo stesso nome di un asteroide viaggia nella luce
delle stelle, finalmente in pace. Dio, grazie, per avercela
donata.
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