Addio a Nina Simone, voce dell'orgoglio
nero
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APRILE 2003 -
CORRIERE DELLA SERA - Aveva da poco festeggiato i
settant' anni, Eunice Kathleen Waymon, più nota nel mondo del
jazz come Nina Simone, la tigre, la pasionaria, la
rivoluzionaria, quando ieri se n' è andata vittima di una
lunga malattia, ma anche di quella sua vita sregolata che l'
aveva spesso costretta a pause e cure per uscire dall'
alcolismo. Era nata a Tryon, nella Carolina del Nord, in una
famiglia dove la musica era di casa. Il padre suonava un po'
tutti gli strumenti, la madre cantava in un coro gospel, lei
messa al pianoforte a soli quattro anni. Una bambina prodigio
al punto che l' autorità cittadina si era mobilitata per
aiutarla a studiare, dapprima ad Asheville, poi alla gloriosa
Juilliard School di New York. Sembrava destinata ad una
carriera concertistica, grande cultura classica, ottima
tecnica, ma il colore della sua pelle era stato un ostacolo
insormontabile. Così si era trovata a vivere dando lezioni di
pianoforte e di canto, esibendosi in qualche jazz club come
pianista. Forse, proprio per la speranza di riuscire un giorno
o l' altro a proporsi come interprete del mondo classico,
aveva assunto lo pseudonimo di Nina Simone. E quel nome non l'
aveva più lasciata. Aveva una voce da contralto di ampia
tessitura, con colori scuri che ben si addicevano al jazz, al
blues, al folk americano e fin dai primi dischi, incisi nel
1957, aveva avuto successo presso un pubblico colto. Il jazz
degli anni Cinquanta-Sessanta aveva visto la nascita del be
bop, del cool e il loro declino, sostituiti dalla spericolata
avventura del free, ma Nina Simone sembrava insensibile alle
mode come alle rivoluzioni culturali, quasi che il suo stile
fosse nato direttamente con lei e non potesse, o non volesse,
mutarlo per assecondare le tendenze del momento. Era una
virtuosa del pianoforte Nina, qualche volta abusava anche dei
suoi mezzi, ma la sua voce aveva una straordinaria potenza
espressiva. Aveva cominciato a farsi notare con il suo primo
disco «I love you Porgy» dedicato alle musiche di Gershwin,
poi aveva preso a spaziare anche in altri generi, aveva
scoperto Dylan, Kurt Weill, i blues, ma non aveva dimenticato
Chopin e Bach. Per rintracciare le sue origini musicali aveva
anche studiato la musica africana e il suo modo di suonare il
pianoforte era diventato più percussivo, più incisivo. Ebbe il
coraggio di incidere «Strange fruit», la prima autentica
canzone di protesta razziale che Billie Holiday aveva
registrato nel 1939 e che sembrava appartenere soltanto a lei,
per la carica espressiva e drammatica che le aveva imposto
(con Nina Simone sono stati solo Josh White, Sting, Tori Amos,
Cassandra Wilson e Dee Dee Bridgewater ad inciderla). Da quel
momento Nina Simone aveva cominciato ad imprimere alla sua
musica una forte connotazione sociale e razziale e la sua
«Black is the color of my true love' s hair» aveva fatto il
giro del mondo. Negli anni Sessanta era già nota per la
passionalità delle sue interpretazioni e per la sua attiva
partecipazioni ai movimenti di emancipazione del popolo di
colore e proprio per sentirsi unita a quanto avveniva attorno
a lei (erano gli anni di Martin Luther King, di Malcom X,
delle Pantere nere) aveva scritto «Old Jim crow» inimicandosi
la buona borghesia americana e diventando «la tigre», «la
pasionaria». Ed era tornata anche ai gospel, come linguaggio
tipico del suo popolo. Nina aveva deciso di prendere parte
attiva nella società afroamericana che andava scoprendo la sua
identità e, spesso, nei suoi concerti europei, parlava al
pubblico della difficile situazione della sua gente. Era anche
diventata amica dello scrittore Leroy Jones. Insieme avevano
progettato una black opera che, però, non è mai andata in
porto. La sua forte personalità era riuscita comunque ad
imporsi anche negli Usa al punto che la città di New York l'
aveva insignita della sua massima onorificenza. Quando aveva
cominciato a fare concerti anche in Europa, a Parigi aveva
incontrato le canzoni di Brel, se n' era innamorata e aveva
inciso una memorabile versione di «Ne me quitte pas» e poi «Il
faut savoir» e «L' amour c' est come un jour» entrambe di
Aznavour. E proprio in Francia, dove è morta, aveva finito per
passare buona parte dei suoi ultimi anni. La disuguaglianza
razziale negli Usa è «peggio ora di prima», aveva detto nel
1998 prima di prendere la decisione di vivere all' estero per
colpa del razzismo americano. Vittorio Franchini
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