Rassegna
stampa (selezioni)
LA REPUBBLICA (2.3.2015) -
Liz Garbus è una regista
americana di documentari, e una star del Sundance
Festival. Alla rassegna di cinema diretta da
Robert Redford ha presentato qualche anno fa un
film su Marylin Monroe (Love,
Marylin) e prima
ancora Bobby
Fischer against the world, sulla vita del più
famoso giocatore di scacchi del mondo. Quest'anno era a
Salt Lake City con What happened, Miss
Simone?. È il racconto della vita di Nina
Simone, avvitato intorno al celebre concerto di
Montreaux del 1976, dove la cantante
riappare in pubblico dopo una lunga sparizione, viaggi
intorno al mondo, fughe da un'esistenza complicata.
Nina Simone è stata una donna arrabbiata, in
lotta contro il razzismo e mariti e manager sbagliati e
violenti, depressione, con una voce che "qualche volta è
dura come ghiaia e qualche volta morbida come la schiuma
del cappuccino", diceva di se stessa.
Vorrei raccontarvi molte più
cose, ma purtroppo il film non l'ho ancora visto, e le
notizie le rubo dai siti americani e dai giornalisti che
sono stati al Sundance. Oltre che da tutti quelli
che hanno potuto vederlo su Netflix, in streaming
a pagamento. Quando accadrà in Italia? Da noi ci
sono alcuni festival, case editrici che pubblicano dvd e
la solita televisione. Che però manda in onda, di
solito, a orari impossibili. Poi c'è la rete, certo,
YouTube e i file torrent pirata. Con un po' di
buona volontà e spregiudicatezza ci si può fare, a
vedere i documentari. Quante possibilità ci sono che
Netflix possa essere accessibile anche
dall'Italia, magari con i film sottotitolati
e non doppiati? Che nasca una rete di distribuzione dei
documentari nelle sale cinematografiche? Che si smetta
di considerarli i fratellini minori e un po' sfigati del
cinema di finzione?
Ah, moltissimi registi di
documentari sono donne.
LA
STAMPA (11.2.2015) - Mille sfumature di jazz
scorrono in «What happened, Miss Simone?» che ripercorre
l’esistenza dell’artista celebre e talentuosa, poi
divenuta attivista profondamente impegnata sul fronte
della lotta per i Diritti civili. Attraverso rarissime
immagini d’archivio, interviste e ricostruzioni, la
regista Liz Garbus evidenzia il carattere fiero
della protagonista, ma anche le sue più intime
fragilità. Evitando le trappole della santificazione,
Garbus restituisce il ritratto di un personaggio
controverso, segnato dagli episodi di razzismo subiti
nella prima giovinezza, dal matrimonio con un marito
violento, e dai disordini mentali di tipo bipolare che
furono diagnosticati a Nina Simone solo
nell’ultima parte della sua vita. Tra le testimonianze
più scioccanti e sincere quella della figlia, Simone
Kelly che ricorda il tragico clima familiare,
comprese le botte subite dalla madre, a sua volta
picchiata dal marito.
LA REPUBBLICA (24.1.2015) -
L'attenzione ai
documentari è vincente più che mai quest'anno al
Sundance Festival, che si è appena aperto a
Park City, fra le montagne dello Utah. La
rassegna ha preso il via all'Eccles Theatre con
What happened, Miss Simone? (titolo tratto
da una frase della poetessa Maya Angelou),
documentario della regista Liz Garbus sulla
cantante Nina Simone. Dopo il film, breve
concerto di John Legend che al piano ha cantato
tre brani dell'artista scomparsa nel 2003. «Sono
onorato di onorarla e ricordarla» ha detto
Legend, che insieme al rapper Common è
candidato all'Oscar per Glory, la canzone
originale del film Selma, con cui hanno appena
vinto un Golden Globe. Fra i documentari più
attesi, anche quello su Kurt Cobain diretto da
Brett Morgan, il primo autorizzato dalla famiglia, a
vent'anni dalla scomparsa del leader dei Nirvana
e in onda entro l'anno su HBO. What
happened, miss Simone? segue la carriera
della cantante, la battaglia contro la malattia mentale
(era bipolare), l'attivismo nei movimenti per i diritti
civili, il trasferimento in Liberia, quando mise
da parte la musica, infine la Francia, dove la
sua carriera ripartì. «È una delle mie cantanti favorite
di ogni tempo» ha detto Legend, che ha concluso
la performance con Don't let me be
misunderstood del 1964. «Ho studiato le
canzoni pensando alle parole, alla sua audacia,
all'impegno». Nell'introdurre il film, Liz Garbus
ha ricordato che «negli anni Sessanta, quando
Nina Simone è cresciuta politicamente, la musica
era legata in modo inscindibile al movimento per i
diritti civili. Legend è uno dei pochi artisti
che ancora tengono viva quella fiamma, l'impegno per la
giustizia sociale. È bello che sia qui a rappresentare
lo spirito di Nina, a portare il messaggio e la
bellezza della sua musica a una nuova
generazione»...
IL
MANIFESTO
(24.1.2015) - "Certe volte la mia voce ha il suono della ghiaia,
altre è come un caffé con la panna". Basta questa
dichiarazione per evocare la favolosa, inarrivabile,
profonda e imprevedibile libertà dell’arte di Nina
Simone, cui il Sundance Film Festival ha reso
omaggio la sera dell’inaugurazione con What Happened, Miss
Simone?
(prodotto da Netflix, in programma
anche alla Berlinale). Il titolo del nuovo
documentario di Liz Garbus è la citazione di
un testo di Maya Angelou («Cosa è successo,
Miss Simone? A quegli occhi velati per nascondere
la solitudine, a quella voce che ha così poca
tenerezza e che però trabocca d’impegno nelle
battaglia della vita. Cosa ti è successo?»),
scritto per Redbook nel 1970. Erano gli
anni in cui Nina Simone era virtualmente
scomparsa dalla scena musicale e da quella
politica, e stava per lasciare gli Stati Uniti
(o, come disse lei, «i serpenti uniti d’America»)
e trasferirsi prima in Liberia, e poi
in Europa.
Il tormento,
anzi i cosiddetti demoni che stregavano la vita di
Eunice Waymon (nata nel 1933 a Tyron,
nella North Carolina rurale) sembrano
inizialmente la maggior preoccupazione del film, citati
in apertura dalla figlia (anche produttore) e, durante
la presentazione in sala, da Garbus.
Fortunatamente, grazie alla forza dei materiali di
repertorio, della sua voce (quando canta e non)
e della musica, Nina Simone ci fa
dimenticare quella gabbia narrativa e di stile,
lineare e deterministica (che affligge parecchi
documentari di qui), con la facilità con la quale,
cantando una canzone cambiava improvvisamente ottava,
spiazzando tutti. «Ero l’unico che riusciva
a starle dietro. Non si sapeva mai cosa avrebbe
deciso di fare» dice Al Schakman, il suo
direttore musicale, un carissimo amico e il
chitarrista che l’ha accompagnata quasi tutta la vita.
E quella spinta istintiva, irriducibile al rifiuto
della sincronia con i tempi (musicale, storico,
politico), quella ricerca mai soddisfatta di essere se
stessa fa di Nina Simone una figura irripetibile
oggi...
Dal debutto al Newport Jazz Festival
(quando all’ultimo momento non voleva salire sul
palco ma poi mentre suona la si vede sorridere di
gioia), alla Playboy Mansion di Hugh
Hefner dove canta una sua famosa interpretazione di
Gershwin, I Loves You, Porgy,
alla fama nei tour internazionali, all’incontro con la
politica, dopo il bombardamento della chiesa di
Birmingham in cui persero le vita quattro bambine
afroamericane.
Da
quella tragedia, e dall’assassinio di Medgar
Evers, nel 1963, nacque Mississipi
Goddam (boicottata dalle radio di mezzo paese che
restituivano i 45 giri spezzati in due), il suo
primo, furioso, grido in appoggio alla battaglia per
i diritti civili. Una battaglia che da allora
diventò parte integrante della sua arte, con apparizioni
alla Marcia di Selma e dopo l’uccisione di
Martin Luther King, più in sintonia con le
posizioni non pacifiste delle Black Panthers
e del suo grande amico Stokely Carmichael.
«Non sono nonviolenta», Nina Simone ammonì
King un giorno. Why (the king of love
is dead) del 1968 è una canzone scritta
dopo la sua morte. In quegli anni, la musica di Nina
Simone arrivava dalle strade in cui si combatteva il
razzismo e dai testi di Langston Hughes
e Lorraine Hansberry di cui era amica. Più
avanti dirà che la politica danneggiò irreparabilmente
la sua carriera. Ma nel film è quello il momento in
cui sembra più realizzata.