.
Rassegna Stampa - La Repubblica: 1988/2002
.
5.11.1988 - La Simone trionfa a Milano
.....
Milano - La solita
suspense: arriva o non arriva? Farà il concerto per intero o
no? Ma quando è arrivata sul palco, impettita e matronale come
una regina africana, visibilmente commossa quando la platea è
esplosa in una ovazione convinta, si è capito che Nina
Simone è molto più seria della terribile fama che la
precede. Quasi nessun organizzatore era più disposto ad
organizzare un suo concerto, ritenendola del tutto
inaffidabile, ma questo non ha fatto altro che far crescere l'
alone leggendario che la circonda, come una delle rare artiste
di culto rimaste in circolazione che siano all' altezza di
questa definizione. Nina Simone forse non si è mai
neanche posto il problema della commercialità dei suoi
prodotti. Sembra assorta e concentrata nel suo mondo, lontana
da banalità terrene, struggente e drammatica come solo alcune
grandissime voci nere del passato sono riuscite ad essere.
Strana, venata di follia, rigida e bloccata nei movimenti,
inguainata in un buffo ed elegante abito a forma di carciofo,
e pettinata all' africana, quando si mette al pianoforte e
canta le sue canzoni scivola in quella magia impalpabile e
sublime che è delle grandi interpreti. Nina Simone
sembra in vena, pur afflitta da un microfono che taglia e
riduce la sua voce, contenta di suonare per il pubblico
italiano che la conosce così poco. Il suo canto è basso,
cavernoso, con un timbro vagamente maschile che ricorda quello
delle vecchie ma del blues classico. Ma soprattutto è una
cantante che appartiene a quella razza eletta delle interpreti
che possono permettersi di rifiutare la tecnica. Il suo canto
è espressione diretta, senza mediazioni, sembra sgorgare
direttamente dall' anima, senza abbellimenti, virtuosismi,
note superflue ed estetizzanti. Ogni nota è essenziale,
bruciante, e così ogni parola che canta è realmente
interpretata, scavata in profondità, come se ci fosse sempre
qualcosa da scoprire. Come è sua abitudine il repertorio del
concerto spazia in lungo e in largo in ogni genere possibile,
coadiuvata a livelli di minimo sindacale da un gruppetto di
accompagnatori che ricorda le orchestrine di intrattenimento
da locale di serie B. Ma fanno il loro dovere e presto ci si
scorda completamente della loro presenza. Nina Simone
interpreta alcuni dei suoi famosi remake come Here Comes
The Sun scritta da George Harrison, che fu uno dei
suoi primi successi e che tramite la sua voce si trasforma
incredibilmente in una melodia africana. Ci sono alcune sue
composizioni, anch' esse famose, in particolare quelle che
anni addietro l' hanno qualificata come una cantante di
protesta, tenacemente impegnata sul fronte dei diritti civili,
come la drammatica Four Women o la divertente
Mississippi Goddam cucita abilmente insieme alla
superclassica Alabama Song di Weill/Brecht
che è stata inserita di diritto anche nel canzoniere pop da
quando se ne appropriarono i Doors. E naturalmente c' è
My Baby Just Cares For Me, gioiello di molti anni fa
rilanciato recentemente in un' America in vena di ricordi, il
pezzo che ha creato finalmente una qualche attenzione di massa
nei suoi confronti. Gli umori variano con estrema facilità dal
gospel (suo retaggio dell' infanzia), al jazz sottile, al pop,
alla ballad struggente. Talvolta, come quando canta Be My
Husband, il clima diventa quello di un canto di lavoro,
cadenzato solo da percussioni e dal pubblico che batte le
mani. Non ci sono problemi di genere, perché qualsiasi
materiale di partenza viene trasformato, personalizzato da
questa voce straordinaria che non si preoccupa mai di apparire
bella, quanto di esprimere. La gente si infervora sempre di
più, anche perché la stessa Simone sembra scaldarsi man mano,
superare pezzo dopo pezzo una istintiva diffidenza nei
confronti del pubblico e concedersi sempre di più. Sorride,
invita la gente a battere le mani, mostra una cordialità che
nessuno si sarebbe aspettato, forse perché spiazzata dallo
straordinario affetto che il pubblico le manifesta. Il
concerto finisce presto, e i cultori sono ancora poco sazi,
anche perché chi la conosce, sa quante straordinarie canzoni
potrebbe ancora cantare. Ma accade l' incredibile. Un ragazzo
si avvicina al palco e le chiede una canzone, Nina Simone
lo guarda con infinita dolcezza e si rimette al piano per
cantarla. E' Nobody Knows You When You' re Out And Down,
e la canta guardando il ragazzo come per dirgli: "Sei
contento?". La gente non smette di applaudirla. E c' è ancora
un bis, una nuova canzone che Nina Simone canta con
grande profondità, immersa in una concentrazione contagiosa,
da pelle d' oca. Alla fine guarda il pubblico e promette di
tornare molto presto. Solo così la gente si placa e se ne
torna a casa. -
GINO CASTALDO
.....
24 .8.1990
- Insieme in tournée tre grandi cantanti
.....
Reggio Emilia
- Three women for freedom, tre donne per la libertà, è
il titolo della tournée italiana in cui Nina Simone,
Miriam Makeba e Odetta si esibiranno per la prima
volta insieme. La tournée, organizzata dalla City Medial Two
di Reggio Emilia, porterà le tre grandi cantanti in concerto
il 4 settembre a Rocca dei Normanni di Paternò (Catania), il 6
a Salerno, l' 8 a Cagliari e il 10 a Bologna. Simone, Makeba e
Odetta rappresentano la grande tradizione musicale
afroamericana che hanno sviluppato in modi diversi. La prima è
l' estro, la gran voce, il pianismo, e in questi ultimi anni è
tornata a calcare i palcoscenici del mondo dopo un lungo
periodo di silenzio; Miriam Makeba, nata in una tribù Xosa del
Sudafrica, ha vissuto a Soweto prima di un lungo esilio dal
suo paese (nel quale è tornata ultimamente), dedicandosi
attivamente alla lotta contro l' apartheid insieme a musicisti
come Paul Simon e partecipando ai grandi appuntamenti
per Nelson Mandela. Anche Odetta, sessanta anni,
considerata un mito della musica folk afroamericana, ha fatto
della battaglia per i diritti civili una costante della
propria attività artistica.
....
27.12.1991
- La voce diretta dell'anima
....
Roma - Infagottata
nei suoi improbabili vestiti, con quel crocchio di capelli
dritto sulla testa, simile ad una statua africana, Nina
Simone sembra arrivare da un altro pianeta, proveniente da
un' era della musica per così dire pre-tecnologica,
ostinatamente tribale, tutta acustica e stilisticamente
essenziale. Il suo segreto è tutto in questa prodigiosa
alienità, scevra da qualsiasi compromesso o concessione che
sia. Come molti grandi interpreti, ma forse più di chiunque
altro, sembra attingere ad un mondo tutto suo, misterioso e
impenetrabile. Lascia scorrere liberamente la sua voce, al di
là di ogni impostazione convenzionale del canto, ottenendo un'
intensità drammatica che non ha confronti nella musica di
oggi. Il suo modo di cantare è talmente diretto, non mediato
da alcuna sovrastruttura stilistica da provocare nell'
ascoltatore un emozionante disagio, quell' imbarazzo che si
prova quando ci vengono presentate verità troppo brutali, e
per di più disadorne, non addolcite da forme retoriche. Una
geniale semplicità dunque. Per usare un' immagine cara alla
cultura afroamericana, sembra che per Nina Simone il tragitto
dall' anima all' espressione vocale sia il più diretto
immaginabile, non elaborato, non arricchito strada facendo da
quegli "effetti" che più o meno tutti i cantanti adoperano per
imbellire la propria emissione vocale. Per trovare qualcosa di
simile dovremmo tornare indietro a Billie Holiday,
anche se le due voci sono completamente diverse, simili solo
in questa capacità di superare con geniale semplicità gli
aspetti più convenzionali e artificiosi del canto. A tutto
questo, nel concerto tenuto dalla Simone al Palladium
di Roma, si è aggiunta una prepotente bizzarria, una
stralunata vivacità che in altri recenti concerti era mancata.
L' avevamo vista altre volte, sempre più appesantita da una
sorta di allucinata catatonia che pure produceva effetti di
sconvolgente drammaticità. Mentre a Roma, ha fin dall' inizio
dialogato col pubblico, prima insultandolo perchè rumoreggiava
o si distraeva in fondo al locale in zona bar, poi
blandendolo, richiedendo perentoriamente attenzione, poi
infine facendolo cantare e arrivando a sorridere
entusiasticamente di fronte al crescendo di entusiasmo
collettivo. In questa vena più generosa e estroversa del
solito, ha saputo passare dai toni più sofferti, elegiaci,
allo swing veloce e divertente di cui pure è maestra. Per
cantare la sua Seeline Woman si è addirittura messa a
ballare, su una scansione africana sottolineata dal battito di
mani della platea. Ha spaziato nel suo immenso repertorio sia
riproponendo alcuni classici di sua composizione come
Mississippi Goddam, Four Women, sia come di
consueto riproponendo canzoni tratte dai più disparati
repertori, e riproposte nella sua inconfondibile, spesso
radicalmente diversa, versione. Splendida tra le altre la
classica Don' t Let Me Be Misunderstood, all' interno
della quale ha infilato una lunga citazione, o almeno così è
parso ai presenti, di Dicitencello Vuje. Ha poi
proposto Baltimore di Randy Newman, Here
Comes The Sun dei Beatles, che fu molti anni fa un
suo personalissimo successo in America, e a sorpresa una
entusiasmante versione di My Way, che ovviamente faceva
letteralmente scomparire quella di Frank Sinatra. E poi
I Put A Spell On You, Love Me Or Leave Me e
altre ancora. L' unica vera concessione al pubblico Nina
Simone la ammette nel chiudere sistematicamente tutti i suoi
concerti con l' immancabile, richiestissima My Baby Just
Cares For Me, vera e propria sigla della sua carriera, e
puntualmente occasione di un festoso, eccitante finale con
tutto il pubblico in delirio.
Gino
Castaldo
....
11.6.2001 - Nina
Simone, un mito che trionfa sul tempo
....
Parigi - Midtown
Bar and Grill, Atlantic City, 1954. Eunice Waymon,
giovane ragazza nera della Carolina del nord, suona nel supper
club per pagarsi le lezioni di musica. Per evitare che i
genitori, ministri della chiesa battista, lo sappiano, si fa
chiamare Nina Simone. Ha la testa piena si sogni. La
Juilliard School di New York, con l' idea di diventare la
prima concertista afroamericana. Una voce ubriaca tuona nel
locale semivuoto. «Canta! Perché non canti?» Un brivido di
terrore le attraversa la schiena. Non ha mai cantato, non può.
E il padrone del club minaccioso: «Vogliono che canti. Canta.
O sparisci» le sibila nell' orecchio. Incomincia a cantare con
la voce spezzata, gracchiante, virile. Lo fece perché aveva
giurato a se stessa di suonare alla Carnegie Hall. Ci arrivò,
ma come cantante. E ci tornerà tra pochi giorni, il 28 giugno.
Parigi, 8 giugno 2001, Palais des Congrès. «E' bello rivedervi
dopo dieci anni» mormora ai settemila che riempiono la sala.
Tutto esaurito da febbraio. Nina Simone ha 68 anni,
vive a Bouc Bel-Air, non lontano da Aix-en-Provence.
Polemicamente, ha rinunciato alla cittadinanza americana. Le
fanno compagnia la solitudine e un ragazzo magro e pallido col
naso aguzzo che ne ha fatto la sua ragione di vita, Roger
Nupie, il presidente del fan club. Non è difficile
immaginare un rapporto di complicità e di indecifrabile
opportunismo reciproco, come quello di Marguerite Duras e del
suo giovane amico/amante gay. A malapena si regge sulle gambe.
L' accompagnano in due allo sgabello del pianoforte. La prima
standing ovation dura quasi dieci minuti, e la sacerdotessa
del soul non ha ancora pronunciato una parola. Quando il
pubblico si riaccomoda sulle poltrone, pigia un dito su un
tasto del pianoforte e intona solenne Black Is The Color Of
My True Love' s Hair, una folk song irlandese che negli
anni Sessanta vestì con costumi africani. Canta a stento, ma
il timbro non ha perso la forza. Ancora come lo raccontava Sam
Shepard in Motel Chronicles. Canta Everytime I feel The
Spirit, un gospel che le toglie il fiato. Poi Here
Comes The Sun di George Harrison. Si perde in una
versione in inglese, intensa, disperata, di Dicitencello
vuje che la lascia disorientata. «Qual è la prossima?»
chiede ai musicisti. E prima di ottenere risposta è già nello
spirito di Dylan, con la sua versione di Just Like A
Woman. «Ora voglio ballare» esclama perentoria. Ma riesce
a malapena ad alzarsi per scandire con i piedi il tempo dell'
ipnotica Seeline Woman. Alla fine, sfiancata, scompare
dietro le quinte. Il gruppo resta in panne. Il percussionista
si prodiga in un assolo, il chitarrista accenna una bossa nova
jazz. I ragazzi (ci sono moltissimi giovani in platea) la
invocano: «Nina ne nous quitte pas», non ci lasciare, come il
titolo francese della sua autobiografia, come la canzone di
Jacques Brel che canta non appena la riaccompagnano al
pianoforte. Il momento più intenso della serata, insieme alla
ripresa di Don't Explain di Billie Holiday.
Le resta la forza per un altro spiritual: Trouble Of The
World, la cantava Mahalia Jackson nel film Lo
specchio della vita, nella scena in cui Lana Turner
piangeva al funerale della sua cameriera di colore. Il
pubblico non si rassegna a lasciarla andare. La richiamano in
scena con amore, si assiepano sotto il palco. Una ragazzina
singhiozza invocando il suo nome. Assomiglia alla Bridget
Fonda infatuata della Simone nel film Nome in
codice: Nina. Rientra per liquidare in due minuti My
Baby Just Cares For Me, la canzone che la pubblicità di
Chanel N. 5 portò prima in classifica, trent' anni dopo. Tenta
un inchino, dice «Vi amo», poi si ritira. Cinquanta minuti:
pochi per un biglietto pagato 150.000 lire. Tanti per i fan
che non ci speravano più. Sanno che è in difficoltà. Sanno che
di più non può dare. Vorrebbero, ma non osano chiedere un
secondo bis. -
Giuseppe Videtti
....
28.4.2002 - La mia regina egiziana
........
"Portavo sempre
il ghiaccio a Nina Simone. Le portavo un sacco di plastica
grigia pieno di ghiaccio per raffreddare lo scotch. Si
strappava la parrucca bionda e la gettava sul pavimento.
Sotto, i capelli erano corti come il vello tosato di un
agnello nero. Si scollava le ciglia finte e le appiccicava
allo specchio. Le palpebre erano spesse e dipinte d' azzurro.
Mi faceva venire in mente una di quelle regine egiziane che
vedevo sul National Geographic. La pelle era lucida di sudore.
Si arrotolava un asciugamano azzurro intorno al collo e si
sporgeva in avanti appoggiando entrambi i gomiti sulle
ginocchia. Il sudore le rotolava giù dal viso e schizzava sul
pavimento di cemento rosso tra i suoi piedi. Finiva sempre il
suo spettacolo con la canzone «Jenny delle spelonche» di
Bertolt Brecht. Cantava sempre quella canzone con una sorta di
profonda e penetrante rivalsa, come se avesse scritto le
parole lei stessa. La sua esecuzione puntava dritta alla gola
del pubblico bianco. Poi al cuore. Infine alla testa. Era un
colpo mortale in quei giorni. Ma la canzone che mi lasciava di
stucco era «You' d be so nice to come home to». Magari ero in
giro a raccogliere bicchieri in sala e lei attaccava una
specie di frana roboante al piano con la voce che sgusciava
attraverso gli accordi. I miei occhi s' incollavano sul palco
e ci rimanevano mentre le mani continuavano a lavorare. Una
volta rovesciai una candela mentre lei cantava quella canzone.
La cera bollente sgocciolò sull' abito di un uomo d' affari.
Mi chiamarono nell' ufficio del direttore. L' uomo d' affari
era lì in piedi con questo lungo schizzo di cera indurita sui
pantaloni. Pareva che si fosse venuto addosso. Fui licenziato
quella sera. Fuori in strada sentivo la sua voce che arrivava
dritta attraverso i muri di cemento: «Sarebbe il paradiso se
tu tornassi a casa»".
Sam Shepard -
Testo
tratto da «Motel Chronicles» Ed. Feltrinelli
....
28.4. 2002 - INTERVISTA - Odio l'America, odio la gente tranne quando sono
sul palco
....
Roma - Conosce
Maria Callas? «Io sono come Maria Callas». È l' unica
bianca alla quale le piace somigliare. Maria Callas e Frank
Sinatra. «Lui è grandissimo, è mai venuto a cantare in Italia?
Mi piace molto l' opera. Una volta ho cantato anche "Black
Swan", dal Medium di Giancarlo Menotti». Poi Nina Simone entra
nel pantheon dei neri e non ne esce più. «Marian Anderson, il
grande contralto, una delle mie preferite, insieme a Stevie
Wonder e Ray Charles. E Patti LaBelle: abbiamo duettato alla
Carnegie Hall il 13 aprile. Al "Rainforest Concert"
organizzato da Sting». Ha cantato canzoni di Sting?
«No. Non ne ha bisogno. È già così ricco. Case, castelli...
Vorrei avere io tutti quei soldi!». Cosa ha cantato?
«"Here comes the sun" di George Harrison, "My baby just cares
for me" e "Ne me quitte pas di Jacques Brel. Poi sul finale
quando Patti e io abbiamo intonato "Oh happy day", tutti gli
altri si sono uniti in coro, Sting, Elton John, James Taylor,
Smokey Robinson. Una notte di stelle, mi hanno trattato come
una regina». Si è riappacificata con l' America, dopo la
polemica fuga in Africa negli anni Settanta e la scelta
definitiva di una nuova nazionalità, quella francese. «Sì, una
volta tanto New York mi è piaciuta e mi sono divertita. Ho
sempre odiato quella città. Ci sono tornata dopo dieci anni.
Ma ora che sono qui a casa mia non ho alcuna voglia di
tornarci». La casa di Nina Simone, 69 anni compiuti il 21
febbraio, è a Bouc Bel-Air, in Provenza, lontana dall' America
che ha ripudiato da un quarto di secolo, con gli odori dell'
amata Africa che le arrivano dal Mediterraneo. «Questo è un
bel paese, mi allontano raramente ormai. Solo quando il mio
manager riesce a organizzarmi una piccola tournée qui
intorno». Il 5 maggio si esibirà all' Auditorium di Roma.
Che ricordi ha del nostro paese? «Cantai al Sistina, in
sala c' era anche la Magnani. Quell' anno (il 1969) mi fecero
anche incidere una canzone in italiano, "Così ti amo". Imparai
le parole in poche ore e a tarda sera avevamo completato la
registrazione». Era una versione di "To love somebody" dei Bee
Gees per la quale Gino Paoli scrisse un nuovo testo. «È un'
artista difficile, molto difficile» raccontava Ronnie Scott
che la ospitò più volte nel suo jazz club londinese. «Ricordo
una volta che dopo aver cantato due canzoni s' interruppe
bruscamente e incominciò a scrutare il pubblico in sala senza
dire una parola. Poi si alzò e scomparve dietro le quinte. Il
concerto era finito». Nina Simone non è mai stata un' artista
facile. Ora meno che mai. Quest' intervista è frutto di un
anno di telefonate, email, inseguimenti, richieste
ripetutamente respinte. «Dr. Simone non vuole parlare del suo
passato, non faccia lo stesso errore degli altri giornalisti»
ammonisce Clifton Henderson, il suo factotum. L' anno scorso
c' invitò al Palais de Congrès di Parigi: un concerto
trionfale, ma alla fine era esausta, troppo stanca per un'
intervista. «Non creda che Dr. Simone sia un' artista fragile
come sembra» dice il suo manager Juan R. Yriart «è solo una
donna che pretende attenzione e sa come ottenerla». E pretende
anche di essere chiamata "doctor": sempre e da chiunque. I fan
italiani hanno perso le sue tracce. Le sue apparizioni sono
sempre più rare. Per molti lei è diventata un culto. «Era
quello che volevo quando mi sono stabilita in Francia. Volevo
condurre una vita ritirata, lontana dai riflettori.
Affacciarmi alla finestra e vedere il mare. E, in una bella
giornata come questa, spalancare le persiane e far entrare il
sole. Non ne potevo più dell' America, non ne potevo più della
gente. L' unico momento in cui tollero la presenza del
pubblico è quando sono sul palcoscenico. In quel momento
vorrei conoscerli uno ad uno. Sapere chi sono e dove sono
seduti. Diversamente, come si può cantare una canzone a
qualcuno?». Come mantiene il contatto con i suoi
ammiratori? «Mi scrivono lettere. Ne ricevo migliaia ogni
giorno, dai milioni di fan che ho in tutto il mondo». Ora
sta lavorando a un nuovo disco, quando uscirà? «Ho già
inciso alcune canzoni, ma ci vorrà ancora tempo. Ci saranno
dodici brani, o forse dieci. Dovrebbe essere pronto per fine
anno». Canterà anche qualcosa in francese? «Sì, una
nuova versione di Ne me quitte pas». Come trascorre la sua
giornata? «Da reclusa, come piace a me. Faccio
passeggiate, trascorro ore sotto il porticato, poto le piante,
raccolgo i fiori. E siccome sono anche una donna fortunata, a
volte mi concedo un concerto nei paraggi». Ascolta musica
in casa? «Mai. Tranne le canzoni che eseguirò in concerto.
Le ascolto e le risuono infinite volte». Come si è sentita
quando New York è stata attaccata dai terroristi? «È stato
un choc, come per tutti. Ma non è stata una sorpresa: quel che
è accaduto non era del tutto imprevedibile». Avrebbe mai
creduto, dopo le canzoni di protesta, le marce e i sit-in cui
anche lei ha partecipato negli anni Sessanta di ritrovarsi di
nuovo in guerra? «Non me l' aspettavo, ma ora sono
pronta». La maggior parte degli artisti americani si è stretta
intorno a Bush quando il presidente ha annunciato l' attacco
all' Afghanistan. «Non io. Io avrei votato per Gore». Come
giudica la scena musicale nera di oggi? Il suo nome è finito
anche in una rima dei Fugees: "You Al Capone / I' m
Nina Simone". «C' è molto rap in giro, ma niente di
musicalmente valido. Il messaggio, in fondo, è lo stesso delle
mie canzoni di trent' anni fa. Ma a loro manca un leader. Non
hanno Martin Luther King, non hanno Malcolm X, e alla fine
sbattono la testa contro il muro». Oggi si sente più
francese o americana? «Io mi sento Nina Simone, mio caro».
Giuseppe Videtti
...
8.5.2002 - Il mito di Nina Simone brilla
solo nei ricordi, dal vivo è l'ombra di sé
..
Roma - Chi ama gli artisti che hanno consumato la vita
sulla fiamma dell' intensità insegue il mito del genio. E sa
anche che Nina Simone è una di quegli artisti che, come
pochissimi altri, è capace di far scattare la scintilla che
accende la luce sulla poesia della musica, anche solo con un
brano, lasciato alla deriva in un fiume di musica priva di
luce. Dopo averla ascoltata l' altra sera a Roma, all'
Auditorium Parco della Musica, viene il sospetto che
anche per lei il mito della scintilla sia niente più che un
ricordo. Guardando lo spettacolo malinconico che la povera
Nina Simone stava offrendo di sé e della sua musica al
generosissimo pubblico dell' Auditorium, veniva da domandare a
quel giovanotto vestito alla maniera degli anni d' oro del
Cotton Club che le fa da assistente, che cosa si sia
sostituito al cuore per dargli il coraggio di non impedirle di
punirsi così in pubblico. Accompagnata dalla "solita" band di
musicisti olandesi assemblata per l' occasione, vestita con un
abito impietosamente scollato, spinta da passetti traballanti,
Nina Simone è salita sul palco brandendo un bastone con
un piumino tipo quelli dei riti voodoo di New Orleans che lei
ha usato per incitare il pubblico. Black Is The Color Of My
True Love' s Hair, Four Women,
Mississippi Goddam sono alcuni dei titoli di questo
concerto in cui pareva di sentire Nina Simone che
ricordava distrattamente a un amico i suoi brani più famosi.
Neanche la proposta a sorpresa della beatlesiana Here Comes
The Sun è servita a dare un po' di vita alla serata. Gli
applausi entusiastici del pubblico le sono serviti per avere
il tempo di chiedere al chitarrista la tonalità di canzoni
suonate migliaia di volte, l' incongrua atmosfera di festa ha
trasformato in una gag il fatto che non conosceva neanche i
nomi dei musicisti. Il tutto è diventato troppo triste quando
sono arrivate le note stupende di I Loves You Porgy.
Mentre il basso e la batteria producevano un fastidioso "tump
tump", Nina Simone ripeteva stancamente quella melodia
di Gershwin che in passato lei ha trasformato in una
delle canzoni più intense e struggenti della musica moderna.
Ostentando il più completo disinteresse per le richieste del
pubblico, ha sbrigato così la "pratica" del bis: «comprate i
miei dischi e tornate a sentire i miei concerti». E mentre
caracollava verso le quinte, il vecchio cuore di fan pregava
di non vedere mai più sul palco Nina Simone infierire
così sul suo mito.
Paolo Biamonte
|
|
|
|