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Ornella Vanoni

UN TUFFO AL CUORE

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Ornella? Cantante, attrice, moglie, madre, donna... Anche... Ma lei è soprattutto La Vanoni.

 

Me la ricordo al Fiori Chiari, una casa di piacere, in piena Brera, che alla metà degli anni Sessanta era stata aperta come locale notturno, lasciando intatto l'impianto architettonico. Ci veniva la Milano aristocratica, che preparava la "Milano da bere". C'era anche un commissario, mitico... Nardone. La bella gente, ma soprattutto le signore "bene" venivano beate a gozzovigliare nella casa dove i loro mariti, un istante prima, erano stati a consolare le pene d'amore. Quella sera portava la parrucca, e vestiva Biki, gran signora del taglio sartoriale. Aveva borsetta di coccodrillo, con scarpe e cintura in tinta… Nessun gioiello, trucco da pin up, e labbra rosa. Come fu nella sala, che era d'attesa per i clienti, si mise a parlare in milanese con della gente che l'aveva appena raggiunta. Erano attori del Piccolo Teatro, oggi Teatro Giorgio Strehler, tra i quali ricordo una splendida Valentina Cortese. Poi non so con chi, ma credo fosse Patrice Chéreau, parlava un francese aristocratico e rideva. Tutti i clienti a mormorare, con ammirazione: "E' La Vanoni..."

Studi seri (una laurea in lingue conseguita alla Sorbona), frequentazioni nobili tra gli esponenti della cultura anarchica milanese, timidezza (frutto di un pudore religioso), volontà meneghina (senza complessi verso chiunque), fisico moderno e altezza-mezza-bellezza costituivano un intreccio interessante, originale, indispensabile a quel suo modo di porsi agli altri. Oltre, naturalmente, alla civetteria, regina della sua femminilità, e a una singolare, inconfondibile voce nasale. Ma quello che colpivano erano le mani.

Sì, quelle mani "senza fine", che hanno ispirato l'autore di quella che forse è la sua canzone capolavoro. L'omaggio di Gino Paoli, un collezionista di Donne Fatali, tra le quali c'è pure la Mazzini che a quei tempi furoreggiava con Il cielo in una stanza. Come si diceva allora fra il popolo che leggeva Stop, diretto dalla mitica Amalia Cambiasi Odescalchi, alias Liala, amata anche da D'Annunzio: "Panneton cuntra Torron!".

Per La Vanoni, già seguita da un'aura angelico perversa (era la cantante della mala), scrivevano, tra gli altri, Dario Fo, futuro premio Nobel e Giorgio Strehler: la mitica Ma mi!

Il teatro, la letteratura e la musica classica, un alto senso del proprio equilibrio artistico e quel distacco che rasentava la sfida, sono stati il nutrimento della sua personalità "in costruzione". Si potrebbe aggiungere anche il cinema. Sicuramente seguì le orme di un'altra grande donna, che da brutto anatroccolo era diventata il simbolo della Scala e della Milano capitale morale dell'Italia d'allora: la Callas.

Aveva bisogno dei servizi e proprio a me chiese se avessi una sigaretta… Le porsi il mio pacchetto di Marlboro con inserito l'accendino, che lei prese senza restituirmelo. Poi a bruciapelo mi domandò: "Ma dov'è il cesso?". "Ecco una donna vera", mi dissi... Sapeva di fragola e mentre aspettava che il trono comodo si liberasse ci mettemmo a parlare. Mi chiedeva incuriosita se ero lì con i miei genitori. Poi dopo un silenzio curioso, aggiunse, "Ma, en bagai s'al fa en 'sta ratera da sciuri?" ("Ma un ragazzo cosa ci fa in questa topaia per signori?") A Milan gh'é el pan... Prima di entrare al cesso, lei aprì la borsetta e allungandomi mille lire (di allora!?) disse: "Scusa, le sigarette le tengo io. Grazie bel fieu!".

Tornato nella sala Strehler, Gino Negri, Fiorenzo Carpi, Dario Fo, le due sorelle Rame e un giovanissimo Alberto Arbasino mi chiesero in coro: "Dov'è la Vanoni?". Oggi risponderei come allora: "E' occupata. Ma è qui" Dopo la cena si appartò con Valentina Cortese e si misero a parlare fitto, fitto. Confidava all'amica di essere incinta ma di aver scoperto che il marito, Lucio (Ardenzi), la tradiva. Sul suo viso, prima una vena di malinconia, poi le lacrime...

Poco tempo fa ho avuto modo di ascoltare un pezzo di Cohen, The famous blue raincoat, tradotto per lei da Fabrizio de Andrè e Sergio Bardotti in "La famosa volpe azzurra" (uno struggente e lucido dialogo in prima persona tra Ornella e l'amante di Lucio, entrambi citati nel testo). Ho avuto un tuffo al cuore!

 

CARMELO SERAFIN - 29.8.2008