Divenne così l'angelo nero di Parigi

 

Biografia di Luciana Peverelli - SORRISI E CANZONI n.6 - 9 febbraio 1958 - 2^ parte

 

Jean Paul Sartre - Subito dal primo momento Annabel si è accesa di una appassionata simpatia per Juliette. La sua folle amicizia e la sua tenerezza per lei non vacilleranno mai, resisteranno a tutte le tempeste, a tutti i mutamenti della vita, ad ogni avvenimento. Quella sera stessa porta Juliette all'hotel della Louisiana, al carrefour Buci. "Indovina chi ha abitato in questa camera? - le domanda facendo gli onori di casa - Jean Paul Sartre. Soltanto da pochi giorni è andato a stabilirsi al terzo piano". Juliette ha appena sentito parlare di Sartre, l'ha intravisto qualche volta: è piccolo, modesto di aspetto, un po' miope. "Perché è così celebre?", domanda. Annabel lo rispetta come un idolo. Quell'ex professore scrive dei gravi trattati su di una teoria filosofica: l'esistenzialismo, teoria della quale, altri, prima di lui, Kierkegaard e Heidegger, avevano gettato le basi. Ed ecco che bruscamente, la giovinezza del dopoguerra priva di idoli ha scoperto il suo insegnamento e pretende di farne la sua regola di vita, prendendo alla lettera ogni sua frase e interpretandola nel senso più restrittivo. "Siamo liberi della nostra scelta e i soli determinanti delle nostre azioni. La scelta profonda che determina le nostre decisioni di tutti i giorni e tutt'uno con la coscienza che noi abbiamo di noi stessi" scrive Sartre nel suo manifesto. "Essere è il nulla". E non occorre di più a migliaia di giovani per vederci una giustificazione ai loro istinti e ai loro disordini. Dimenticano di voltare la pagina e di leggere come Sartre più in là ha definito la responsabilità: quella responsabilità che egli vede dovunque, perfino nelle decisioni prese dalla società alla quale l'individuo appartiene e per le quali non sarà mai consultato. Anche Juliette ne fa il suo idolo e lui si accende di simpatia per quella strana ragazza pallida, affamata, dai lunghi capelli.

 

Vita con gli esistenzialisti - In quell'albergo della Louisiana, Juliette entra con Annabel in un ambiente nuovo, eccitante come uno stupefacente. Marcello Paglierò è il loro vicino di camera. Al piano di sotto vive un'altra donna eccezionale: Anne Marie Cazalis: figlia di un pastore anglicano. Anne Marie Cazalis è una piccola donna dai capelli rossi la cui vocazione a quindici anni era quella di essere missionaria. Un diploma d' inglese l'aveva portata a Parigi dove aveva scritto quattro poemi che le avevano conquistato il premio Paul Valery e la reputazione di poetessa. Capitata per caso a Saint Germain, una sera, non si era più mossa di lì.

1945... Parigi, liberandosi dei suoi quattro anni di occupazione, ha ripreso a vivere la notte. Il Rue de l' Echaudè, a due passi dal campanile di Saint Germain des Pres, un caffè frequentato dagli autisti è diventato ad un tratto "l'ombelico del mondo". Un'orda selvaggia l'ha requisito, in nome di una nuova religione "l'esistenzialismo" che ne ha fatto il suo tempio e l'ha battezzato "Tabou". Non è davvero un bistrot come gli altri. La porta che si spinge, entrando, dà su una anticamera dove si accalcano "i neofiti", mentre "gli eletti" scendono nel santuario lungo una scaletta ripida e tortuosa. Per penetrarvi bisogna essere degli "affiliati" o, come in tutte le società segrete, essere accompagnati da un "affiliato". Subito, sui primi gradini l'odore del tabacco prende alla gola, i suoni acuti di una tromba di jazz sembrano forare i muri (benché siano molto spessi), della cantina. Entrando, non si vede niente. C'è troppo fumo. Poi, a poco a poco, l'occhio si abitua: e lo spettacolo vale la pena. Vi sono quelli che danzano e quelli che bevono: quelli che danzano sembrano aver superato il limite della ragione e della stanchezza. Hanno gli occhi brillanti, i capelli incollati dal sudore, danzano a passi precisi o facendo figure acrobatiche. Gridano e ridono insieme. Di tanto in tanto si fermano, la mano nella mano, per riprendere fiato o per guardare un'altra coppia scatenata su un ritmo Nuova-Orleans. Quelli che bevono li contemplano con indifferenza. Sono assorti in conversazioni importanti e rifanno ogni sera il mondo davanti a un bicchiere di whisky. Parlano con passione di quello che faranno quando avranno deciso di fare qualcosa. Ad ogni istante i ballerini rovesciano i bicchieri od urtano gli sgabelli di quelli che meditano, inseguendo con lo sguardo vago, il loro sogno segreto.

In questo ambiente Annabel e Anne Marie trascinano ogni sera Juliette diciottenne: quando non vanno al Tabou vanno al Bar Vert: comunque non rientrano mai  a casa prima dell'alba. Juliette comincia ad essere notata, con il suo pallore, gli immensi occhi, i lunghi capelli. E' l'epoca folle in cui si scopre, grazie al dopoguerra, la nuova bohème. Michel del Re, angelo nero del teatro di avanguardia, è talmente pallido che tutti predicono appena lo vedono che non passerà la settimana. Alexandre Astruc che non sogna ancora di diventare regista, inventa la penna stilografica che fotografa. Boris Vian, per guadagnare la sua vita, suona di notte la sua tromba e il giorno scrive poesie ciniche. "Andrò a sputare sulle vostre tombe". E' di lui che Juliette si accende subito, ma come potrebbe fiorire un amore, in quell'ambiente folle? E' soltanto un anelito di due giovani uno verso l'altra, poi l'amicizia gelosa di Annabel, e cento altre figure d'uomini e di donne che passano tra di loro, li separano, o per lo meno separano le loro vite. Ma, un sentimento profondo, inespresso, rimane vivo per sempre nel profondo dei loro cuori. Essi si vedono ogni sera al Tabou dove continua ad affluire ogni giorno gente più strana. Vi giunge Orson Welles, scacciato dagli Stati Uniti per aver provocato con la sua allucinante trasmissione alla radio sull'arrivo dei marziani, scene di panico incredibile in tutta l'America e una catena di suicidi. Ad ogni alba lo si trova ubriaco fradicio e tuttavia più geniale e ricco di idee che mai. Anche Prevert frequenta il locale e Yves Montand canta al Tabou, per la prima volta il suo poema "Foglie morte" scritto prima di quello di Trenet. "Les feuilles mortes se ramassent a la pelle. Les souvenirs et les regrets aussi" (Le foglie morte si raccolgono con il rastrello: così i ricordi e i rimpianti). Questi sono gli amici che Juliette frequenta: questo l'ambiente dove vive, cercando invano la sua strada. Danza, teatro?

 

In cerca di una strada - Conosce Daniel Gelin e sua moglie Daniele Delorme, coppia terribile del cinema che litiga a morte tutti i giorni: ma il loro appartamento è sempre pieno lo stesso. Il pittore Bernard Buffet (oggi miliardario perché a trent'anni vende ogni quadro per parecchi milioni) è ancora famelico e livido come i suoi personaggi. Christian Berard, "Bebè" per i suoi intimi, il più grande disegnatore e costumista di Parigi a quell'epoca disegna per divertire Juliette sulle tovaglie di carta del piccolo ristorante degli "Assassins" le sue meraviglie. Al suo fianco è sempre la piccola cagnetta di lusso dalla quale non si separa mai. Strana e folle epoca: per "indifferenza" la bella Scarlett, nata Suzanne Bigart, che è indossatrice di Fath, scavalca il suo balcone e si getta dall'alto della sua soffitta in rue Bonaparte... E intanto Juliette cerca la sua strada, la sua maniera di esprimersi. Una sera, sulle scale dell'Hotel della Louisiana, Sartre la fermò. "Juliette, ti ho sentito canticchiare l'altra sera. Perché non canti sul serio?". "Perché non ho voce. Non l'ho mai avuta. Non ho mai pensato di cantare". "Bisogna scrivere delle canzoni appositamente per te. E se tu mi dai retta, Juliette... un giorno tutti i poeti e tutti i musicisti di Parigi ti supplicheranno di essere la loro interprete...". "E' impossibile - si schermisce Juliette - non so gestire... non so come vestirmi". "Non devi gestire, il "gesto" è mostruoso, innominabile e impudico. In quanto a vestirti, puoi rimanere come sei, pantaloni, maglione nero, e i capelli così. Non cambiare mai niente di te stessa". Il giorno dopo, sulla terrazza di un caffè, Sartre le presenta due amici, il poeta Raymond Queneau e il musicista Joseph Kosma. Il poeta scarabocchia subito un poema per lei. "Si tu t'imagines, si tu t'imagines, fillette, fillette, si tu t'imagines que ça va, que ça va, ça va durer toujours... la saison des A, la saison des amours... ce que tu te gourres!". (Se ti immagini, ragazzina, che durerà, durerà sempre la stagione degli amori, tu ti illudi). La canzone piace a Juliette, e ancora di più la musica. Le sue amiche fanno in modo che venga scritturata alla Rose Rouge. La paga è poca, mille franchi per sera, ma in quei giorni Juliette vive di tartine e di speranza, e quel denaro è una manna dal cielo. Studia ostinata, accanita per molti giorni, quei pochi versi, quella amara melodia. E finalmente debutta. Quando appare sul minuscolo palcoscenico, con la sua lunga silhouette nera, il viso emaciato incorniciato dalla capigliatura abbondante, un lungo brivido fa ammutolire tutti. In un solo istante è diventata il simbolo di quella giovinezza che l'ascolta attonita. E' dritta e altera, così distante dal suo pubblico come se la sua sorte non vi dipendesse in alcun modo. Il silenzio della sala piomba su di lei, facendola agghiacciare. E' la prima volta che prova il panico, un panico che non l'abbandonerà mai. Ma quando comincia a cantare, con la sua voce profonda ed orgogliosa quel terribile lamento dell'amore e della giovinezza: "Si tu t'imagines, si tu t'imagines... fillette, fillette..." sente che ha vinto la sua battaglia, che ha conquistato il pubblico, che è diventata "qualcuna". Più di una bella ragazza, in quel pubblico, abbassò gli occhi con tristezza, per non affrontare il suo sguardo spietato. "A grands pas s'approche la ride veloce, la pesante graisse, le muscle avachi...". (A grandi passi s'avvicina, la subitanea ruga, il pesante grasso, il muscolo rattrappito). Come Sartre le ha consigliato, non fa un gesto. Non fa una concessione a quelli che l'applaudiscono. Quelli a cui non piaceva dicono subito che aveva una figura funebre, una figura da malaugurio. Cocteau che va a vederla una sera, dice: "Se farò il mio film su Orfeo, sceglierò lei per interpretare la morte e la fatalità". Juliette rappresenta ormai la noia, l'inquietudine e il disgusto di tutta la giovane generazione. Dalla Rose Rouge al Tabou, alla Louisiana, ovunque, porta l'espressione della invincibile tristezza di una gioventù amara e disincantata. Il successo cresce di giorno in giorno. Tutta Parigi viene a vedere la strana fanciulla vestita di nero, pallida e triste, che canta a voce bassa canzoni melanconiche come la morte. Boris Vian scrive ancora per lei, non si è ancora spenta nel suo cuore la passione giovanile che per qualche giorno l'ha unita a lui, ma Juliette è già lontana, già inafferrabile. Eppure, come prigioniera del suo personaggio, di quella specie di amara maledizione, non esce mai dal suo "villaggio": non ha mai preso una sola volta il "metro" per andare a passeggiare sui Campi Elisi, e come fanno i gatti da grondaia, vive compiendo ogni giorno il solito periplo, di rifugio in rifugio: Louisiane, Cafè de Flore, et Deux Magots, Montana, Tabou, Rose Rouge... e Louisiane. "Questo è il mio mondo - dice - qui sono nata e qui morirò. Chi mi potrà portare fuori di qui?". Un  primo tentativo, infatti fallisce. Avuta una scrittura a Beziers si è presentata davanti ad un teatro di diecimila persone. Fischi ed urli hanno accolto le sue canzoni cerebrali, trascendentali. Fischi ed urli l'avevano già salutata al suo apparire. Il "grosso pubblico" non l'accetta. Bisogna che torni alle sue cantine nell'atmosfera che le è familiare, dove è veramente una regina. Non può gridare e cantare canzoni allegre. Bisogna che sospiri con quel po' di voce che a furia di volontà quasi disperata, e di esercizi è riuscita a crearsi, le parole che sembrano fatte per lei. "Sombre est la nuit / un eclair fuit / un homme fuit / la mort suit / un corps tombe / dans la tombe... (Cupa è la notte / un lampo fugge / un uomo fugge / la morte segue / un corpo cade nella tomba).

A quell'epoca ritrova sua madre e sua sorella, ritornate sane e salve. Esse quasi non la riconoscono, e lei le sente terribilmente lontane. La gioia di riabbracciarle è amareggiata dalla tristezza di sentirsi ormai lontana, staccata dalla loro vita. Quando sua madre le annuncia che andrà ad alloggiare in un piccolo appartamento della riva destra, lei dichiara: "Mamma quello è un altro mondo per me. Un mondo dove io non metterò mai piede. I miei amici ed il mio cuore sono qui, ed io rimarrò sempre fedele al "villaggio" che mi ha dato la vita, la notorietà, il successo... Qui soltanto, posso respirare, è vero!". Eppure l'amore, l'amore vero, il primo della sua vita l'aspettava proprio là, su quella riva destra dove dichiarava che non sarebbe mai andata...

 

Passaggio in un mondo nuovo - Una sera, alla Rose Rouge, tra gli altri spettatori, c'è uno sconosciuto. Juliette sta cantando una canzone di Boris Vian, melanconica, ma non tragica. "Quand l'etè vient, de ma fenetre sous les toits, j'entends monter, du vieux bistrot une rumeur pleine de rire e de chansons. Voici vingt ans qu'ils ont repris ce vieux cafè. Ils l'ont laissè, tal qu'il etait, sans rien changer. La vieille glace a bien vu dix mille amoureux...". (Quando viene l'estate, dalla mia finestra sotto i tetti, sento salire dal vecchio caffè in basso, un rumore pieno di risa e di canzoni. Da vent'anni hanno comprato questo vecchio caffè, e l'hanno lasciato com'era, senza cambiare nulla: il vecchio specchio ha già visto mille innamorati). La gente tace, ascolta la giovane donna, e appena lei ha finito di cantare, il signore sconosciuto sale sul palcoscenico e domanda di esserle presentato. "Mi chiamo Jean Pierre Melville: sono il regista di un film che inizierà tra breve. Vorrei che foste la protagonista di questo film". Spaventata, Juliette rifiuta subito. E' brutta, non è fotogenica, ha un naso orribile, non sa recitare. E poi, non vuole muoversi di lì. Quello è il suo mondo, e il mondo del cinema le fa paura. Ma Melville insiste, altri amici insistono perché faccia almeno un provino, Annabel e Anna Maria, se pure a malincuore si uniscono agli altri, Juliette è trascinata al Cafè des deux Magots, rimpinzata di whisky e di cognac, finché, stordita, cede. Ma prima di alzarsi per ritornare all'hotel si guarda in uno dei grandi specchi e ride: "Far del cinema con questo naso, che toupet!". Boris Vian l'accompagna a casa, tenendola a braccetto. La convince che la vita non sta ferma: tutto si trasforma, tutto cambia. Quello che era logico e meraviglioso ieri, sarà forse assurdo e grottesco domani. Il mondo degli esistenzialisti sta già sfasciandosi. Simone de Beauvoir, la loro Dea dalle lunghe trecce intorno al viso marmoreo è andata ad abitare, borghesemente, con Sartre, in un comodo appartamento al 42 della rue Bonaparte. Soltanto i turisti, ormai, credono nell'esistenzialismo e in St. Germain des Pres... Parlando così Boris non immagina che segna la sua condanna, la fine di un amore inespresso, ma tuttavia profondo. Juliette prova un senso di profonda malinconia. Sì, tutto muta, tutto cammina inesorabilmente col tempo. A nulla si può aggrapparsi che sopravviva, duraturo. Il film che dovrà interpretare è intitolato "Quand tu liras cette lettre" (Quando leggerai questa lettera). Imbarazzata, sentendosi a disagio, Juliette è presentata da Melville sul set. Non ha cambiato pettinatura, è vestita di nero come sempre, il suo volto è senza trucco. Le sembra di essere piombata in un mondo sconosciuto.

 

"Lo detesto" - Il più antipatico tra tutti è il primo attore giovane, colui che sarà il suo partner. E' biondo, slavato, il tipo di giovane seduttore galante che lei aborrisce: è vestito con eleganza ricercata, è proprio tutto ciò che Juliette odia di più al mondo: fatuo, libertino, vanitoso, superficiale, contento di sé e contento del mondo intero. Juliette pensa che le sarà molto difficile andare d'accordo con lui e formare una coppia affiatata per lo schermo. Rimpiange i suoi compagni che non si lavano magari tutti i giorni, non si tagliano spesso i capelli, portano per tanto tempo lo stesso paio di pantaloni di velluto e lo stesso maglione nero, ma hanno un senso della vita ben più profondo e reale. Il giovane biondo, che si chiama Philippe Lemaire cambia camicia tre volte al giorno, abito tutti i giorni e qualche volta porta un fiore all'occhiello. "Lo detesto - dichiara Juliette alle sue amiche. - Per fortuna lui mi ricambia di eguale antipatia, e sembra occupatissimo a fare la corte ad una giovane attrice italiana: Irene Galter...

 

Articolo inserito il 15.12.2010

 

FINE SECONDA PARTE (continua)

 

 

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