Voleva essere una moglie felice

 

Biografia di Luciana Peverelli - SORRISI E CANZONI n.8 - 23 febbraio 1958 - 4^ parte

 

Nascita di una bambina bionda - Nella graziosa casa di Rue de Berri preparata con tanto amore, con tanta cura, Juliette rimaneva sola. In quei giorni sua madre era tornata presso di lei, come all'epoca in cui era bambina: sua madre che era stata infermiera in Indocina, che si era comportata col consueto coraggio, che era stata insignita della Legion d'Onore. "Juliette, ricordati che siamo sempre terribilmente sole nella vita, e che soltanto in noi stesse dobbiamo trovare la forza di tutto". Ma i grandi occhi di Juliette erano spesso pieni di lacrime. Suo marito non era altro che un ragazzo superficiale, avido di vita. Lui non aveva preso sul serio quel matrimonio in cui Juliette aveva invece creduto come in qualcosa di meraviglioso, di unico. "Tesoro - diceva Philippe abbracciandola - quando il bambino sarà là, lo vedrò, mi dedicherò a lui... Credimi, ma adesso non posso rinunciare a tutto questo per qualcuno che non esiste".

Il 23 marzo 1953, finalmente, dopo un parto difficile e dolorosissimo in una clinica vicino al Parco des Princes, Laurence Marie, una bambina di due chili e mezzo, un piccolo esserino dal musetto rosso, viene al mondo. Aspettando il "lieto evento" Philippe più nervoso che ansioso non smette di fumare, di far suonare la radio, e di appassionarsi ai fragori che vengono dallo stadio vicino. Qualche ora più tardi, i genitori ricevono 400 telegrammi di felicitazioni e i membri del "Club delle ammiratrici di Philippe Lemaire" indirizzano al "padre felice" un grosso pupazzo che serve per appuntare le spille da balia. Durante tre giorni, soprattutto per farsi vedere dagli amici e per farsi fotografare dai giornalisti, Philippe culla la bambina, le dà il biberon. Ma Juliette è troppo intelligente e troppo sensibile per ingannarsi. Non c'è in lui nessun sentimento reale, lui non si sente veramente attaccato alla piccola. E' semplicemente esterrefatto di sentirsi padre. E a sua madre, otto giorni dopo la nascita della sua piccina, stringendo al seno la sua creatura, Juliette confessa: "Soltanto adesso ho "visto" mio marito, l'ho "visto" come è e non come io volevo che fosse. Non è mio marito, mamma. Non può esserlo. Si annoiava nella camera dove aspettavo la mia piccola: si annoia nella camera della clinica dove io mi sono disperatamente attaccata alla mia creatura perché stavo per morire per lei. Non riesce neppure a fare il sacrificio di non fumare. Come vuoi che possa avere fiducia in lui, ormai, come marito, come padre? Non è che un ragazzo, mamma, un ragazzo egoista e scapestrato". Tuttavia, Juliette rientrò nella casa di rue de Berri, e riprese con la sua creatura e con Philippe una vita che aveva creduto duratura. Ma ormai era delusa. L'incantesimo si era spento. Anche Philippe, per quanto fatuo e leggero, se ne accorse. Lottarono ancora qualche tempo, sfuggendo alla separazione, al divorzio di cui entrambi avevano paura. Ma ogni giorno scavava un abisso più profondo tra di loro.

 

Divorzio e la vita riprende - Nel mese di giugno del 1955, due anni esatti dopo il loro matrimonio, soltanto gli intimi furono informati di quel divorzio, triste e discreto: quello di Philippe Lemaire, linfatico e borghese e della musa di St. Germain des Pres... Juliette è sola, di nuovo sola. E le canzoni ridiventano la sua vita, la sua gioia, il suo scopo. Si rimette a cantare, tutta sola, con la sua piccoletta sempre al fianco. Prepara le canzoni senza musica, ripetendole per ore ed ore, allungata nella camera buia. La sua sola gioia è sua figlia che vizia forse esageratamente, come una madre tormentata ed eccessiva. La "nonna" che è diventata nel frattempo "colonnello dell'armata francese" qualche volta la sgrida. Juliette si ribella. "Mamma, la vita è così dura e crudele, finché posso voglio mettermi io tra la vita e Laurence Marie, la mia piccola Lori". Ha inventato questo pseudonimo per la sua piccola: anche lei, un tempo, quando era grassottella, veniva chiamata dagli amici Totonne. Comincia a viaggiare, accompagnata dal suo pianista, Henry Patterson, il padrino di sua figlia, che le è diventato amico consigliere e guida, dal suonatore di fisarmonica Freddy Balta, e da un giovane chitarrista nipote di Ray Ventura: Sacha Distel. Per il momento Juliette si occupa soltanto della sua piccola. "Quando la guardo - dice - mi domando chi è, chi sarà un giorno. E' così inquietante non saperlo, non indovinare quello che diventerà". Se parla di Philippe non ha già più rimpianto. "E' strano - dice - ha lasciato così lieve traccia nella mia vita che mi riesce persino difficile ricordarlo. E quando lo incontro, per caso, mi "meraviglio" che quel ragazzetto biondo sia stato mio marito". Laurence Marie "troppo bella per essere vera" come dice Juliette, è l'unica cosa tangibile di quello strano e breve matrimonio. Ha i capelli biondo cenere, gli occhi grigi e maliziosi di suo padre ma tagliati come quelli di sua madre. Ha cominciato a chiacchierare a due anni, è la grande amica della cagnolina "Crocodile", e come tutte le bambine viziate è un po' ingrata e capricciosa. Quando qualcuno glielo fa osservare, Juliette alza le spalle. "Me ne infischio, quello che conta è soltanto ciò che io ho voglia di fare per lei, non quello che lei potrebbe fare per me".

 

L'amore non ha diritto di domandare niente - Così per sua figlia è una madre esemplare. E per i suoi amici, per il suo pubblico, "Gréco" ha ripreso la sua vita di un tempo. Canta e viaggia, con la sua piccola equipe. Sacha Distel, il giovane chitarrista si è innamorato perdutamente di lei. A Parigi si comincia  parlare di un idillio di Juliette con il giovane ed entusiasta chitarrista... Ma lei è molto vaga, non fa nessuna confessione. Qualche volta ride. "Mi sembra di essere ritornata indietro nel tempo a dieci anni fa...". Oppure ripete i versi di una canzone "Si l'amour passe, il repassera" (Se l'amore passa, un giorno ripasserà). Nessuno può portarla via interamente a sua figlia, ma la freschezza giovanile di Sacha la tocca. La spontaneità dei suoi sentimenti arricchisce la sua solitudine e la commuovono l'entusiasmo e la generosità di un essere nuovo e ancora miracolosamente non guastato dalla vita. Il giovane Sacha dal canto suo è entrato nella "scuola della vita" e ha per professore Juliette Gréco. Forse il profitto è reciproco. Juliette è un po' cambiata intanto: ha perduto alcuni dei suoi tic, non tocca più mentre canta i capelli (che ha un po' tagliati per non sentirsi più ripetere la solita domanda "sono suoi?"), non tira più il suo golf di lana nera fino ad allungarlo smisuratamente, ha abbandonato i pantaloni neri per abiti chiari ed eleganti. Non ride più nascondendosi il naso con le mani perché se l'è fatto rifare (il caso poi ha voluto che se lo sia rotto cadendo nella stanza da bagno e che sia stata costretta a rifarsi un terzo naso). Si è messa a dipingere, un po' alla maniera di Picasso, e dichiara a tutti: "In fondo, avrei tanto desiderato farmi carmelitana. Deve essere una vita ben tranquilla, senza altra preoccupazione che la propria anima e la preghiera". Parole presaghe  forse: presaghe di un dramma che l'attendeva, che lei avrebbe voluto sfuggire, desiderosa soltanto di pace, di tenerezza, di vivere lietamente e serenamente per sua figlia. Ma il destino era in agguato.

 

Tragico amore di Roland Alexandre - Nel 1955 la sorte le fa incontrare un essere ipersensibile. Roland Alexandre. Ha ventotto anni, è un attore brillante, ma estroso, ribelle, inquieto. Ha dato, impulsivamente le dimissioni dalla Comedie Française, dove la sua carriera era sicura, per un momento di malumore, di tristezza. Si assomigliano; tutti e due sono orgogliosi, ammalati di nostalgia. Si vedono quasi tutti i giorni. Una specie di febbre li unisce, e nello stesso tempo hanno paura uno dell'altra. Roland dice: "Dove passi tu, Juliette, la densità dell'aria sembra aumentare...". Qualche giorno... anzi qualche ora sono bastati perché si siano conosciuti a fondo. Alla vigilia di Natale del 1955 Roland Alexandre è invitato in casa di Juliette. Porta un sacco di regali per la piccoletta: la festa è in costume, e Roland è travestito da apache. Tutti notano la loro gaiezza, il loro entusiasmo. Roland dice "Non potrei più vivere senza Juliette. Lei rappresenta tutto ciò che mi mancava nella vita". Invece Juliette è un po' spaventata dall'irruenza del giovane, dalla parte che vorrebbe avere nella sua vita, dal suo amore possessivo, esclusivo, quasi malato... C'è Laurence Marie al mondo. E Juliette può dare soltanto quello che non appartiene a Laurence Marie. Forse non è molto. Non è certamente quello che vorrebbe Roland Alexandre in cui tutti i sentimenti divengono eccessivi, travolgenti, e lo portano inesorabilmente o alla disperazione o alla violenza. Una sera Roland va a sentirla cantare in un ritrovo. Juliette canta per la prima volta una canzone di Prevert: "Rappelle-toi Barbara / Il pleuvait sans cesse sur Brest ce jour-là / Et tu marchais souriante / Epanouie, ravie, ruisselante / Sous la pluie / Rappelle-toi Barbara...". (Ricordati Barbara / Pioveva a scrosci su Brest quel giorno / Tu camminavi sorridente / Radiosa, sbocciata, ruscellante sotto la pioggia / Ricordati Barbara). Improvvisamente Roland si alza ed esce. Quando si ritrovano più tardi e Juliette gli domanda che cosa sia accaduto, risponde: "Eri bella, e tutti ti amavano. Io ero di troppo nella sala". Ancora pochi mesi di quella vita tumultuosa. Destinati a incontrarsi erano pure destinati a farsi male reciprocamente, a ferirsi, a torturarsi... certo a separarsi. E Roland Alexander scelse la strada più breve e più drammatica. Una sera, dopo una lite con Juliette che non voleva uscire con lui per non lasciare la piccola, semplicemente raffreddata, Roland le propose di recitare con lui la parte più commovente tra le commedie di De Musset "On ne badine pas avec l'amour". Mentre Juliette esita, affascinata dall'idea ma timorosa di non riuscire, il giovane esclama, gravemente, con tono minaccioso: "Non si scherza con l'amore". Passa una settimana, e una notte alle due, il telefono squilla in rue de Berri. Juliette Gréco, assonnata prende il ricevitore e sente la voce di Roland Alexandre: "Sono l'uomo più solo del mondo, Juliette...". Le parla a lungo, lirico, appassionato, amoroso, ma così strano che Juliette si impressiona. E' forse ubriaco? Oppure è malato? Ha una voce del tutto diversa dal solito. "Roland, che cos'hai?", gli domanda angosciata. "Non è niente, tesoro. Non preoccuparti. Ho preso dei cachets per dormire e cominciano a fare il loro effetto. Per questo parlo con questo tono un po' svagato. Tra poco dormirò, finalmente". "Bravo. Hai ragione. Anch'io adesso dormo. Ti richiamerò domani". Ma Juliette Gréco non doveva mai più richiamare, non doveva mai più sentire la voce di Roland. L'indomani nel pomeriggio, un amico preoccupato di non vederlo arrivare ad un appuntamento, andò a cercarlo a casa sua. Lo trovarono seduto sulla poltrona, una grossa stufa a gas con i rubinetti aperti davanti a lui, il telefono ai suoi piedi, sul tappeto. Juliette Gréco non versò una lacrima. Il suo "misticismo" le impediva di piangere su qualcosa che considerava come un delitto, contro Dio, come una viltà contro sé stessi. Ma per molti giorni nessuno la vide fuori. E ancora oggi quando parla di Roland Alexander parla al presente, come se egli fosse ancora vivo. Soltanto, quando otto giorni dopo la disgrazia Juliette si ripresentò al cabaret "Le Carrére" la prima canzone che cantò fu quella che Roland preferiva, una canzone di Jean Paul Sartre, "Les Blancs Manteaux": "Dans la rue des Blancs Manteaux / Ils ont elevè les treteux / Et mis du son dans un seau / Et c'etait un echafaud". (Nella strada dei bianchi mantelli / Hanno tolto le assi / Messo del suono in un secchio / Ed era un patibolo). La sua voce era così triste e commovente, che, se lei non aveva pianto, gli altri piansero quella sera, e fu il più bell'omaggio alla memoria del giovane bello e sfortunato.

 

Articolo inserito il 7.6.2011

 

FINE QUARTA PARTE (continua)

 

 

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