Nascita di una bambina bionda -
Nella graziosa casa di Rue de Berri preparata con tanto
amore, con tanta cura, Juliette rimaneva sola. In quei giorni
sua madre era tornata presso di lei, come all'epoca in cui era
bambina: sua madre che era stata infermiera in Indocina, che
si era comportata col consueto coraggio, che era stata
insignita della Legion d'Onore. "Juliette, ricordati che siamo
sempre terribilmente sole nella vita, e che soltanto in noi
stesse dobbiamo trovare la forza di tutto". Ma i grandi occhi
di Juliette erano spesso pieni di lacrime. Suo marito non era
altro che un ragazzo superficiale, avido di vita. Lui non
aveva preso sul serio quel matrimonio in cui Juliette aveva
invece creduto come in qualcosa di meraviglioso, di unico.
"Tesoro - diceva Philippe abbracciandola - quando il bambino
sarà là, lo vedrò, mi dedicherò a lui... Credimi, ma adesso
non posso rinunciare a tutto questo per qualcuno che non
esiste".
Il 23 marzo 1953, finalmente, dopo un parto
difficile e dolorosissimo in una clinica vicino al Parco des
Princes, Laurence Marie, una bambina di due chili e mezzo, un
piccolo esserino dal musetto rosso, viene al mondo. Aspettando
il "lieto evento" Philippe più nervoso che ansioso non smette
di fumare, di far suonare la radio, e di appassionarsi ai
fragori che vengono dallo stadio vicino. Qualche ora più
tardi, i genitori ricevono 400 telegrammi di felicitazioni e i
membri del "Club delle ammiratrici di Philippe Lemaire"
indirizzano al "padre felice" un grosso pupazzo che serve per
appuntare le spille da balia. Durante tre giorni, soprattutto
per farsi vedere dagli amici e per farsi fotografare dai
giornalisti, Philippe culla la bambina, le dà il biberon. Ma
Juliette è troppo intelligente e troppo sensibile per
ingannarsi. Non c'è in lui nessun sentimento reale, lui non si
sente veramente attaccato alla piccola. E' semplicemente
esterrefatto di sentirsi padre. E a sua madre, otto giorni
dopo la nascita della sua piccina, stringendo al seno la sua
creatura, Juliette confessa: "Soltanto adesso ho "visto" mio
marito, l'ho "visto" come è e non come io volevo che fosse.
Non è mio marito, mamma. Non può esserlo. Si annoiava nella
camera dove aspettavo la mia piccola: si annoia nella camera
della clinica dove io mi sono disperatamente attaccata alla
mia creatura perché stavo per morire per lei. Non riesce
neppure a fare il sacrificio di non fumare. Come vuoi che
possa avere fiducia in lui, ormai, come marito, come padre?
Non è che un ragazzo, mamma, un ragazzo egoista e
scapestrato". Tuttavia, Juliette rientrò nella casa di
rue de Berri, e riprese con la sua creatura e con Philippe una
vita che aveva creduto duratura. Ma ormai era delusa.
L'incantesimo si era spento. Anche Philippe, per quanto fatuo
e leggero, se ne accorse. Lottarono ancora qualche tempo,
sfuggendo alla separazione, al divorzio di cui entrambi
avevano paura. Ma ogni giorno scavava un abisso più profondo
tra di loro.
Divorzio e la vita riprende - Nel mese di
giugno del 1955, due anni esatti dopo il loro matrimonio,
soltanto gli intimi furono informati di quel divorzio, triste
e discreto: quello di Philippe Lemaire, linfatico e borghese e
della musa di St. Germain des Pres... Juliette è sola, di
nuovo sola. E le canzoni ridiventano la sua vita, la sua
gioia, il suo scopo. Si rimette a cantare, tutta sola, con la
sua piccoletta sempre al fianco. Prepara le canzoni senza
musica, ripetendole per ore ed ore, allungata nella camera
buia. La sua sola gioia è sua figlia che vizia forse
esageratamente, come una madre tormentata ed eccessiva. La
"nonna" che è diventata nel frattempo "colonnello dell'armata
francese" qualche volta la sgrida. Juliette si ribella.
"Mamma, la vita è così dura e crudele, finché posso voglio
mettermi io tra la vita e Laurence Marie, la mia piccola
Lori". Ha inventato questo pseudonimo per la sua piccola:
anche lei, un tempo, quando era grassottella, veniva chiamata
dagli amici Totonne. Comincia a viaggiare, accompagnata dal
suo pianista, Henry Patterson, il padrino di sua figlia, che
le è diventato amico consigliere e guida, dal suonatore di
fisarmonica Freddy Balta, e da un giovane chitarrista nipote
di Ray Ventura: Sacha Distel. Per il momento Juliette si
occupa soltanto della sua piccola. "Quando la guardo - dice -
mi domando chi è, chi sarà un giorno. E' così inquietante non
saperlo, non indovinare quello che diventerà". Se parla di
Philippe non ha già più rimpianto. "E' strano - dice - ha
lasciato così lieve traccia nella mia vita che mi riesce
persino difficile ricordarlo. E quando lo incontro, per caso,
mi "meraviglio" che quel ragazzetto biondo sia stato mio
marito". Laurence Marie "troppo bella per essere vera"
come dice Juliette, è l'unica cosa tangibile di quello strano
e breve matrimonio. Ha i capelli biondo cenere, gli occhi
grigi e maliziosi di suo padre ma tagliati come quelli di sua
madre. Ha cominciato a chiacchierare a due anni, è la grande
amica della cagnolina "Crocodile", e come tutte le bambine
viziate è un po' ingrata e capricciosa. Quando qualcuno glielo
fa osservare, Juliette alza le spalle. "Me ne infischio,
quello che conta è soltanto ciò che io ho voglia di fare per
lei, non quello che lei potrebbe fare per me".
L'amore non ha diritto di domandare
niente - Così per sua figlia è una madre esemplare. E per
i suoi amici, per il suo pubblico, "Gréco" ha ripreso la sua
vita di un tempo. Canta e viaggia, con la sua piccola equipe.
Sacha Distel, il giovane chitarrista si è innamorato
perdutamente di lei. A Parigi si comincia parlare di un
idillio di Juliette con il giovane ed entusiasta
chitarrista... Ma lei è molto vaga, non fa nessuna
confessione. Qualche volta ride. "Mi sembra di essere
ritornata indietro nel tempo a dieci anni fa...". Oppure
ripete i versi di una canzone "Si l'amour passe, il repassera"
(Se l'amore passa, un giorno ripasserà). Nessuno può portarla
via interamente a sua figlia, ma la freschezza giovanile di
Sacha la tocca. La spontaneità dei suoi sentimenti arricchisce
la sua solitudine e la commuovono l'entusiasmo e la generosità
di un essere nuovo e ancora miracolosamente non guastato dalla
vita. Il giovane Sacha dal canto suo è entrato nella "scuola
della vita" e ha per professore Juliette Gréco. Forse il
profitto è reciproco. Juliette è un po' cambiata intanto: ha
perduto alcuni dei suoi tic, non tocca più mentre canta i
capelli (che ha un po' tagliati per non sentirsi più ripetere
la solita domanda "sono suoi?"), non tira più il suo golf di
lana nera fino ad allungarlo smisuratamente, ha abbandonato i
pantaloni neri per abiti chiari ed eleganti. Non ride più
nascondendosi il naso con le mani perché se l'è fatto rifare
(il caso poi ha voluto che se lo sia rotto cadendo nella
stanza da bagno e che sia stata costretta a rifarsi un terzo
naso). Si è messa a dipingere, un po' alla maniera di Picasso,
e dichiara a tutti: "In fondo, avrei tanto desiderato farmi
carmelitana. Deve essere una vita ben tranquilla, senza altra
preoccupazione che la propria anima e la preghiera". Parole
presaghe forse: presaghe di un dramma che l'attendeva,
che lei avrebbe voluto sfuggire, desiderosa soltanto di pace,
di tenerezza, di vivere lietamente e serenamente per sua
figlia. Ma il destino era in agguato.
Tragico amore di Roland Alexandre - Nel
1955 la sorte le fa incontrare un essere ipersensibile. Roland
Alexandre. Ha ventotto anni, è un attore brillante, ma
estroso, ribelle, inquieto. Ha dato, impulsivamente le
dimissioni dalla Comedie Française, dove la sua carriera era
sicura, per un momento di malumore, di tristezza. Si
assomigliano; tutti e due sono orgogliosi, ammalati di
nostalgia. Si vedono quasi tutti i giorni. Una specie di
febbre li unisce, e nello stesso tempo hanno paura uno
dell'altra. Roland dice: "Dove passi tu, Juliette, la densità
dell'aria sembra aumentare...". Qualche giorno... anzi qualche
ora sono bastati perché si siano conosciuti a fondo. Alla
vigilia di Natale del 1955 Roland Alexandre è invitato in casa
di Juliette. Porta un sacco di regali per la piccoletta: la
festa è in costume, e Roland è travestito da apache. Tutti
notano la loro gaiezza, il loro entusiasmo. Roland dice "Non
potrei più vivere senza Juliette. Lei rappresenta tutto ciò
che mi mancava nella vita". Invece Juliette è un po'
spaventata dall'irruenza del giovane, dalla parte che vorrebbe
avere nella sua vita, dal suo amore possessivo, esclusivo,
quasi malato... C'è Laurence Marie al mondo. E Juliette può
dare soltanto quello che non appartiene a Laurence Marie.
Forse non è molto. Non è certamente quello che vorrebbe Roland
Alexandre in cui tutti i sentimenti divengono eccessivi,
travolgenti, e lo portano inesorabilmente o alla disperazione
o alla violenza. Una sera Roland va a sentirla cantare in un
ritrovo. Juliette canta per la prima volta una canzone di
Prevert: "Rappelle-toi Barbara / Il pleuvait sans cesse sur
Brest ce jour-là / Et tu marchais souriante / Epanouie, ravie,
ruisselante / Sous la pluie / Rappelle-toi Barbara...".
(Ricordati Barbara / Pioveva a scrosci su Brest quel giorno /
Tu camminavi sorridente / Radiosa, sbocciata, ruscellante
sotto la pioggia / Ricordati Barbara). Improvvisamente Roland
si alza ed esce. Quando si ritrovano più tardi e Juliette gli
domanda che cosa sia accaduto, risponde: "Eri bella, e tutti
ti amavano. Io ero di troppo nella sala". Ancora pochi mesi di
quella vita tumultuosa. Destinati a incontrarsi erano pure
destinati a farsi male reciprocamente, a ferirsi, a
torturarsi... certo a separarsi. E Roland Alexander scelse la
strada più breve e più drammatica. Una sera, dopo una lite con
Juliette che non voleva uscire con lui per non lasciare la
piccola, semplicemente raffreddata, Roland le propose di
recitare con lui la parte più commovente tra le commedie di De
Musset "On ne badine pas avec l'amour". Mentre Juliette esita,
affascinata dall'idea ma timorosa di non riuscire, il giovane
esclama, gravemente, con tono minaccioso: "Non si scherza con
l'amore". Passa una settimana, e una notte alle due, il
telefono squilla in rue de Berri. Juliette Gréco, assonnata
prende il ricevitore e sente la voce di Roland Alexandre:
"Sono l'uomo più solo del mondo, Juliette...". Le parla a
lungo, lirico, appassionato, amoroso, ma così strano che
Juliette si impressiona. E' forse ubriaco? Oppure è malato? Ha
una voce del tutto diversa dal solito. "Roland, che cos'hai?",
gli domanda angosciata. "Non è niente, tesoro. Non
preoccuparti. Ho preso dei cachets per dormire e cominciano a
fare il loro effetto. Per questo parlo con questo tono un po'
svagato. Tra poco dormirò, finalmente". "Bravo. Hai ragione.
Anch'io adesso dormo. Ti richiamerò domani". Ma Juliette Gréco
non doveva mai più richiamare, non doveva mai più sentire la
voce di Roland. L'indomani nel pomeriggio, un amico
preoccupato di non vederlo arrivare ad un appuntamento, andò a
cercarlo a casa sua. Lo trovarono seduto sulla poltrona, una
grossa stufa a gas con i rubinetti aperti davanti a lui, il
telefono ai suoi piedi, sul tappeto. Juliette Gréco non versò
una lacrima. Il suo "misticismo" le impediva di piangere su
qualcosa che considerava come un delitto, contro Dio, come una
viltà contro sé stessi. Ma per molti giorni nessuno la vide
fuori. E ancora oggi quando parla di Roland Alexander parla al
presente, come se egli fosse ancora vivo. Soltanto, quando
otto giorni dopo la disgrazia Juliette si ripresentò al
cabaret "Le Carrére" la prima canzone che cantò fu quella che
Roland preferiva, una canzone di Jean Paul Sartre, "Les Blancs
Manteaux": "Dans la rue des Blancs Manteaux / Ils ont elevè
les treteux / Et mis du son dans un seau / Et c'etait un
echafaud". (Nella strada dei bianchi mantelli / Hanno tolto le
assi / Messo del suono in un secchio / Ed era un patibolo). La
sua voce era così triste e commovente, che, se lei non aveva
pianto, gli altri piansero quella sera, e fu il più
bell'omaggio alla memoria del giovane bello e sfortunato.
Articolo inserito il 7.6.2011
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