Domenica di Pasqua. L'aereo mi ha
depositato allo scalo di Anversa alle tre del pomeriggio.
L'appuntamento è in un bar del centro città: alle sedici e
trenta. Son lì puntuale come un cucù svizzero e,
fortunatamente, c'è anche lui ad attendermi: Arturo Mattonet,
impresario di fama internazionale. Soprattutto manager della
grande, pure se anziana, Marlene Dietrich. L'Angelo Azzurro
deve entrare a far parte della mia collezione artistica. La
sua voce e la sua figura devono entrare dentro la Bussola:
almeno una volta nella vita. Ho impiegato un anno esatto per
ottenere questo appuntamento. Nella mia "ventiquattrore" ho il
contratto pronto: da favola, si capisce. Manca una firma, la
sua. Sono qui per questo. Atteso per le cinque del pomeriggio.
Non ho sgarrato di un minuto. Mattonet si presenta un poco
imbarazzato: "La signora non sta troppo bene. Dice che si
dovrebbe rimandare di qualche ora. L'aspettiamo per la cena.
Alle venti e trenta. Intanto può andare in albergo e farsi un
giro per la città. Ne vale la pena. Le chiamo un taxi. A più
tardi, Bernardini". Troppo fortunato sarei stato se le cose
fossero filate via secondo programma. Fa niente. Alzo il
bavero del cappotto e mi lascio andare per le strade di
Anversa: niente taxi, all'albergo ci arriverò a piedi. Adoro
camminare. E poi è un giorno di festa, fa freddo ma non si
gela, la gente è allegra per le strade e io devo dare
un'ultima ripassatina alla punta delle mie frecce, quelle che
dovranno colpire al cuore la grande e bizzosa Marlene per
convincerla ad accettare un impegno professionale che io sogno
da anni e che i miei clienti della Bussola attendono ormai con
ansia: come una cosa già fatta.
Sono in perfetto completo blu
alle otto e trenta della sera: nuovamente puntuale ed
elegantone da far persino ridere me stesso che odio le
cravatte e in ghingheri difficilmente mi metto. Mattonet è un
cane bastonato: "Ceneremo lei ed io, Bernardini. La signora
sta decisamente meglio, l'emicrania che l'affliggeva è
scomparsa, ma s'era scordata di un certo appuntamento
irrinunciabile. penso che per le ventidue, ventidue e trenta
potrà riceverla. Intanto ci sono qua io per farle compagnia".
Arturo è un simpaticone, una persona deliziosa, un buon
ospite. Ma non è lui che voglio, anche perché Mattonet non può
prendere alcuna decisione in merito al nostro possibile
rapporto di lavoro se prima non è stata "lei" a concedere il
placet. Un paio di birre, un piatto di affettati piccantissimi
("Mio Dio, che ne sarà della mia ulcera!"), le lancette
dell'orologio che si muovono così lentamente da sembrare
immerse nell'olio. "Vede, Bernardini, la signora non sa che
cosa sia la Bussola di Focette. Non ne ha mai sentito parlare.
Vuole ascoltarla attentamente prima di dare una risposta. Il
suo corrispondente in Germania ci ha già contattati più volte,
spiegandoci a grandi linee il programma, ma a lei non basta.
Ci vogliono garanzie precise. Si tratterebbe di un ritorno
clamoroso della signora davanti al pubblico. In Italia, poi,
non c'è mai stata...". Sono qui per questo, accidenti: la
conversazione sta diventando addirittura kafkiana. Troppo per
i miei gusti e anche per la stanchezza che comincia a farsi
sentire. In qualche modo arrivano le ventidue e trenta e in
qualche modo Mattonet ed io raggiungiamo la villa dove vive la
signora: una palazzina a due piani nella zona residenziale
della città. Tre dobermann in giardino e una luce accesa al
secondo piano. Un cameriere molto stilé ci accompagna in
salotto: "La signora arriverà tra un momento", e mi ritrovo,
quasi per magia, un bicchiere di cognac tra le mani. Me lo
offre Arturo dicendomi: "Vado a prenderla, torno subito".
Credo che a casa Dietrich le parole "un momento" e "subito"
abbiano un significato completamente diverso da quello che
solitamente posseggono.
E'
esattamente mezzanotte quando dalla scala scende Marlene
seguita da Arturo in una scenografia assolutamente
cinematografica. Truccatissima (non la vedrò mai neppure per
un istante priva di belletti e con un solo capello fuori
posto), vestita in modo delizioso. Parliamo in francese e il
suo è decisamente perfetto. Tento di indagare sulle sue
emozioni, tra le pieghe dei suoi desideri per confortare le
mie speranze. Mi accorgo, mentre il tempo questa volta passa
velocissimo senza che si arrivi a nulla di concreto, di
trovarmi davanti ad una donna assai dispettosa e comunque
"star" in modo impressionante, totale. Dice di non amare
particolarmente l'Italia, di non sapere nulla del pubblico
italiano, di non aver mai sentito parlare della Bussola né di
tutte le vedettes che sono passate per il mio locale. Dice di
non essere in forma, di non voler rischiare più di tanto la
sua immagine legata a stereotipi ormai classici. Dice questo
ed altro. Un fiume di parole, ma alla cinque meno un quarto
del mattino dice anche: "Tutto sommato, caro signor
Bernardini, i milioni che mi offre mi fanno gola. Non lo nego.
Quindi fissiamo pure la data. Arturo, ci pensi lei a siglare
il contratto a nome mio". Non so se sto per svenire dalla
stanchezza , dalla contentezza, dai troppi cognac mandati giù
o dal malessere provocato dalle sigarette perché io... non
fumo. Il primo round l'ho vinto. Adesso mi attendono altre
riprese quasi pugilistiche.
Aprile 1972 - Marlene in Italia. Un vero
avvenimento. Un qualche cosa di storico, addirittura. Le
condizioni, naturalmente, sono state dettate da lei: in prima
persona. A sua disposizione un intero piano dell'albergo
Astor, uno dei più prestigiosi della Versilia. Non si è fatta
accompagnare da una corte numerosa, cosa abbastanza tipica per
questi mostri sacri: appena quattro persone, più il solito
Mattonet. Arriva il venerdì, il suo recital sarà la domenica
sera. Si presenta alla Bussola, per la prima volta, alle
cinque del pomeriggio del sabato. L'orchestra della Rai di
Torino (ha preteso trenta elementi per farsi accompagnare) è
schierata in modo inappuntabile: lo smoking è d'obbligo anche
per le prove. E qui Marlene me ne combina una grossa davvero.
Mi obbliga a cancellare buona parte della mia vita in un solo
istante. Il camerino dove l'accompagno è un posto decisamente
naif. Sulle pareti c'è mezza storia della Bussola. Ciascun
artista passato di lì ha voluto lasciare la propria
testimonianza. Le pareti di quella stanza sono letteralmente
coperte da firme, da frasi, da preghiere, da innocenti scherzi
giocati tra artisti con il pennarello. "Gino, ti amo, tua
Ornella", "Adriano sei il migliore dopo di me, firmato Fred",
"Saluti a tutti da Mimmo" e così via. Oggi quelle pareti
potrebbero fare parte di un ipotetico museo dell'arte leggera.
Dico potrebbero perché Marlene mi obbliga a distruggere tutto
quanto: "Io non posso stare in un posto così sporco.
Bernardini, se non trovo tutto rifatto entro domani mattina me
ne torno in Germania, comunque non mi esibisco". Inutile
tentare di farle capire che il camerino non è sporco, ma
soltanto ricco di cose per me preziosissime. "Le pareti
dovranno essere ridipinte e gradirei che questo venisse fatto
usando il mio colore preferito: l'amaranto". E in quel
"gradirei" ci sta un ordine preciso. Lavoreranno tutta la
notte e parte del mattino successivo, gli operai, per
soddisfare le bizzosità di Marlene. In quel momento sento di
odiarla come mai ho odiato nessuno. Non doveva, non poteva
cancellare in modo così brutale una fetta importante della mia
vita, della vita della mia Bussola.
Il
camerino è pronto in tempo utile. Marlene è molto
soddisfatta. "Così va meglio, Bernardini", manco grazie mi
dice, né io del resto attendevo un cenno di cortesia. "Ora
avrei bisogno di una frappeuse per lo champagne con molto
ghiaccio secco dentro". Agli ordini, madame, cioè Fraulein.
Una bottiglia di Veuve penso che le possa bastare. Il
cameriere che ho spedito nel suo camerino, però, torna
indietro con lo champagne in mano. "S'è tenuta soltanto la
frappeuse, dice che non beve... a me pare un po' matta!". No,
non è pazza. E' semplicemente stravagante, tra il camerino e
la toilette ci saranno dieci metri di distanza. Troppi per
lei. La frappeuse in questione avrà dunque una funzione
decisamente atipica rispetto alla norma. Marlene la userà per
soddisfare esigenze squisitamente fisiologiche, incaricando
poi la sua segretaria di provvedere al trasporto e allo
svuotamento di quell'incredibile "pappagallo" improvvisato. Le
sue stranezze mi convincono poco e un altro poco mi turbano.
Non vorrei che la Dietrich fosse completamente suonata e che
la grande serata prevista per l'indomani finisse in un
fiasco.
La
Bussola è zeppa. Clienti di ogni tipo, molto importanti,
tantissimi personaggi dello spettacolo. Altro che suonata! Sul
palco arriva il vero Angelo Azzurro, la macchina del tempo ha
funzionato alla perfezione. Dodici minuti consecutivi di
applausi, alla fine del suo recital, confortano la sua
ambizione di grande star e la mia libidine del mito. Ancora
una volta ho fatto centro. Non solo, per una volta, la vedo
davvero commossa. Commossa e piacevolmente stanca al punto di
rifiutare la cena in suo onore alla quale sono invitati i più
bei nomi dell'Italia che conta. "Caro Bernardini, non voglio
vedere altro e non voglio sentire più nessuno. Quel lungo
uragano di applausi deve rimanermi nelle orecchie per molto
tempo ancora. Non voglio che venga inquinato da altro questo
magnifico ricordo di una serata davvero eccezionale". E fugge
via in albergo, ignorando persino la Wanda Osiris che è
riuscita ad infilarsi dietro le quinte e, piangendo come una
ragazzina, chiede di poterla incontrare: "Nessuno mi ha mai
fatto commuovere come la grande Marlene". E la grande Marlene
se ne va il giorno dopo, di primissimo mattina, regalandomi
per una volta una confessione che la rende finalmente umana:
"Caro Bernardini, sappia che morirò scontenta, nonostante
tutto. Perché la cinematografia mondiale non ha mai capito un
accidente di me (per la verità usa una parolaccia, al posto di
accidente; una parolaccia molto italiana che, in due giorni,
ha immediatamente imparato). Io ero più grande della Garbo. Ma
nessuno mai ha voluto accorgersene". E il resto dei saluti
sfumano e si perdono tra il frastuono delle turbine accese
dell'aereo privato che l'attende in pista per riportarla,
capricciosa e intramontabile, nella sua Anversa mentre la
Bussola si prepara a ricevere e a far rivivere nuovi miti. E'
vero, son già lì che penso al prossimo colpo da leone. Non ci
vorrà molto. Se ho superato indenne l'ostacolo Dietrich non
devo proprio più aver paura di niente e di nessuno. Vedremo...
Sergio Bernardini
Dal book "Non ho mai
perso la Bussola" - 1987
ARTICOLI
1992 Quell'Angelo azzurro chiamato Marlene (Tv Radioccoriere) -
1993 Un amore per telefono (Corriere della sera) -
1972 Marlene Dietrich alla Bussola di Viareggio -
1992 Morte di una diva (Corriere della sera) -
Testimonianze -
A tribute
to mamma from papa Hemingway
foto
BIBLIOGRAFIA
La mia amica Edith Piaf -
Marlene Dietrich's ABC (1^ parte) -
Marlene Dietrich's ABC (2^ parte) -
Selezioni varie
MARLENE DIETRICH in ALTRE GALLERIE FOTOGRAFICHE
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